Debbie Purdy, la donna malata di sclerosi al <br> centro della battaglia legale sul suicidio assistito.

REGNO UNITO La vita non è la favola di un idiota

In Inghilterra una legge depenalizza chi collabora al suicidio dei malati terminali. Dall’idea di un gruppetto di amici, nasce un volantino firmato Comunione e Liberazione. E una raccolta di firme...
Francesca Mortaro

Domenica. Nella chiesa di Saint Luke a Pinner, nell’hinterland di Londra, è appena finita la messa. La gente, uscendo, si ferma incuriosita da un gruppetto di persone che distribuiscono un volantino. «Is life a tale told by an idiot?» è il titolo in alto: la vita è una favola raccontata da un idiota? Sul retro c’è una griglia, serve per raccogliere le firme da presentare in Parlamento entro il 16 dicembre, perché non vengano attuate le nuove direttive sulla depenalizzazione del suicidio assistito decise dal direttore della Procura generale inglese.
Le nuove linee guida sono state pubblicate in Inghilterra e Galles lo scorso 23 settembre, dopo la battaglia legale di Debbie Purdy: malata di sclerosi multipla dal 1995, si è rivolta ai giudici per sapere cosa sarebbe capitato al marito se l’avesse aiutata ad andare all’estero per un suicidio assistito. I Law Lords, la più alta istanza giudiziaria britannica, hanno chiesto chiarezza sulla legge che riguarda il suicidio assistito. Ne è seguito il provvedimento del Procuratore generale: se non viene dimostrato un vantaggio economico personale chi aiuta un malato terminale a morire non è penalmente perseguibile. I Vescovi inglesi, di fronte a questi fatti, si sono attivati e hanno incoraggiato i credenti a far sentire la propria voce.
«Non potevamo rimanere con le mani in mano», racconta Marco Sinisi, chirurgo al Royal National Orthopaedic Hospital e responsabile di Cl nel Regno Unito. Così, discutendone con alcuni amici, nasce l’idea di un volantino. «Io per primo non potevo far finta di niente. In queste settimane mi sono trovato di fronte a tanti bambini malati: per alcuni non c’è stato nulla da fare. Cosa significava tutto ciò? Cosa dice un bambino che ti muore davanti? È vero che non c’è più possibilità di vita?». Marco non può non pensare ai sostenitori del suicidio assistito: «Non sanno che c’è un’altra possibilità, non s’immaginano nemmeno quello che ho incontrato io: una presenza umana che contiene qualcosa di “divino”. Solo da qui nasce la possibilità di non disperare dopo la morte, grazie a Uno che ha detto: “Donna, non piangere”». Da questa consapevolezza, il giudizio contenuto nel volantino: «Tutta l’esistenza è dipendenza - si legge -. La sola possibilità perché questa dipendenza non si trasformi in schiavitù è che Colui che dà la vita si renda nostro compagno, uno che possiamo vedere, una presenza umana che inizia a rispondere al desiderio di amore infinito, di bene, di eternità che è racchiuso nel nostro cuore».
Da qualche giorno, tutte le comunità di Cl del Regno Unito hanno cominciato a distribuire il volantino davanti alle chiese, la domenica. «Non è una battaglia ideologica - sottolinea Marco -, né un discorso: si tratta di dire che cos’è la vita, che fondamento ha». Davanti a Saint Luke la gente continua a sottoscrivere il volantino. Marco si stupisce: «Che un inglese si fermi e ti chieda dove può firmare è già un piccolo miracolo. Anche perché non è certo nel carattere british dire in pubblico ciò che uno pensa. Le persone erano colpite da noi, da come ci siamo mossi di fronte a questa vicenda». E le firme arrivano? «Il primo giorno, 250 solo nella mia parrocchia».