Un bambino in una tendopoli a Port-au-Prince <br> (© Fabio Cuttica/Contrasto per Avsi).

DIARIO DA HAITI /3 «Cè una presenza silenziosa, sempre all'opera. Qui nessuno bada al sacrificio»

Terza puntata del diario di Chiara Mezzalira, che racconta lo stato dei soccorsi a Port-au-Prince.

Port-au-Prince
27 gennaio, festa di sant’Angela Merici


Scopro oggi che la fondatrice delle Orsoline è del 1500. Anticipando i tempi, si è interessata dell’educazione delle ragazze povere. Lo ha ricordato anche il prete alla messa, richiamando le suore e i volontari, che si alternano senza tregua, a seguire il suo esempio nella generosità verso il popolo haitiano.
Mi colpisce questa disponibilità delle suore delle varie congregazioni. Come quella dei preti. Oggi ce n’era un altro: la barba nera, una giacchetta da cacciatore e una stola a fiori colorati. Sembrava un guerrigliero. Mi ha colpito che quasi servisse la messa all’altro sacerdote dominicano, che è qui da più tempo.
Le suore hanno caricato le varie auto di medicinali e biscotti e hanno deciso di andare a trovare i malati anche per strada. A me e ad Alberto hanno chiesto di restare qui, nell’ambulatorio.
All’inizio, l’organizzazione è sempre un po’ complicata: non sappiamo se stare all’aperto o se entrare nell’ambulatorio. Poi la difficoltà della lingua complica le cose. Ma ci siamo arrangiati. Io con il poco francese che conosco: è così malmesso che sembra creolo, tanto che le mamme iniziano a parlarmi velocissime. Capisco solo quello che vedo, ma vedo abbastanza per arrangiarmi. Un bimbo tutto pieno di scabbia, un altro di pochi mesi con bolle sulla testa, un altro con edemi e malnutrito, un altro disidratato... Allora non è poi così importante capire se ha avuto la diarrea 4 o 5 volte... si vede. Oggi ho visitato ventotto bambini e ho fatto un po’ di chilometri per andare avanti e indietro a prendere i farmaci, le medicazioni, l’acqua. Questa sera, una suorina mi ha chiesto se poteva prepararmi le medicine per domani. Forse anche lei ha contato i miei chilometri.
Alberto ha fatto le medicazioni: forse è un po’ sprecato, dato che è un chirurgo, ma qui si fa quello che serve. Sia nel grande che nel piccolo. Si lavora bene con Alberto e il suo humor alleggerisce la fatica.
Da Avsi ci chiedono di preparare entro sera un progetto di intervento sanitario a Citè Soleil: Alberto inizia a lavorarci, mentre io visito ancora i bambini. Alla fine siamo riusciti a mettere insieme qualcosa, anche con Fiammetta, Jean Philippe e quattro delegati della Regione Lombardia appena arrivati.
Rileggo con Alberto il pezzo della Scuola di Comunità sulla fiducia certa del bimbo sardo che rapisce il Bambin Gesù e chiede il riscatto alla Madonna... Un po’ di questa fiducia certa la vedo nella presenza così sollecita e capillare della Chiesa universale, rappresentata qui da chi viene in aiuto e da chi già c’era.
Oggi ho conosciuto anche suor Luisa, italiana: con altre due suore delle Piccole sorelle di Charles de Foucauld è venuta da suor Marcella, che nel magazzino degli scalabriniani, a recuperare un po’ di alimenti e coperte per i ragazzi e le famiglie.
Di fronte alle grandi strategie e ai progetti, ci sono umili “lavoratori” sempre all’opera.


