Il cardinale Dionigi Tettamanzi.

VITTADINI: «Cristo non è un'arma ideologica»

In un'intervista su "La Stampa", il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà interviene in difesa del cardinale Tettamanzi. Ricordando al mondo politico che «il cristianesimo è un'esperienza per l'oggi, per ciascun individuo, per ciascun "io"»
Michele Brambilla

«Il punto centrale è che il cristianesimo non lo difendi brandendolo come un’ideologia, ma testimoniandolo nella vita quotidiana come risposta ai bisogni dell’uomo. La grande forza del cristianesimo, quella che colpisce e “contagia” il prossimo che incontriamo, è la possibilità per l’uomo di sperimentare una novità di vita». Star dietro a Giorgio Vittadini - 53 anni, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, una delle tante realtà nate dall’esperienza di Comunione e Liberazione - non è facile. Parla veloce e parla tanto: quel che dice non è mai banale, ed è un peccato non riuscire a fissare tutto sul taccuino. Difende il cardinal Tettamanzi - arcivescovo per la Chiesa, imam per La Padania - dagli attacchi della Lega.
«Io non demonizzo la Lega - dice -. È il partito che forse ha più di ogni altro un rapporto reale con il popolo, del quale raccoglie molte istanze legittime. Ma sbaglia a non capire che il cristianesimo non è e non può essere un’ideologia. Le ideologie sono utopie per il domani e per collettività indistinte: il cristianesimo è un’esperienza per l’oggi e per ciascun individuo, per ciascun “io”. L’arcivescovo, nell’omelia di sant’Ambrogio, questo ha detto: ha richiamato ciascuno di noi alle proprie responsabilità, ha chiamato ciascuno di noi a vivere la carità della propria vita quotidiana».
Anche Cl ha un radicamento nel popolo. E non si può dire che non abbia a cuore la difesa della civiltà cristiana. Sono le strategie ad essere differenti. «Prendiamo la presenza dei crocifissi - dice ancora Vittadini -. Io sono totalmente d’accordo che restino esposti. Ma il crocifisso non può essere il segno di una battaglia ideologica. È qualcosa che mi chiama a essere un uomo vivo. Mi chiama alla capacità di operare, di perdonare, di riconoscere innanzitutto il “mio” errore, il “mio” bisogno di essere accolto. Io accolgo qualcuno perché so che a mia volta ho bisogno di essere accolto. Siamo tutti profughi».
«Quello che fa andare avanti il cristianesimo - continua - è la testimonianza viva di persone come il Papa, come Madre Teresa, don Giussani, don Gnocchi. Sono le vite concrete che ci fanno capire che Cristo non è una cosa di duemila anni fa, ma una cosa viva oggi. Penso all’esperienza di Rose Busingye, un’infermiera ugandese che a Kampala prende donne malate di Aids e ridà loro una speranza. E loro ricominciano a vivere. Qualche anno fa queste donne malate decisero di spaccare pietre gratis per poter donare tremila dollari agli alluvionati di New Orleans, cioè a gente della ricca America. Il console statunitense obiettò: ma voi non dovete aiutarci perché siete povere. E loro hanno risposto: ma scusi, lei pensa che noi non possiamo vivere la carità perché siamo povere?».
C’è un altro punto in cui la Lega, secondo Vittadini, sbaglia. Ed è la distinzione fra un «noi» e «gli altri», alla quale segue la paura dello «straniero». «Quando noi portiamo i pacchi del Banco Alimentare, li portiamo a chiunque. E poi la Lombardia è sempre stata un crogiolo di popoli: Camuni, Romani, Galli, Longobardi, Franchi, Spagnoli, Francesi, Austriaci, Italiani del Sud. Siamo il popolo più “incontro” che ci sia, e il cristianesimo ambrosiano ha saputo renderlo un popolo solo, facendo di queste diversità una ricchezza. È stato un “incontro” così realista che ha stemperato perfino le tensioni delle ideologie. Qui da noi, per esempio, la modernità non ha portato a Robespierre come in Francia, ma ha temperato il cattolicesimo facendolo uscire dall’Ancien Régime; ha creato un liberalismo illuminato, e un socialismo non rivoluzionario, quello di Turati. La forza di Milano è stata, storicamente, quella di abbracciare tante diversità in un’identità cristiana. Questo ci sta dicendo il cardinale».
Ma gli errori della riduzione del cristianesimo a ideologia, dice, sono due. «Uno l’emarginazione del diverso. L’altro è l’esaltazione astratta di quel che dice il cardinale. Voglio dire: c’è chi applaude senza vivere i problemi. Bisogna capire chi ha paura di perdere il lavoro o di vedere il degrado del proprio quartiere. Le enunciazioni di buoni propositi non bastano: bisogna mettercisi dentro, nei problemi. Il cardinale questo ci sta dicendo: implicatevi, costruite luoghi di convivenza. Non ci ha detto di fare un partito. La sua è una risposta non ideologica».
(da La Stampa, 10 dicembre 2009)