Gli studenti del liceo "A. Volta" di Bogotà.

COLOMBIA La scossa che fa dire a Daniella «sono voluta»

Dopo il terremoto ad Haiti, in un liceo di Bogotà, la preside convoca tutti gli studenti. Perché quanto sta accadendo non passi sottotraccia. Il dialogo continua in classe, poi a pranzo. Finché una ragazzina non scrive un volantino...
Alessandra Stoppa

Tutta la scuola viene convocata non appena i ragazzi entrano in classe. E in Colombia si inizia presto, per cui l’appuntamento è alle sette e mezza. Gli studenti del bachillerato, le nostre medie e superiori, lasciano lo zaino sul banco e vanno in Auditorium. Qualcuno si trascina in corridoio ancora assonnato. A convocarli è Patrizia Mascioli, la preside dell’istituto ’“Alessandro Volta” di Bogotà. A un giorno dal terremoto di Haiti, non vuole che un fatto come quello passi in sordina. «Vorrei sapere cosa avete pensato davanti a quello che è successo. Cosa dite?». Nessuno fiata. «Ditemi qualsiasi cosa pensate nel vedere quel disastro». Silenzio. «Non è possibile che non sentiate nulla. Ci rivediamo qui, alle 13.30 dopo la pausa pranzo». E li rispedisce in classe.
Quando l’Auditorium si riempie di nuovo, la preside rifà la stessa domanda. Un ragazzo dice che vedere le foto di Haiti lo ha fatto accorgere «che siamo un pulviscolo, siamo un niente, perché un movimento così insignificante nell’economia dell’universo ci distrugge». Salta in piedi un altro: «Io quando ho saputo della notizia ho pensato solo: per fortuna che è successo là e non qui». Così altri ancora, pian piano, intervengono.
«È molto difficile che i ragazzi parlino», dice Chiara Neri, che insegna italiano nelle classi del liceo: «Qui la gente è molto formale, e loro sono abituati a non poter dire mai nulla di sé fino in fondo». La discussione continua anche in classe, e nei giorni a seguire. Finché Chiara, assieme a un collega, Alessandro, propone agli studenti di trovarsi a pranzo con chi è interessato a confrontarsi.
Si presentano in una decina. È lì che Daniella, che frequenta il terzo anno del liceo Scientifico, sbotta: «Siamo degli ipocriti, perché deve succedere una cosa così grave per accorgerci che esistono gli altri». E inizia un dialogo, che sfocia in un altro pranzo il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. A quel punto, Daniella propone ai due prof e agli altri ragazzi di scrivere un messaggio insieme, da distribuire a tutti. «Va bene, ognuno di noi prova a scrivere quello che vorrebbe dire e domani ci rivediamo», suggeriscono Chiara e Alessandro.
All’appuntamento arrivano tutti senza aver scritto nulla, nemmeno i due prof: nessuno aveva avuto tempo. Solo Daniella tira fuori un foglio. Scritto tutto in italiano, da sola. «Non so se va bene, ho provato, ma è una cosa piccola...». Lo leggono e insieme gli danno un titolo. «Questo è il nostro volantino», dice Chiara. È ancora sorpresa di quel che Daniella ha scritto. «Vedere come i ragazzi arrivano a giudicare mi ha svegliata. Noi pensiamo che non diano un giudizio, invece hanno necessità di darlo. E sanno darlo. Anche attraverso quello che respirano intorno. Perché altrimenti non è possibile che una ragazzina possa scrivere quello che è vero anche per me».
Quello che segue è il volantino scritto da Daniella. Nei giorni a seguire, lei e i suoi compagni hanno iniziato una raccolta di cibo da mandare alla gente di Haiti.


È GIUSTA LA VITA?
Pochi giorni fa è accaduto un evento che ha fatto tremare il mondo: un terremoto molto forte ad Haiti, il paese più povero dell’America Latina, ha provocato migliaia di morti e distrutto gran parte degli edifici e delle abitazioni locali.
Davanti a questa catastrofe naturale ci sono state diverse reazioni: terrore, spavento, preoccupazione e anche indifferenza. Come mai un evento simile suscita tante reazioni diverse in ognuno di noi? Cosa dice alla nostra vita questo fatto?
Forse questa domanda ha molteplici risposte, ma porcela suscita in noi il desiderio di trovare la risposta, di indagare dentro di noi per capire chi siamo e come siamo fatti. E’ sorprendente vedere come, grazie ad un fatto accaduto ad altri, noi possiamo immedesimarci col loro dolore e riflettere sulla nostra esperienza. In fondo non siamo diversi da loro: siamo piccoli e fragili nell’universo infinito. Siamo un punto insignificante nell’universo, ma il fatto stesso che abbiamo la ragione e che, con essa, ci rendiamo conto che noi stessi soffriamo e ci commuoviamo per persone che neanche conosciamo, ci unisce a loro.
Tutto questo ci suscita un'altra domanda: è giusta la vita? Una cosa è certa: non possiamo ergerci giudici e incolpare Dio di questa catastrofe perché non conosciamo fino in fondo il nostro Destino e perché la nostra vita non ci appartiene, ma appartiene definitivamente a Lui, e solo Lui sa veramente perché noi facciamo il male e perché accadono fatti così.
E’ certo che, se anche non sappiamo chiaramente il perché succedono certe cose nella storia umana, siamo uomini liberi, cioè capaci anche di accettare un tale dolore e una tale devastazione come punto di partenza per cambiare e prendere coscienza di noi stessi e del significato della vita e di ogni suo istante: la nostra vita è appesa ad un filo e il fatto stesso di essere vivi ora ci dice, istante per istante, che siamo voluti, qui ed ora, da Qualcuno.