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Per non abituarsi alle bombe

Un docente, un alunno "ferito" dalla guerra in Ucraina e un film da Oscar che è come un "pugno nello stomaco", ma anche un invito a riscoprire l'appello del Papa per la pace

Quest’anno, in una delle scuole dove insegno, un alunno ha proposto a tutto l’istituto di guardare il documentario, Premio Oscar, 20 giorni a Mariupol motivando così la proposta: «Credo che la nostra istituzione scolastica abbia, nel suo piccolo, il dovere di fare quanto possibile affinché la tragica situazione del popolo ucraino non venga sepolta da una coltre di indifferenza e cinismo».

Mi hanno colpito molto le sue parole, perché in qualche modo il volantino della Compagnia delle Opere sulle elezioni europee e sulla pace richiama proprio al rischio dell’indifferenza e dell’abitudine in cui cadiamo davanti a una guerra così vicina.

La reazione di studenti e docenti è stata variegata: per alcuni le immagini erano troppo crude e hanno preferito non guardarlo, molti hanno aderito e la visione è stata un vero e proprio pugno nello stomaco, tanti hanno pianto, me compreso, perché davanti alle immagini di morte di Evangelina di soli quattro anni o di un sedicenne morto sotto le bombe mentre giocava a calcio con gli amici, non si può rimanere indifferenti. Ci siamo abituati alle bombe e ai missili in tv, ma «vedere le conseguenze è un’altra cosa», ha detto un mio alunno.

Ho avuto chiare le parole del Papa che recentemente ha ribadito l'urgenza di «cessare le ostilità che provocano immani sofferenze».

Negli anni Novanta, quando avevo 18 anni, ero stato in Slovenia da padre Vinko Kobal, e insieme ad altri giovani aiutavamo i profughi della guerra in Ex-Jugoslavia. In un campo profughi, rimasi scioccato da quanti bambini ci fossero. Ora la guerra è vicina e ci siamo quasi abituati. Ci si può abituare o essere indifferenti alla morte di bambini a Gaza, Rafah o Mariupol?

Alla fine, anche la questione delle elezioni europee rischia di essere ridotta a «quindi chi devo votare?». Capisco che, invece, in gioco c’è molto di più: la mia umanità. Mi ha aiutato molto il testo di Scuola di comunità al capitolo 7 punto 3, dove si parla dell’alienazione, quando viene fatto l’esempio di Churchill e del rischio che l’uomo venga dominato da ideologie, programmando pensieri e sentimenti; don Giussani dice: «La politica di oggi è governata da questo tipo di cultura in tutto il mondo. Per questo è la rivoluzione per la difesa dell’umano che occorre, ed essa può avere un solo segno, quello religioso, quello religioso autentico, perciò il cristiano autentico in prima linea».

Stupisce vedere come possiamo cadere continuamente in questa alienazione, in questa indifferenza figlia di un potere che ci abitua addirittura a pensare che produrre armi e consegnarle al posto di aiuti umanitari sia la cosa più normale, come dice lo stesso documentario: la guerra in Ucraina c’era già da 10 anni, qualcuno se n’era accorto?

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Anche io mi rendo conto di essere lontano da quello a cui continuamente ci richiama il Papa: la pace come unica soluzione. Mi stupisce, però, che il lavoro di Scuola di comunità e la semplice proposta di un alunno possano togliermi da questa alienazione, rimettendomi in moto per ripormi quelle domande fondamentali che sono la strada al vero, al bene e al giusto. Come dice il volantino della CdO: «Ora lo scoppio di nuove guerre e la corsa al riarmo rimette tragicamente di fronte a tutti il rischio che si corre: se la guerra dovesse allargarsi si assisterebbe al fallimento definitivo e senza appello del progetto di Unione, attentando al futuro dell’intera famiglia umana, come ripete continuamente Papa Francesco. Anche solo accettare questa ipotesi come possibile o addirittura probabile, contraddice il fondamento ideale su cui l’Europa è stata costruita».

Capisco che il cambiamento che serve è profondo, in gioco non ci sono soltanto le elezioni europee, ma la difesa dell’umano.
Domenico, Cesena