Un momento dell'incontro.

CREMA La gratuità dell'accoglienza

Nella cittadina lombarda, si festeggiano le famiglie dell'Associazione Fraternità. Un migliaio di persone si ritrovano per incontrare i testimoni di un miracolo di carità che dura da venticinque anni
Cristiano Guarneri

A Carmen tremano le mani mentre sale sul palco a raccontare di sé. Il sorriso, però, le resta fisso in volto come un tratto indelebile, anche quando la voce s'incrina commossa a pronunciare che «ogni circostanza della vita merita di essere vissuta». Lo dice lei che, a 38 anni, è l’icona di una storia di miseria e rinascita racchiusa in due fogli ciclostilati che legge davanti a 1.000 persone. Il palazzetto dello sport di via Toffetti a Crema si fa muto quando Carmen sistema il microfono ad altezza viso. I saluti delle istituzioni, convenute qui per celebrare i 25 anni dell’Associazione Fraternità, si sono succeduti ritualmente per commemorare il primo quarto di secolo di quest’opera che raccoglie duecento e passa famiglie affidatarie.
Per capire dove e che cosa ha messo in moto questo miracolo di carità dobbiamo andare a un pomeriggio di settembre del 1983. A quella Giornata di inizio anno, don Giussani usa parole che scuotono più di altre volte: «Qual è la forma più semplice e concreta di carità per una famiglia, se non spalancare la porta del proprio cuore e della propria casa a un figlio non generato da sé?». Provocazione che fa breccia in molti cuori. A tal punto che alcuni la prendono sul serio e iniziano a renderla carne.
Sono sei le famiglie di Crema e Monte Cremasco che iniziano a praticare l'ospitalità. Chi tira le fila di tutto, allora come oggi, è don Mauro Inzoli. È lui che accompagna gli esordi di quell'avventura, sempre attento a far sì che ogni gesto serva a rendere più grande non la propria ma l'opera di un Altro.
Il saluto che Julián Carrón fa pervenire in occasione del convegno centra proprio questo punto focale: «La festa dei vostri 25 anni vi trovi più grati e più certi della ragione per cui ogni giorno portate il peso di un amore gratuito verso coloro che vi sono affidati: la sorpresa di essere stati abbracciati da Cristo, l’unico che ha avuto pietà del nostro niente fino a dare se stesso perché noi fossimo felici. Questo vuol dire amare incondizionatamente».
Dall’84 a oggi i minori ospitati nelle case di queste famiglie sono oltre 600. Numeri che celano volti e storie di bimbi amati a uno a uno, come dice il titolo del convegno che sabato 12 settembre ha festeggiato i cinque lustri dell'associazione: Occorre amarli a uno a uno, totalmente e incondizionatamente.
Volti e storie come quelle di Carmen, che a 15 anni di età diventa madre di Laura e l’anno dopo è accolta, con la figlia, da Teresa e Erminio Bellani. In quelle mura, Carmen trova «il suo posto» senza però rinnegare i cocci del passato. Ci sono un padre e una madre che usano premure più grandi, ma anche discrezione. Nessuno la obbliga a tagliare i ponti con le origini, anzi. Teresa e Erminio le insegnano ad amare chi l'ha messa al mondo perché sono innanzitutto loro a farlo per primi.
Un distillato misterioso di gioia e sofferenza: ecco cos'è la parabola esistenziale di Carmen. Da quando però s’imbatte nei Bellani inizia a ruotarle attorno una compagnia fedele di amici. Che condivide tutto con lei, a cominciare dall'ipotesi che Cristo non sia un fattore tra i tanti ma la risposta al desiderio insaziabile che le pulsa dentro. Ci sono i fratelli e le sorelle acquisite (5), gli amici del Liceo prima e dell’università dopo (si laureerà in Lingue straniere). E infine Giuliano, con cui si sposa e da cui avrà due bimbe, Benedetta e Francesca. Quest'abbraccio inaspettato diventa il modo con cui Carmen affronta la vita, fino al punto di decidere, con Giuliano, di essere madre come Teresa lo è stata per lei, accogliendo, cioè, prima una bimba di due anni e poi una ragazzina di quindici. Avrebbe tante altre cose da raccontare Carmen. L'ultima è un grazie «al buon Dio che mi ha portata fin qui a dire che qualsiasi circostanza è un passo per raggiungere la Verità della nostra vita».
Accanto alla sua, sul palco del palazzetto di Crema, si susseguono altre testimonianze. Quella di Marco, per esempio, bosniaco di 22 anni, oggi operaio termoidraulico. Vive a Perugia nella Casa San Giuseppe, di proprietà dell'associazione, coi suoi genitori affidatari e altri 12 fratelli. Arriva dalla guerra di Bosnia. Sceglie il battesimo e da lì in avanti si sente una «persona nuova». Poi ci sono Valentina, Paolo, ma anche Ombretta, madre affidataria di cinque bimbi e di un figlio naturale scomparso a quattro anni. Di Matteo, Ombretta racconta il calvario fatto di aghi, cateteri e sonde che ne fanno l'incarnazione dell'interrogativo più toccante dell'opera di Claudel: «Che vale la vita se non per essere data?». In questi quattro anni di vita, Matteo è lo strumento di conversione per i suoi genitori: «Era Matteo che educava noi a consegnare la sua e la nostra vita nelle mani di Colui che solo può compierla». Don Mauro e tante famiglie dell'Associazione Fraternità diventano la roccia a cui aggrapparsi ogni giorno. Oggi, Ombretta e Sergio sono genitori di cinque bimbi in affido: «Il volto di ciascuno di loro è come se ci dicesse: «Guardami, guardami! Io sono soltanto un promemoria. Che cosa ti ricordo?».
Altri volti e altre storie di affidi sono racchiuse in un libro (Ho imparato a chiamarti figlio, edizioni Cantagalli) e in un documentario (Un posto per tutti, realizzato da Emmanuel Exitu): due strumenti di testimonianza confezionati per l'occasione e ricchi di vite vissute, incontri inaspettati, commoventi gesti di quotidianità.
Ospite a distanza del convegno è stato Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, intervenuto in video conferenza. Tanti i punti d’azione che il rappresentante del governo ha indicato come prospettiva di lavoro, a cominciare dalla possibilità di «considerare giuridicamente i figli in affido come figli reali della famiglia che li accoglie» fino al «sostegno più concreto per le realtà associative e comunitarie e alle famiglie numerose».
Di amicizia come fattore basilare dell’opera della Fraternità ha parlato il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. I 25 anni dell'associazione rappresentano «una splendida esperienza umana e cristiana in cui l’amicizia si mette a servizio dell’accoglienza». Una realtà così, assicura il porporato, esemplifica «l'amore vero, dove il sacrificio è commisurato ad una grande gioia». Antonelli chiude con un invito: «Vorrei che foste presenti al convegno internazionale sul tema La famiglia, soggetto di evangelizzazione dell’anno prossimo: fareste davvero una bella figura».