Chiara Mezzalira tiene un corso di formazione <br> all'équipe sanitaria in uno dei campi sfollati di Cité <br> Soleil, il quartiere della capitale dove Avsi lavora.

DIARIO DA HAITI /5 «La vitalità di Simeon e gli sms degli amici. Ogni giornata ricapitola in Lui»

Quinta puntata del resoconto giornaliero di Chiara Mezzalira. Tra gli assalti ai camion e le medicine, si impone lo spettacolo di ragazzi instancabili. E il bisogno di educare «innanzitutto il cuore»

Port-au-Prince
6 febbraio

La vita incombe ed in questi giorni non sono riuscita a scrivere. Alla sera, solo un breve pensiero per ricapitolare in Lui la giornata. Per fortuna, si inizia sempre la mattina con la messa e la vivacità delle suore latino americane e del prete guerrigliero!

Mercoledi, dopo una giornata intensa alla base Onu con Unicef, e dopo l’incontro con il team Avsi per verificare l'inizio del lavoro sanitario e nutrizionale e programmare come continuare, arrivo a casa con il solo desiderio di bere un po' d'acqua e farmi una doccia (sono fortunata io che ho l’acqua!). Suor Marcella mi vede e mi dice: «Hai voglia di fare un giro?». Voglia proprio non ne ho, ma dopo un secondo di stupore alla domanda dico: «Vengo». Deve portare atrezzature e medicinali al suo centro a Warf Jeremie, nella zona del porto, dove arrivano le navi da Jeremie. Per dirla con Alberto, un vero girone di inferno.
Le case di lamiera costruite sulla spazzatura sono rimaste più o meno intatte, mentre le case in mattoni sono crollate: spazzatura ovunque, il molo crollato nel mare e la terra che si è aperta. Suor Marcella è di casa qui. Il suo ambulatorio e la scuola sono sprofondati, ma lei sotto una tenda della Protezione Civile ha riaperto l’ambulatorio con quattro ragazzi: se non fossero con lei e al lavoro li diresti ragazzi di strada, invece fanno le medicazioni, si prendono cura della gente. Mi porta a fare un giro tra le lamiere e le macerie, tutti la salutano, la conoscono. Credo che solo una come lei, o come le suore di Madre Teresa, possono stare in un posto così. Ma anche qui c’è la vita, la gente.

Giovedì sono ad aiutare nell'ambulatorio di Citè Soleil, questa volta da sola, senza il dottor David. Inizia una parvenza di organizzazione e le mamme vengono dopo aver vestito bene i bambini, come quando si va dal dottore. C’è una dignità nella miseria e drammaticità. Scopro che non sono le mamme a portare i bambini, ma le sorelle, le zie, le nonne, le vicine... con due o tre bambini raccolti sotto la tenda. I piccoli non sono mai sulla schiena, come si usa in Africa; le mamme non allattano, o pochissimo, e in questa situazione sarebbe l’unica salvezza per i bambini. Allora bisogna mettersi all’opera per educare, non solo all'igiene, all'alimentazione, ma anche il cuore, ad un affetto, un'attenzione, mostrando prima di tutto un modo di guardare e stare con loro, donne e bambini.
Quando do ai bimbi la medicina per i vermi, si leccano anche il bicchierino. Mi portano un bimbo di due mesi, con tosse, diarrea... poi vedo sulla testa una cicatrice: era caduto su una pietra durante il terremoto, cerco di verificare un po' i riflessi, discreti, ma ovviamente non gli era stato fatto nessun controllo, niente Tac, ecografie... e io lo affido a Lui.
I bambini più gravi restano nelle tende, non ci vengono portati: «Forse si vergognano», mi dice Claudinet: «O non c'è nessuno a portarli». Allora pensiamo che bisogna usare anche altre strategie, andare noi a cercare i bambini e le donne più bisognosi. Claudinet suggerisce il «port à port», ma ora è un tenda a tenda, le porte non ci sono più, sorridiamo!
Mi chiedo come mai qui le donne non portano con sé i bambini come tutte le mamme africane. Il signor Edwigs di Unicef, che ha voluto venire a vedere dove lavoriamo, dice che forse è stata la schiavitù: le donne non potevano portare con sè i bambini ai lavori pesanti. Comunque sia, si legge in questa gente il peso di una storia non delle più facili, neppure negli ultimi anni.

Venerdì vado all'ambulatorio a Bas Fontaine, poco lontano da Citè Soleil. Qui Avsi ha aiutato nella costruzione di due scuole. Usiamo lo spazio sotto una tettoia della scuola: quando arrivo, con i miei scatoloni di medicine e l’acqua per la reidratazione, lo staff Avsi e Claudinet sono già all’opera. Hanno fatto lo screening a molti bambini: quasi tutti vogliono essere visti, anche se non sono gravi, perché almeno possono bere un bicchiere d’acqua o avere un antipiretico. Ho visto una trentina di bambini gravemente malnutriti e adesso ci stiamo organizzando per aiutarli meglio.

Ora bisogna incominciare a guardare come continuare, come affrontare il futuro, prossimo e lontano, come la gente possa prendere in mano la propria vita e come noi possiamo aiutarla in questo. Io penso anche a chi mi sostituirà. Da una parte, c’e un clima di tensione, con assalti ai camion che trasportano materiale, che viene rivenduto per comprare cibo. I militari non fanno molto, ma è comprensibile.
Dall’altra, mi colpisce come i nostri ragazzi di Avsi sono all’opera, non si sono fermati mai e anche loro hanno avuto più o meno gli stessi problemi degli altri. Sicuramente, non essersi trovati soli nel momento del bisogno ed essere stati aiutati a prendersi cura degli altri non ha lasciato spazio a depressione, recriminazione. Simeon, per esempio, uno dei responsabili, mi accompagna in tutto: Fiammetta gli aveva raccomandato di non lasciarmi sola; è pieno di vitalità e di voglia di lavorare.
Di fronte al bisogno immane diviene evidente che non sei tu a "far felici” gli altri, ma che sei uno strumento usato al meglio da un Altro, e che ci vorrà tempo per risvegliare il cuore dell’uomo, non solo degli haitiani, ma anche di tutti quelli che li aiutano.
Io sono sempre piu grata della compagnia che ho incontrato, che mi sostiene, concretamente anche con i brevi messaggi delle sorelle di casa mia a Santa Marta, o una telefonata di Maria Teresa di Avsi, per sapere come sto. Io ci sono e Lui opera.