Un momento della festa.

FAMIGLIA MATERNA Qui l'accoglienza si impara da novant'anni

C'erano più di duecento persone a Rovereto, per festeggiare la Fondazione. Una giornata per ricordare il percorso fatto all'insegna dell'assistenza dei bisognosi, con un'attenzione particolare rivolta alle ragazze madri
Roberto Vivarelli

Era il 1919. Sono passati novant’anni eppure sembra ieri. Anzi, oggi, visto che il criterio e il motto con cui il padre francescano Emilio Chiocchetti e Maria Lenner diedero vita all’Opera di Rovereto (TN) è lo stesso che anima la struttura oggi: «“Famiglia materna” vuole e deve essere un focolare di educazione, di rigenerazione e di vita spirituale, specialmente per le ragazze madri che vengono rigettate dalla famiglia». Parole che si fanno realtà concreta nell’assistenza quotidiana di ragazze e donne che, da tutto il Trentino (fino a 150 all’anno), si rivolgono alla struttura.
La festa del 3 ottobre per i 90 anni di vita ha evidenziato tutto il legame dell’Opera con la cittadina trentina: oltre 230 le persone presenti, segno di una realtà sempre più radicata nel cuore dei roveretani, tanto che nemmeno le più moderne concezioni di servizi socio-assistenziali hanno reso anacronistica. Oltre novant’anni dopo, Fondazione Famiglia Materna continua ad accogliere e sostenere le donne sole con i loro bambini in una società che, tuttavia, si è molto modificata. Se una volta le persone che chiedevano aiuto erano ragazze madri rifiutate dalla famiglia e messe al bando dalla comunità di appartenenza, oggi sono prevalentemente le extracomunitarie, le donne che subiscono violenze fisiche e morali da mariti o compagni, o ancora quelle escluse perché non reggono i ritmi e le regole della “normalità”, a causa di una fragilità psicologica o per problemi derivanti dall’uso di alcool e droghe. Anche oggi Famiglia Materna vuole essere un luogo in cui le madri con i loro figli non si sentono «né straniere, né ricoverate» (Manifesto dei fondatori, 1919).
Cosa vuol dire concretamente questo, lo spiega la direttrice della Fondazione, Anna Conigliaro Michelini: «Significa trovare una casa, ma anche la compagnia di educatori, assistenti sociali, psicologi, volontari - tutte persone che possono condividere i problemi, ma anche stimolare un nuovo atteggiamento di coraggio e di responsabilità. A volte può sembrare impossibile uscire da certe situazioni di disagio, conflitto, fatica o dolore, ma un essere umano è sempre qualcosa di più del suo problema, possiede un valore e delle risorse da cui ripartire. Nel rapporto educativo con chi gli è vicino, può riscoprire la possibilità di un atteggiamento positivo di fronte alla propria storia. Nella mia esperienza lavorativa “accogliere l’altro” prima, significava accoglierlo tout-court, fino ad “esaurimento scorte”, spesso tamponando dove questi non riusciva ad arrivare. Oggi penso che una vera relazione di aiuto sia un’altra cosa: offrire alla persona, in maniera attenta e pensata, gli strumenti per farcela da solo nella vita». Dall’inizio degli anni Ottanta fino alla morte improvvisa, nel 2006, la Fondazione è stata guidata e rilanciata da Sergio Faccioli. Faccioli (cfr. Tracce, n. 10/2006) vi si dedicò con tutte le energie, interessandosi personalmente del destino delle famiglie ospitate e coinvolgendo nella gestione dell’Opera, fin dal 1995, Alceste Santuari, docente universitario, divenuto a sua volta presidente dopo la sua scomparsa. Santuari per descrivere il metodo di accoglienza di Famiglia Materna richiama l’enciclica Caritas in Veritate: «“Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso”. Si tratta di una sfida costante nell’affronto dei bisogni di chi è accolto in Famiglia Materna, che ci ricorda che il bisogno incontrato è anche il bisogno di chi incontra; che ci indica che quanto più sappiamo tenere in debito conto il nostro desiderio di felicità, tanto più saremo capaci di accogliere e, dunque di affrontare il bisogno specifico che l’altro accolto esprime. Solo questo può sostenere nel tempo la consapevolezza che fare un’opera come questa è un tentativo, è una possibilità di contribuire al bene comune e alla costruzione di un’umanità più cosciente dei propri bisogni ultimi».
Nel suo intervento, Santuari ha anche voluto sottolineare l’importante ruolo svolto da quanti lavorano in Fondazione (assistenti sociali, educatori, volontari) la cui attività e metodo sono apprezzati dai servizi sociali del territorio. Non è stato indolore il passaggio da ente pubblico a fondazione privata: «Nel 1998 - ricorda Santuari - con Sergio Faccioli, iniziammo la procedura di depubblicizzazione dell’ex Ipab, decisione che suscitò preoccupazione e una certa diffidenza. Si sosteneva che l’Opera sarebbe uscita dall’alveo pubblico e quindi dal sistema dei controlli e quindi avrebbe perso la sua connotazione pubblica. Al contrario, esattamente come agli inizi, la trasformazione (ovvero il ritorno alle origini) in fondazione ha permesso di mantenere intatta la vocazione pubblica - cioè comunitaria -; dimostrando così la possibile identificazione tra iniziativa privata (non lucrativa) e perseguimento di finalità di pubblico interesse».
Una storia rievocata nella festa per i 90 anni dal provinciale dei francescani, padre Francesco Patton, che ha fatto emergere una piena convergenza nell’esperienza educativa della Fondazione ed il carisma francescano. I francescani, insieme alle suore di Maria Bambina, instancabili, pazienti e discrete protagoniste nel rapporto con le ragazze madri; sono presenti ancora per statuto nel Consiglio di amministrazione dell’Opera. Una valenza educativa colta anche nell’apprezzato intervento dall’arcivescovo di Trento monsignor Luigi Bressan, che ha benedetto la prima pietra del nuovo edificio che ospiterà il progetto socio-occupazionale della Fondazione “Le formichine”.