PADOVA Sant'Antonio, i detenuti e il miracolo che riaccade
L'ostensione del corpo del santo ha portato a Padova oltre 200mila pellegrini. Il rettore della basilica ha concesso una messa speciale al movimento. Tra le panche, insieme, magistrati, polizia penitenziaria e detenutiUn evento che in sei giorni ha investito un’intera città. Questo è stata l’ostensione del corpo di sant’Antonio per Padova. Da lunedì 15 a sabato 20 febbraio gli oltre 200mila pellegrini giunti da ogni dove sono stati una testimonianza al mondo. Anche a noi del movimento è stato dato di partecipare a questo grande evento di popolo. A fine gennaio, al termine di un incontro culturale in università, il rettore della basilica padre Enzo Pojana butta lì due parole a Graziano Debellini, responsabile regionale del movimento: lunedì 15 febbraio la basilica chiude alle 20, perché non riaprirla alle 21 per una messa con il movimento?
Una proposta sorprendente, visto il fittissimo calendario dell’ostensione. Al Santo la comunità padovana di Cl è legata da sempre. In tanti lungo la settimana partecipano alla messa o vanno a chiedere la misericordia del Signore nella confessione. Al Santo si viene a Natale e a Pasqua, per le meditazioni proposte dal movimento e aperte a tutta la città. Al Santo siamo andati nei giorni più misteriosi e dolorosi della nostra storia, quando nel 1998 abbiamo celebrato i funerali di Massimo e della piccola Giulia dopo lo scoppio dell’Epifania.
E così alla messa del 15 febbraio partecipano tremila persone, tra cui trecento amici del mondo del carcere: magistrati, dirigenti, agenti di polizia penitenziaria, gli operatori delle cooperative che portano lavoro in carcere, una ventina di detenuti. Cosa ci muova, lo esprime don Giacomo Tantardini nell’omelia: «I santi, diceva Giussani, sono stati fatti per fare i miracoli. Non è attraverso i nostri discorsi che possiamo dimostrare che Gesù Cristo è vivo: mostra di essere vivo compiendo i miracoli. Abbiamo bisogno dei miracoli perché la vita sia confortata, perché la fede sia sempre più un abbandono all’“umile mio Dio Gesù”. Chiediamoli passando davanti alle spoglie mortali di Antonio. Che li chieda Antonio per noi».
L’invito viene raccolto al termine della celebrazione, con una processione silenziosa e lunghissima fino alla cappella delle reliquie, accompagnata dai canti del coro e dei solisti, per più di un’ora e un quarto. Alla fine, il coro si trattiene in cappella con i frati, insieme si canta il Si quaeris di fronte al diretto destinatario del canto, padre Enzo dà la benedizione e si esce, cantando l’Ave Maria. «Di fronte alle ossa di Sant'Antonio mi tornava in mente il salmo: "Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto". Lo stupore per lui, creatura tutta fatta e voluta dal Signore, mi ha reso commossa e grata», dice Augusta, «non solo per il dono grande di lui, Antonio, che il Signore ci ha voluto dare come amico e testimone di Gesù, ma anche per il valore di me e di tutti noi, anche noi fatti come lui per essere creature tutte Sue». «Di fronte al Santo», aggiunge Agata, «cantando tutti insieme, io avevo davanti agli occhi solo la Bellezza e la ragionevolezza della Bellezza di quel momento vissuto così, dove davvero le parole che cantavamo prendevano ancora più sostanza e valore».
Per i detenuti del carcere penale si tratta di restituire una cortesia, perché le reliquie del Santo nel giugno 2008 girarono di cella in cella nella casa di reclusione di via Due Palazzi, con carcerati di ogni età, nazione e religione a protendere le braccia dalle sbarre per toccare con mano quel segno fisico della presenza del Signore. «Condividere con tutta quella gente la traslazione del corpo di sant’Antonio è stato una conferma che il mistero non ci abbandona», scrive Wellington. «In quegli istanti erano svaniti i miei pensieri di grande peccatore», aggiunge Maurizio, «non sentivo più quel nodo allo stomaco, non sentivo più i miei vergognosi peccati; mi sentivo un uomo rinato». «Non mi sentivo più isolato e solo come nel mio quotidiano esistere, ma in comunione e in simbiosi con il popolo di credenti che si accalcavano in religioso silenzio intorno alle scarne ossa del santo», è la reazione di Ludovico.
Tanti altri detenuti non hanno avuto il permesso per essere in basilica. Poi però, come sempre capita nel cristianesimo, hanno visto quelli che lo hanno visto. Dinja, ad esempio. «Avrei voluto esserci di persona, ma so che i ragazzi che c’erano mi hanno portato con loro, so che sant’Antonio è il nostro Amico, il nostro Santo. Il sentire raccontare da Franco e dagli amici che c’erano mi ha fatto sentire presente di fronte a lui, presente con la mia anima, con i miei peccati, con i miei pregi di persona risorta, rinata».
Si arriva così al giorno finale dell’ostensione, sabato 20. Il Mattino di Padova ospita in prima pagina un editoriale di Graziano Debellini. «La cosa veramente incredibile dei miracoli, diceva Chesterton, è che accadono», scrive Graziano nelle ultime righe, condensando quanto visto in questa straordinaria settimana. «Questa la proposta, pienamente ragionevole, che quelle ossa continuano a fare alla libertà di ciascuno di noi, ottocento anni dopo. La libertà si gioca sempre nell’interpretazione dei segni, un’interpretazione, come hanno raccontato le cronache in questi giorni, in cui i più semplici sono favoriti, perché sanno che solo mendicando si ottiene ciò che il cuore desidera».