28 gennaio

Forse è passato il tam-tam che c’è la pediatra: sono corsi tutti fuori. Alberto è ancora nell’ambulatorio-chiesa dei francescani, io sono rimasta sola con una suorina haitiana che fa le medicazioni. Ho visto in tutto sessantanove bambini, no stop: ho finito alle tre e mezza del pomeriggio. Molti di loro sono piccolissimi, hanno sette, dieci, dodici giorni. Sono nati subito dopo il terremoto. Allora abbiamo scherzato con le mamme: dicevamo tra noi che «i bimbi hanno sentito le tremblement e hanno voluto uscire per vedere cosa succedeva». Non tutti sono casi gravi: qualche mamma ha semplicemente chiesto le vaccinazioni. Si vede che c’è il desiderio di tornare ad una normalità di vita.
Alle mamme diamo latte, biscotti, pampers, oltre che le medicine. C’è un gruppo di suore che apre gli scatoloni e divide per categorie i farmaci: bisogna sempre guardare bene, perché finiscono insieme metronidazolo e multivitamine e un controllo in più è sempre utile!
Ho visto una suora nuova. Quando è arrivata, un gruppo di ragazze haitiane le è corso incontro per salutarla: si sono inginocchiate e ho capito che era una di qui. Si chiama suor Luce Matutina. È una colombiana che lavora qui, era stata assente alcuni giorni. Le ho chiesto se ha avuto paura durante il terremoto, mi ha detto: «La scossa non è stata nulla al confronto di quel che è successo dopo, per quattro giorni morti e feriti da medicare e suturare». Per questo è andata qualche giorno a Santo Domingo, per riprendersi.
Ho scoperto il nome del padre che ci dice la messa al mattino: è padre George, cubano. È lui che coordina un po’ il lavoro delle suore e dei volontari. Parla spagnolo, ma ci capiamo abbastanza bene in italiano. Mentre facevo le visite, ogni tanto veniva a portarmi del cibo che trovava negli scatoloni, da distribuire a mamme e bambini.
Suor Marcella ha portato la delegazione della Regione Lombardia a visitare il posto dove lavorava, che è parte di Citè Soleil. Il medico della delegazione ha detto che non pensava esistessero ancora posti così, mentre il suo collega ha detto che non pensava che posti così fossero mai esistiti. Suor Marcella ha commentato che l’Africa è Africa, ma che «qui siamo a un’ora di volo da Miami». Preghiamo perché questo continui a commuovere e muovere il cuore del mondo.


29 gennaio


Giorno di lavoro in ufficio. Dobbiamo completare il progetto per Avsi per i prossimi sei mesi di post-emergenza: andiamo perciò in casa di Fiammetta, che ora fa da base operativa, ufficio, ostello, magazzino di deposito.... Internet non funziona molto bene, per cui parliamo con Milano al cellulare. I nostri due giornalisti, Andrea Nicastro del Corriere ed Alver Metalli, si dimostrano anche oggi bravi cuochi: ci preparano un ottimo risotto che naturalmente mangiamo solo noi, perché Fiammetta è sempre sul campo e quando torna deve firmare carte, rispondere alle mail... Ci mostra le foto del piccolo Alessandro che riceve al suo posto l’onorificenza da Formigoni: con grande orgoglio, da bravo haitiano.
Torniamo alla nostra base, da padre Bepi e dalle suore, che nel frattempo sono cambiate. La conferenza dei religiosi haitiani aveva iniziato ad inviare personale, ora si è aggiunta anche la conferenza del Messico. Incontro un’altra suora della congregazione delle domenicane della Visitazione, sono quelle che risiedono nel centro e seguono l’ospedale e il centro giovanile. Questa suora, colombiana, mi racconta del terremoto, di come il convento si muoveva e come la terra «ululava». Poi dice: «Gracias a Martino, gracias a Martino», e lo ripete più volte. Se loro sono vive, lo devono a Martino, un amico di padre Bepi, un capo cantiere che, da quindici anni, viene per tre mesi all’anno ad aiutare il suo amico missionario: è lui che ha costruito tutto, la casa dei padri, delle suore, l’ospedale, il centro per la conferenza episcopale, il centro di formazione, la scuola elementare... Nulla di tutto ciò è crollato. In questi giorni, Martino, con Toni e un altro amico di Montebelluna, sta lavorando a risistemare tutto, senza pausa. Anna, sorella di padre Bepi, cucina per i lavoratori. Noi li chiamiamo la «colonia veneta». Colpisce questa presenza silenziosa ed operosa della Chiesa, che con poco fa molto.


