Rafal Wieczynski.

WIECZYNSKI «Una tragedia che può farci capire chi siamo»

Cosa ha significato l’incidente di Smolensk? C'è una speranza? Mentre la Polonia dà l'ultimo saluto alle vittime, il regista del film “Popieluszko” ci spiega perché «può essere un'occasione per unire popoli lontani»
Fabrizio Rossi

«Anche nella tragedia, c’è una speranza: quel che è successo sta risvegliando la Polonia, facendoci vedere chi siamo davvero». Per il regista Rafal Wieczynski, che nel film Popieluszko ha raccontato la vicenda del sacerdote polacco ucciso dal regime nel 1984, sull’incidente aereo in cui il 10 aprile hanno perso la vita 97 persone, compresi il presidente Lech Kaczynski e le più alte cariche del Paese, non è la morte l’ultima parola: «Può essere un’occasione per approfondire la nostra storia. E per conoscere di più i valori per cui combatteva chi era su quel volo». Così, mentre Varsavia e Cracovia si preparano per i funerali di Stato di sabato e domenica, cui sono attesi anche il presidente Usa Barack Obama e il russo Dmitrij Medvedev, abbiamo chiesto a Wieczynski un aiuto a comprendere quanto successo e in che modo la Polonia potrà risollevarsi.

Per tanti, tra cui il fondatore di Solidarnosc Lech Walesa, questa tragedia è «una seconda Katyn». Cosa ne pensa?
È così. Come 70 anni fa nei boschi di Katyn, dove i sovietici hanno trucidato 22mila ufficiali polacchi, in un colpo solo abbiamo perso la nostra élite. Quando da un amico ho saputo dell’incidente, stavo attendendo un volo per Kiev. Ho subito pensato che era scomparsa una classe politica, ma soprattutto una parte importante della nostra memoria nazionale.

Lei conosceva personalmente diverse vittime...
Il presidente Lech Kaczynski aveva patrocinato il mio film. E Tomasz Mertam, viceministro della Cultura, aveva fatto molto per promuoverlo. Insieme a loro c’era anche Janusz Kurtyka, il presidente dell’Istituto per la Memoria Nazionale, che mi aveva fatto accedere ad archivi protetti, fondamentali per la sceneggiatura di Popieluszko. Altre erano persone a me molto care, come Anna Walentynowicz, l’ex operaia il cui licenziamento nel 1980 aveva provocato gli scioperi di Danzica... Abbiamo perso uomini e donne che avevano lottato per i nostri diritti.

Che cosa ha provocato, nel suo Paese, quanto è successo?
Sta avvenendo un fenomeno incredibile: i polacchi hanno superato le diverse opinioni sui politici morti sabato, riversandosi per le strade di Varsavia con canti e candele. Come se ci fosse qualcosa di più importante di partiti e schieramenti: quel che vediamo è un popolo unito nel dolore. E questo dà speranza. Siamo stati risvegliati, ci siamo scoperti commossi da questa tragedia e ci siamo riavvicinati gli uni agli altri.

Tra i segnali inaspettati, anche la grande solidarietà manifestata dai russi: il presidente Medvedev ha annunciato un giorno di lutto nazionale, una folla di persone ha reso omaggio alle vittime davanti all’ambasciata polacca a Mosca...
Non solo: il 7 aprile i primi ministri della Russia e della Polonia, Vladimir Putin e Donald Tusk, proprio a Katyn avevano celebrato insieme il 70° anniversario dell’eccidio voluto da Stalin. E, anche se non sono ancora stati resi pubblici i documenti d’archivio, si è trattato di un passo importante. La strada per dei rapporti migliori con la Russia è aperta: la gente viene a sapere cos’è successo veramente sotto il regime, e questo può unire i nostri popoli. Perché, come hanno ripetuto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e come ha testimoniato padre Jerzy Popieluszko con il suo martirio, solo partendo dalla verità si può perdonare il male. Una meta che, ora, è un po’ più vicina.