Una strada di Port-au-Prince.

DIARIO DA HAITI /2 «Questa carità è il modo con cui Cristo raggiunge le persone»

Continua il diario di Chiara Mezzalira, che racconta lo stato dei soccorsi a Port-au-Prince

Port-au-Prince
24 Gennaio


Con padre Bepi, Edo - che è venuto da Santo Domingo con un carico di materiale-, Alver e Alberto andiamo per la messa in una cappella non lontana. Ci sono molti adulti e una cinquantina di bambini. La vita continua e riprende. Nell’omelia mi si chiarifica il perché ci troviamo insieme: con questo terremoto dobbiamo imparare a essere uno, una comunità sola.
Dopo la messa, ci incontriamo a casa di Fiammetta, che sfruttiamo per le comunicazioni. Alver, giornalista della Rai, prepara da mangiare. «Per la prima volta dopo il terremoto mangiamo tutti insieme e a tavola»», dice Fiammetta.
Dopo pranzo facciamo un giro per la città. Il 30% delle case è distrutto. Sono colpite una sì, due no, uno è preso, uno è lasciato. Tra queste macerie, case inclinate, mezze distrutte, col tetto appoggiato al pavimento, un acquedotto rotto faceva una fontana in mezzo alla strada dove la gente si lavava e raccoglieva l’acqua. Si vedono grandi tendopoli nelle piazze e piccole tende (coperture di plastica) davanti alle case distrutte.
Da qui, ci dirigiamo alla Petionville, la zona residenziale, anche quella non risparmiata, dove ci sono gli uffici di AVSI. Facciamo il primo incontro dopo il terremoto. Ci siamo tutti: Fiammetta, Jean Philipe, Edo, di AVSI, più Alberto e Chiara, poi Jordi di Cesal Haiti e Antonio, di Cesal Santo Domingo, con la moglie.
Jordi dice che il rapporto educativo con la gente è molto confuso. «Con la Caritas locale vado a incontrare le persone e cerco di coinvolgerli», spiega, «ma poi arrivano gli americani che con il mitra distribuiscono il cibo, o altre ong che usano metodi completamente diversi». Facciamo quel che si può. Il resto si offre.
Dormiamo vicino all’aeroporto, praticamente “occupato” dagli americani: si sentono gli aerei da guerra e gli elicotteri che sembrano atterrare sulla tua testa e scaricare bombe... sembra di essere in guerra!


Port-au-Prince
26 gennaio


All’ambulatorio dei missionari scalabriniani, la situazione è drammatica. C’è una giovane donna in attesa al sesto mese che ha perso il marito, una bimba di due anni che era stata abbandonata dalla madre, con la nonna paterna, ora più malnutrita di prima. Poi un ragazzino, sdraiato poco più in là, con una ferita grave alla gamba. Ci dice che la casa è stata distrutta, che tutti sono vivi, solo lui è morto.
Alberto intanto è andato sul campo a fare medicazioni nella chiesa dei francescani con delle suore latinoamericane.
Le persone che danno una mano sono una trentina. Il prete, anche lui un volontario, non aveva più vestiti, quindi è stato costretto a celebrare la messa con il camice da sala operatoria. «Questa solidarietà e carità è il modo con cui Cristo raggiunge nella sua tenerezza le persone», ci ha detto.


Port-au-Prince
27 gennaio


Questa mattina siamo stati a City Soleil. Abbiamo aiutato lo staff locale di AVSI ad allestire un tendone nel campo da calcio per azioni ricreative. Poi siamo andati nella sede: il retro è danneggiato, mentre il salone è stato dato temporaneamente come magazzino per i medicinali.
Con Fiammetta abbiamo fatto il giro della tendopoli, non sono vere e proprie tende, ma teloni attaccati a pali che fungono da divisori. In ogni tenda c’erano bambini con vari bisogni. Bisogni che si direbbero "normali": diarrea, febbre, mancanza di pulizia... Ma tutto, anche il bisogno più normale, in questo disastro, viene esasperato, diventa un’urgenza.
Le folle ai punti di distribuzione erano indescrivibili. Abbiamo chiesto alla gente cosa distribuissero. Non lo sapevano, ma aspettavano. Poi abbiamo visto una ragazza con il pacco, ma lei si è spaventata e ha subito detto che non era per lei, ma per la donna anziana che la seguiva. Ci siamo scusati di averla spaventata, abbiamo chiesto cosa avesse preso, ci ha aperto la borsa: c’erano scatolette, biscotti, forse riso, farina.
C’è molta tensione. E dietro la tensione, i bisogni di ognuno. «La povertà e il degrado c’erano anche prima», ci dice Fiammetta, «ma il terremoto ha reso più drammatico tutto».