Una strada di Port-au-Prince (© Fabio Cuttica/<br>Contrasto per Avsi).

DIARIO DA HAITI /4 «La vita riprende. È Dio che salva questo popolo e me»

Quarta puntata del diario di Chiara Mezzalira, che racconta lo stato dei soccorsi a Port-au-Prince

Port-au-Prince
1 febbraio


Oggi inizio il lavoro nei campi Avsi. Prima, vado con Fiammetta alla base Onu, per l’incontro di coordinamento sulla nutrizione con altre ong. Qui, Fiammetta insiste che non dobbiamo chiedere cibo, anche perché non siamo in grado di distribuirlo e spesso nei campi ci sono azioni violente. Allora mi chiedo come si può curare la malnutrizione senza cibo. Ma mi fido, e sto a vedere. Infatti la sera, le suore e padre George mi raccontano che a Martissant, sulla montagna, dove sono ritornati portando del cibo, sono arrivati uomini con le spranghe per portarlo via.
Fa impressione vedere la distribuzione del cibo sotto il controllo armato dei caschi blu.
Dopo l’incontro, e un’attesa sotto il sole di un’ora per l’auto, vado a Citè Soleil, dove mi incontro con Claudinet, un’infermiera, e altri quattro dello staff di Avsi: pianifichiamo l’intervento che vorremmo iniziare il giorno successivo, dalle visite ai bimbi al controllo della malnutrizione. L’incontro è molto bello, lo staff interessato e ben formato, prende subito iniziativa.
Ogni volta che ritorno a Citè Soleil c’è una novità. I nostri amici di Avsi sono veramente all’opera: ora ci sono tre tendoni blu, donati dalla Protezione Civile, che vengono usati di giorno per le attività ricreative dei bambini e qualche lezione... È un tentativo di riprendere la scuola. Di notte, invece, vi dormono alcune mamme con i bambini più piccoli.


2 febbraio

Oggi è la festa delle suore della congregazione che ci ospita e che collabora con padre Bepi in ospedale. Preparati gli scatoloni con i farmaci che penso serviranno e che spero ci bastino, parto con David, un medico, coordinatore di Medici Senza Frontiere in Brasile, ma che è venuto qui come volontario, usando le proprie ferie. Oggi aiuta noi. Gli diamo una maglietta di Avsi.
Quando arriviamo a destinazione, Claudinet ha già riunito una trentina di mamme e fatto un tentativo di educazione sanitaria. Iniziamo a pesare i bambini e a selezionare quelli malati e malnutriti. Poi David ed io, in un’altra tenda, iniziamo a visitarli e a dare le medicine: no stop, fino alle tre del pomeriggio.
Simone, il nostro amico di Avsi che ha lasciato il suo contratto Unicef in Senegal per due mesi per ritornare qui ad aiutare, mi dice che i ragazzi e le ragazze che hanno lavorato con noi erano molto contenti.
Da quando sono arrivata a oggi, le cose hanno iniziato già a cambiare: in città la vita riprende, anche se per le strade e tra le macerie, con i rifiuti che aumentano. Com’è difficile capire che cosa realmente serve.
Il tornare a “casa”, qui, con i padri e le suore, è per me un grande conforto. Nella semplicità è chiaro che l’aiuto, ultimamente, è far compagnia a questa gente. Non sono soli in questo momento difficile. Quella di ieri era la mia prima volta alla base Onu: un enorme dispiegamento di forze, di auto, di militari... Mi sembrava che dicessero: «Siamo noi a salvare il mondo». Qui, alla messa, nella compagnia semplice, è chiaro che Dio, attraverso questa nostra presenza, piccola e sproporzionata al bisogno, sta già salvando me e questo popolo. La nostra vita appartiene a Lui.