La "scuola-tenda" di Avsi, a Cité Soleil.

DIARIO /7 Il grazie a "don Gius" sotto una tenda di Haiti

Settima puntata del racconto quotidiano di Chiara Mezzalira. Tra passi di ricostruzione e legami inaspettati, un piccolo gesto per ricordare don Giussani. «Che ci ha insegnato a vivere tutto con intensità»

Port-au-Prince
Domenica 21 febbraio


Questa settimana è volata. È iniziata la Quaresima. Qui era già cominciata nella sofferenza della gente, ma la vigilanza che ci insegna la Chiesa, con i suoi tempi liturgici, aiuta a vivere con una mentalità nuova la realtà.
Domani sono 5 anni che ci ha lasciato don Giussani. Ma è proprio vero che non ci ha lasciati. Lunedì scorso, alla messa del mattino, padre Giuseppe all’omelia ha detto che bisogna riconoscere i segni dei tempi, poi ha tirato fuori il volantino di Cl sul terremoto, in francese: ha letto la parte del don Giuss, «quello che succede è per dirci che la nostra vita appartiene ad un Altro». Alla fine padre Richard gli ha chiesto il volantino e durante colazione se lo è riletto. Ho scoperto che padre Giuseppe ha conosciuto personalmente don Giussani a Friburgo, mentre studiava Teologia, con Angelo Scola (oggi Patriarca di Venezia): ne era rimasto affascinato, poi la vita lo ha portato lontano. Abbiamo pensato di offrire la messa prefestiva in memoria del Giuss, padre Bepi ci ha chiesto di preparare qualcosa, così anche i seminaristi possono conoscere un po’ la storia della Chiesa. Abbiamo preparato un foglio su Cl e Giussani e fatto alcune copie del volantino sul terremoto. Dopo la Comunione, padre Bepi ci ha presentati, ricordando il don Giuss e dicendo quanto il movimento ha fatto per la Chiesa e come il Papa lo stimi; poi Edoardo ha spiegato un po’ cos’è Cl e chi era don Giussani. Edoardo, suor Marcella ed io abbiamo posto questo piccolo gesto, qui in Haiti, dopo il terremoto, segno di gratitudine al don Giuss che ci ha fatto scoprire la pertinenza della fede alle esigenze della vita. Facendoci vivere tutto con intensità e ragionevolezza.

Ogni giorno la vita cambia: arrivi sui campi, che prima avevano solo tende fatte di stracci, ed ora il blu della protezione civile. Anche il nuovo campo lungo la strada inizia a diventare blu: con la scritta Regione Abruzzo, ricorda l’Aquila con il suo terremoto. Ma come è diverso il caos qui, nonostante la fatica di Simone e degli uomini della Protezione civile: le tende non allineate, la spazzatura, una tenda di stracci su cui sventola la bandiera di Haiti. L’orgoglio nazionale è dentro questa miseria. In questo nuovo campo, abbiamo iniziato un “ambulatorio”, dove le mamme e bimbi si sono radunati per l’educazione sanitaria e lo screening. Ho affidato questo compito di “aprire” il nuovo centro alla dottoressa Loli, con le due nuove infermiere, suore messicane. Alla sera quando ci siamo incontrate, erano contentissime: mi hanno ringraziato di aver dato loro la possibilità di lavorare con noi, ed erano colpite dei ragazzi di Avsi, di come si mettono a disposizione della loro gente, senza chiedere, come tutti, pur essendo anche loro nella stessa situazione.

Giovedì, finito l’incontro sotto il tendone Unicef, dove si discutono strategie su come “ripartirsi” Haiti per poter coprire il servizio e gli aiuti, sono andata nel parcheggio ad aspettare l’auto per andare anch’io sul campo. La macchina non arrivava, per cui ho pensato di dire il rosario nell’attesa: c’era un cielo azzurro come quasi sempre qui, solo ora inzia qualche pioggia; la ghiaia bianca rifletteva la luce; militari di tutti i tipi e colori, caschi blu, gente di organizzazioni governative e non, che passavano con facce ed abiti di tutti i tipi. Mi è venuta in mente la frase citata da Carrón: «Può un uomo colto, un europeo dei nostri giorni credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?». E mi sono trovata commossa ad essere lì, in quel mondo a dire il rosario.
Con Fiammetta ci vediamo poco, presa da incontri per ottenere tende, medicine, cibo, atrezzature, per verificare l’estensione che Avsi può coprire... però ci sentiamo tutti i giorni. E ci ringrazia sempre per il nostro lavoro e la nostra presenza: questo mi commuove, quando vedo la sua faccia stanca e dimagrita.
Abbiamo avuto come volontario un giovane medico spagnolo. Era venuto con i pompieri spagnoli, i bomberos, che sono rientrati, ma lui ha voluto restare. Pensava di avere da mangiare in cambio del lavoro. Gli abbiamo fatto capire che dove hanno fame non si puo aggiungere un’altra bocca e un altro problema: pensavamo non venisse piu con noi, invece è ricomparso per altri due giorni ad aiutare. Si è sentito come a casa, è cambiato. Qui si diventa occasione di incontro per tutti anche per gli sbandati bomberos spagnoli.