30 gennaio

Sono arrivati “gli americani”! Si tratta del dottor Gordon, medico Usa che sostiene il centro sanitario degli scalabriniani, che è arrivato con un gruppo di quindici medici, portando due container di medicine e attrezzature. Si mettono subito all’opera, per riattivare completamente il centro.
Dato il dispiegamento di forze, Alberto e io decidiamo che stare lì non serve e andiamo con padre Jeorge e un gruppo di suore a Martissant, zona molto colpita, sulla montagna. Alberto viene a sapere che deve partire subito per Santo Domingo, l’unico modo per non perdere il volo di rientro in Italia... si laurea il suo primogenito. Così rimango sola, non c’è neppure molto tempo per i saluti. Forse è meglio, ci siamo aiutati tanto in questi giorni e mi mancherà.
Noi partiamo. Carichiamo su tre pick-up gli scatoloni con medicine, attrezzature per medicazioni e cibo: con noi viene l’autista delle suore che è uno dei leader della zona ed ha mobilitato i suoi uomini. Il prete “guerrigliero” si chiama padre Antonio, è messicano: si siede dietro, sul cassonetto, con due suore; io essendo la piu anziana mi siedo all’interno. Abbiamo tutti le mascherine: sono per la polvere delle macerie e del cemento sgretolato. Passiamo davanti all’aeroporto, al mercato del porto, rivediamo i palazzi distrutti, i cupoloni della sede Onu, la Cattedrale in lontananza, le tendopoli varie.
Iniziamo a salire la montagna, dove tutte le case di pietra arroccate sulla parete sono devastate. Arrivati, ci dividiamo. Un gruppo di suore si ferma sul posto, noi scendiamo una scarpata fino a trovare due tende dove si fanno le visite. Con un altro gruppo di suore e una dottoressa messicana, m’incammino a piedi su per la montagna, attraverso una stradina di sassi e pietre: le abitazioni sono distrutte, la gente vive all’aperto davanti alle case che non vuole lasciare. Si cucina in grossi pentoloni, c’è anche una piccola band musicale. Ci fermiamo in un capannone, dove le persone vengono a dormire; sistemiamo le medicine e le attrezzature per medicare. All’inizio arrivano solo feriti, poi iniziano a venire anche i bambini, alcuni molto disidratati e malnutriti. Un neonato di nemmeno due chili beve la soluzione reidratante con grande avidità: «Questo bimbo vuole vivere», dice padre George.
Con la lingua me la sono cavata, perché c’era un gruppetto di studenti del posto che parlava francese e inglese.
Torniamo indietro. Da padre Bepi ci sono molti ospiti di passaggio, lui è sempre attento a tutti. Adesso ci sono ospiti alcuni membri di una ong italiana, che vuole iniziare qualcosa qui. Suor Marcella, intanto, sta lavorando per riaprire il suo ambulatorio distrutto, in una tenda a Warf Jeremie.
Mi colpisce la disponibilità e semplicità con cui la Chiesa si è mossa, con cui queste suore vanno in giro a scovare i confratelli e le consorelle in bisogno o i posti dove non arriva nessuno: senza tante parole e pianificazioni, vanno e fanno. Si potrebbe fare meglio, organizzare meglio, ma è chiaro che loro ci mettono il cuore: non badano al sacrificio, anche quelle non più giovani.


31 gennaio

Messa con padre Sergio, un bergamasco che è qui da poco più di un mese: giusto in tempo per vivere il terremoto... Poi Fiammetta viene a prendermi. Ci ritroviamo con gli altri di Avsi e conosco Simone, rientrato da poco. Con lui programmiamo il lavoro sanitario e nutrizionale che vorremmo iniziare a Citè Soleil, nelle prossime due settimane.