Belo Horizonte, i bambini vendono i loro prodotti.

I bimbi delle favelas: «Gelati per Haiti!»

Dopo aver saputo del terremoto, i piccoli del Centro Alvorada di Belo Horizonte vogliono offrire il loro aiuto. Preparano dolcetti, costruiscono palline e giocattoli. Poi corrono a vendere i loro prodotti, per quegli amici lontani...
Stefania Barbieri

«Haiti è un’isola piccolina... I bambini di là sono rimasti sulla strada senza genitori per il terremoto». Brasile, Belo Horizonte. Fernanda Campolina è stupita: ha aperto la porta del suo ambulatorio odontoiatrico delle Opere Educative Jardim Felicidade e si è trovata davanti alcuni bimbetti che vendevano cartoncini e chupa-chups, gelatini fatti in casa. Li vendevano per Haiti.«Ma cos’è un terremoto?». «Sono due placche che si muovono... E così le pareti non ce la fanno e cadono!»
Fernanda era presente alla riunione dei direttori delle Opere Educative Don Giussani in cui Rosetta Brambilla aveva parlato del terremoto di Haiti e aveva chiesto loro di pensare a come aiutare quella popolazione. Non immaginava però che due di loro, Lucio, del Centro Alvorada, e Vanessa, dell’asilo Jardim Felicidade, sarebbero riusciti a coinvolgere così i loro bambini. Racconta Lucio: «Dentro la nostra missione educativa, non potevamo non rendere partecipi i ragazzi del Centro Alvorada della sofferenza che i nostri fratelli di Haiti stanno vivendo. Abbiamo organizzato un lavoro con tutti i bambini e i ragazzi del Centro Alvorada con lo scopo di suscitare interesse per il dolore di quelle persone colpite dal terremoto, di educarli alla condivisione del bisogno dell’altro. Abbiamo raccontato la storia di quel Paese, mostrando la sofferenza e la fatica del suo popolo, abbiamo descritto l’isola, proiettato delle foto. Così i bambini si sono coinvolti e hanno immediatamente offerto il loro aiuto. Un bambino ha proposto: “Mandiamogli dei gelati, perché fa molto caldo”. Un altro ha detto: “Mandiamogli delle scarpe”. Altri: “Inviamo cibo, acqua, vestiti. O mattoni, per ricostruire le case...”. Io ho risposto che tutto quello che proponevano era molto importante, ma sarebbe stato difficile inviare questo tipo di aiuti. Così un altro subito ha detto: “Mandiamo dei soldi, così si può fare tutto questo”. Io ho approvato dicendo che là, ad Haiti, c’erano i nostri amici di Avsi, e se noi avessimo inviato denaro loro avrebbero aiutato gli haitiani a comprare cibo, mattoni, scarpe, medicinali e perfino i gelati! Nel frattempo stavano aiutando quelle persone a sorridere nuovamente, a recuperare una speranza per ricominciare. Poi, volendo mettere alla prova la loro iniziativa, ho chiesto cosa proponevano di fare per recuperare questi soldi, di pensarlo e deciderlo con l’educatore della loro classe».
Prosegue Lucio: «Si sono messi insieme per preparare dolci di cocco, gelatini, dolci di vario tipo, palline da gioco, lotterie, scatolette e carte da vendere ai dipendenti del Centro, ai familiari e agli amici. È stato commovente sapere che un bambino di otto anni con i due reais che gli aveva dato sua sorella non si è comprato un picolè (una specie di ghiacciolo), ma li ha consegnati all’educatrice per inviarli ad Haiti. Sua madre e suo padre venuti a sapere della cosa, hanno voluto contribuire a loro volta, e, nella loro semplicità ma con il cuore pieno di solidarietà, hanno chiesto al figlio di consegnare cinque reais in più all’educatrice».
Il Centro Alvorada sorge in mezzo alla favela, i ragazzi vivono in baracche in cui spesso manca l’indispensabile. Eppure la povertà materiale non è di ostacolo per questo gesto gratuito. Così gli educatori sono colpiti dall’allegria dei bambini, dalla loro dedizione, da come si sono appassionati per quegli uomini sconosciuti e lontani, ma che sentono amici.
Anche per le famiglie dell’asilo l’esperienza è stata importante. Scrive Vanessa: «Ogni nostro gesto ha una ragion d’essere: abbracciare il dolore di chi all’improvviso si è trovato senza casa, senza padre, senza madre. Vogliamo che quell’abbraccio arrivi là carico di speranza di quelli che sanno che tutto può avere un nuovo inizio... Il desiderio è che tutti i nostri amici di Avsi che vivono in quel Paese si sentano abbracciati e siano animati del coraggio necessario per aiutare nella costruzione di un nuovo inizio, di una nuova storia».
Il Centro di Educazione Infantile Jardim Felicidade ha deciso di devolvere tutto il ricavato del suo primo Bazar annuale agli amici di Haiti. I “bazar” servono di solito per recuperare fondi, vendendo vestiti, scarpe e oggetti donati dai benefattori, allo scopo sostenere iniziative per i bambini e i loro genitori, o per acquistare medicine. Questa volta è tutto per Haiti
Tutti si sono mobilitati: le educatrici, che arrivavano prima del tempo per aiutare a organizzare; dipendenti e familiari, che acquistavano per aiutare e che rimanevano dopo l’orario di lavoro per sistemare le cose che rimanevano nel bazar. Bilancio? Le Opere Educative Jardim Felicidade hanno raccolto 812,60 reais, circa 325 euro.
Come era accaduto anche per il terremoto in Abruzzo (in quell’occasione un altro asilo delle “Obras Don Giussani” aveva organizzato una raccolta di fondi), molti di questi bambini, che non hanno mai visto neppure il centro della città dove abitano, si interessano di posti (e di persone) così lontani.
Se per l’Abruzzo la mossa era stata il fatto che l’Italia è la patria dei “padrini” che li sostengono a distanza, per Haiti questa motivazione non tiene. Quello che è successo rende ancora più evidente che ciò che li muove è «dare ciò che han ricevuto», cioè quell’abbraccio quotidiano del Signore che si china su di loro attraverso amici (Rosetta, quelli di Avsi, Pigi...) che nulla chiedono in cambio.
Grazie a Fernanda, Lucio, Vanessa, e a tutti quelli che hanno la carità di testimoniare la posizione umana nuova di chi vive appartenendo ad un Altro. E quel che viene da Lui, quando è tragico, non si può mettere in discussione, anche se non si riesce a capire. Si può solo abbracciare.