Massimo Caprara al Meeting di Rimini.

MASSIMO CAPRARA Ricordo di un rivoluzionario vero

Si è spento il 16 giugno a Milano a 87 anni. Dal 1944, per vent'anni, è stato segretario di Togliatti. Poi, un lungo cammino di riscoperta della fede. Fino all'incontro con don Giussani. Ecco come lo ricorda un amico
Gianni Mereghetti

Massimo Caprara è tornato tra le braccia del Padre dopo una vita di grande intensità, segnata da una tensione insopprimibile al vero, da una ricerca appassionata del Mistero della vita. Segretario di Palmiro Togliatti negli anni duri in cui dominava l’ideologia si è sempre lasciato interrogare dalla realtà, tanto che i drammatici avvenimenti del 1968 a Praga lo portarono a lasciare il Partito Comunista Italiano e a fondare il gruppo del Manifesto. Massimo non poteva accettare che un popolo fosse privato del bene della libertà come non poteva accettare il consenso, altrettanto colpevole, di chi anteponeva la scelta di parte alla difesa dell’uomo e del suo desiderio.
Da qui iniziò il suo lungo, instancabile cammino alla ricerca di ciò che potesse abbracciare pienamente le sue esigenze umane. Fino alla scoperta della fede.
Il Meeting di Rimini rappresentò un punto di riferimento fondamentale del suo percorso. Il primo incontro con il Meeting fu durante l’edizione del 1999, in occasione dell’omaggio a Eugenio Corti. Caprara aveva già messo in discussione il suo passato, anche se non lo rinnegava, ma cercava in esso quella libertà che avrebbe potuto portarlo alla fede. Affermò di «non essere ancora un credente, ma di sentire il bisogno di trovare la fede». Il Meeting lo colpì per la passione umana e la tensione al vero che lì incontrò. Per questo vi tornò nel 2000, a presentare ancora una volta un testo di Eugenio Corti (L’isola del Paradiso) e poi nel 2001 e nel 2002, ogni volta testimoniando un passo in avanti in questo suo cammino ad abbracciare il Mistero, così da esserne abbracciato fino a «riscoprirsi uomo», come recita il titolo della sua autobiografia in cui racconta la storia della sua coscienza.
L’incontro con tanti giovani e tanti uomini in cui la fede rispondeva all’umano è stato decisivo per Massimo. È stato un incontro a segnare la sua vita, un incontro a compiere tutte le esigenze del suo cuore, e in questo incontro è nata la coscienza di essere stato chiamato dal Mistero ad una strada in cui la sua umanità si sarebbe realizzata. Lo disse con decisione e certezza proprio al Meeting del 2004, presentando Riscoprirsi uomo. Storia di una coscienza, un dialogo con Roberto Fontolan: «Certamente sono stato chiamato, perché non si può passare da soli da una grande solitudine a una grande fede». Una fede che ha fatto di lui quel rivoluzionario che aveva sempre voluto essere. Sempre al Meeting del 2004 concluse dicendo: «Adesso mi sento veramente rivoluzionario, adesso che non sono più comunista sono veramente rivoluzionario, nel senso in cui lo dice don Giussani. E se qualcuno mi chiederà un giorno: “Tu cosa hai fatto nella tua vita?” io risponderò “Sono stato un rivoluzionario”». Caprara è stato ed è un rivoluzionario, perché si è preso il coraggio di seguire il suo cuore, la sua esigenza di verità, la sua domanda di libertà, e lo è stato fino in fondo perché ha riconosciuto che in Cristo l’umanità si ritrova. Per questo ricorderemo sempre i suoi occhi pieni di certezza, il suo sguardo intenso, fisso al Mistero che lo ha chiamato a sé, perché potesse dire io con tutta la dignità che è data ad un uomo vero.
Dall’incontro con il fatto cristiano in cui Caprara ha riscoperto se stesso è nato per lui anche un compito cui ha dedicato l’ultima parte della sua vita, il compito di raccontare la menzogna e la violenza di cui l’ideologia si è resa responsabile della storia. Lui, che si è dichiarato “prigioniero volontario” dell’ideologia, è stato nello stesso tempo colui che in questi anni ci ha raccontato il suo orrore, per amore alla verità, ma ancor di più perché chi ne è ancora imprigionato potesse trovare la strada della liberazione.
Uno degli incontri più significativi si svolse a Milano il 18 febbraio 2002, di fronte a millecinquecento giovani. Caprara ripercorse le origini della storia del comunismo, raccontando episodi personali. Lo fece perché, avendo visto e conosciuto gli orrori dell’ideologia comunista, non aveva il diritto di tacere. «Ho visto, ho conosciuto e ora lo devo dire... Cerco la verità e la voglio cercare insieme ai giovani, insieme agli uomini del mio tempo, della mia epoca. Discuto perché il passato non venga rimosso, discuto perché altri non vengano indotti all’errore”. Raccontare a tutti quello che lui aveva visto divenne il compito più importante degli ultimi anni della sua vita, certo che è dai fatti che l’uomo capisce ciò che corrisponde al suo cuore o ciò che ne nega il valore. Sono stati anni intensi, Caprara è andato dovunque in Italia, ha incontrato gli studenti nelle scuole, ha partecipato a numerosi incontri promossi da centri culturali, ha scritto testi in cui documentare gli orrori dell’ideologia, come Paesaggi con figure o Gramsci e i suoi carcerieri. Per i giovani ha avuto una grande predilezione: ogni volta che li incontrava li coinvolgeva nel suo lavoro di ricerca del vero. Era per loro un maestro, insegnava a guardare dentro la storia con la forza del giudizio, una forza che sa svelare la menzogna e sa far emergere ciò che nessuna violenza può distruggere, il grido dell’uomo a Colui che, unico, lo libera dal male.
La sua energia sempre all’attacco del vero è oggi più che mai una consegna che, come lui ci ha insegnato, trova nel cuore dell’uomo il suo punto di forza, la possibilità unica di compiersi dentro i passi della vita quotidiana.