(Foto Ansa/Luca Zennaro)

I ragazzi e l'amore che riaccade

La sofferenza degli adolescenti e la possibilità di un bene nella solitudine. Un professore si confronta con il volantino di CL

Mi capita di entrare nel reparto di psichiatria per andare a trovare qualcuno dei miei studenti, o ex studenti, che viene ricoverato. Hanno storie quasi irraccontabili, alcune volte si leggono nelle notizie di cronaca, di solito restano nascoste, ma sono tutte drammatiche, per la genesi e le conseguenze. Tutte le volte esco da quei dialoghi piangendo, perché sento la mia impotenza davanti al loro dolore e perché sembra che il male di cui parla il volantino di CL sia talmente diffuso da essere invincibile, e che le parole che ci diciamo siano consolatorie.

Mi sono dovuto fermare e ricercare un buon motivo per cui valesse la pena attraversare ancora quella porta d’ospedale, così come l’ingresso della scuola, ogni giorno. Ho dovuto guardare il bene che salva e metterlo nero su bianco per farne memoria.

Mi ha colpito molto il volantino proprio perché, nell’ultimo periodo, ho incontrato la sofferenza e il disagio che vengono da un male terribile, a volte evidente, altre subdolo, quello che don Giussani chiama «mentalità dominante»: la paura di essere giudicati dagli altri che non permette di entrare a scuola o il disagio di chi soffre di incongruenza di genere o disforia; il dolore di chi ha subìto violenze o chi ha cercato nella droga e nell’alcool una soluzione al proprio disagio. C’è sempre un filo rosso, la profonda solitudine degli adolescenti e delle loro famiglie.

Sembra che il male prevalga, spinto da un’ideologia e da una trascuratezza da parte degli adulti che ormai è studiata scientificamente, come dimostra il recente libro di Jonathan Haidt, La generazione ansiosa.

Mi è capitato anche di incontrare storie e persone salvate dal bene. Una mia ex alunna che, dopo tanto buio, è lentamente rinata alla vita grazie alla dedizione della comunità in cui ha vissuto, all’amore della famiglia e a uno sguardo che ha visto in alcuni adulti a lei vicini: persone diverse, in ambiti diversi, ma tutte del movimento, che Dio le ha messo accanto. Di recente, mangiando una pizza insieme, la ascoltavo raccontare della sua vita di ora e mi stupivo di essere davanti a un miracolo vivente.

Qualche mese fa, dopo aver pubblicato un articolo di giudizio sulla carriera alias (la procedura per registrarsi, in una scuola, con il nome e il sesso dell’identità di genere percepita, ndr), mi ha contattato una donna, per ringraziarmi e per raccontarmi la sua storia: durante il Covid, sua figlia le ha detto di “essere” un maschio e di volersi chiamare da maschio. Il mondo le è crollato addosso, si è sentita smarrita, così ha iniziato a cercare, faticosamente ma senza arrendersi, perché voleva capire cosa stava accadendo a lei e alla sua famiglia, si è messa in discussione e ha continuato a chiedere, finché insieme ad altri genitori ha fondato un’associazione, Generazione D, per aiutarsi a stare in rapporto con i propri figli in modo non ideologico. Tra le famiglie di questa associazione siamo diventati amici e condividiamo le nostre storie, alla ricerca di un bene che sembra nulla rispetto alle ideologie imperanti.

Piccole storie che non fanno notizia, ma semplici e commoventi come quelle del Vangelo: il male viene toccato da Cristo e trasformato in bene, come segno per tutti, per la conversione di tutti. Come dice il volantino di CL, un amore così sembra impossibile eppure – oggi come allora – riaccade. Solo per questo posso varcare nuovamente la porta d’ingresso della scuola.
Domenico