Silvio Cattarina e, a destra, Giorgio Vittadini.

L'IMPREVISTO È vent'anni che sono felice

Una festa a Pesaro, per celebrare l'anniversario di un'opera che ha fatto rinascere decine di ragazzi "pericolanti". E un libro racconta la storia di gente che, da nulla, ha ricevuto tutto...
Linda Stroppa

Non se le aspettava davvero 1.400 persone. Domenica 11 luglio, Silvio Cattarina, le ha guardate entrare stupito, nel cortile della cooperativa “L’Imprevisto” di Pesaro. Il tendone nel giardino della “comunità terapeutica educativa” per ragazzi disagiati, tirato in piedi per festeggiare i vent’anni di attività, si è riempito in fretta. «Vedere arrivare gli "ospiti" della prima ora, che si sono sposati, che hanno messo su famiglia. I loro genitori... mi ha commosso», dice Cattarina, che dell’Imprevisto è stato il padre fondatore. È lui che continua a guidare una storia che oggi non smette di crescere, con la comunità femminile “Tingolo per tutti”, con il centro diurno “Lucignolo” e due centri per il reinserimento. E poi la più giovane cooperativa “Più in là”, per aiutare a entrare nel mondo del lavoro.
Silvio è trentino, sposato con Miriam, quattro figli. Da anni vive a Pesaro, dove ha avuto inizio quest’avventura che, dice lui, gli ha cambiato la vita. E che oggi è raccolta in un libro presentato proprio durante la festa. «Si intitola Torniamo a casa. L’Imprevisto, storia di un pericolante e dei suoi ragazzi. E il "pericolante", parola con cui si definivano i ragazzi oggi chiamati devianti, si riferisce a me. Perché siamo un po’ tutti pericolanti, abbiamo tutti bisogno di incontrare qualcuno che ti parli di un senso, di un significato della vita». Ecco. A Pesaro, in questi vent’anni è accaduto. A seicentoquarantaquattro giovani. Tanti sono i nomi pubblicati in fondo al libro degli ospiti della cooperativa dal 1990 a oggi. E tanti di loro alla festa c’erano. E hanno raccontato quello che gli è successo.
«Sono uscito da qui il 27 marzo 1994», ha raccontato Gabriele. «Quattro anni dopo mi sono sposato. Ho quattro figli e faccio il contadino. Troppe cose avrei da dire a questo luogo che mi ha visto ri-nascere, ad alcuni volti che dopo 16 anni mi cambiano ancora la garza alla ferita. Perché la nostra ferita è sempre un po’ aperta, perché noi ci guardiamo sempre come piante un po’ “torte”, un po’ deboli, un po’ fragili. Il punto per me non è più la droga. È il lavoro, la famiglia, i figli. È la ricerca insaziabile di qualcosa che non finisca». E poi Enrico. Anche lui ora ha messo su famiglia. Era arrivato all’Imprevisto dopo una serie di insuccessi in altre comunità: «Oggi sono certo che non esistono sostanze che aiutano a vivere con più facilità tutte le prove che uno deve affrontare nella vita. L’unica possibilità è quella di amare ed essere amato. Se mi avessero detto, tempo fa, che avrei avuto una famiglia mia e degli amici così splendidi non ci avrei mai creduto». Ancora, Sabina, madre di Sonia e Serena, che «oggi grazie alla comunità sono delle nuove persone, preziose», dice. Ma poi aggiunge che, perché questo possa accadere, «occorre che qualcuno, un amico, un grande amico sappia aprire le orecchie del cuore, sappia parlare e far parlare, sappia vedere ciò che abitualmente non si può e non si riesce a vedere».
«Vent’anni che sono felice», dice Raffaele. «Quando sono entrato qui finalmente ho avuto qualcuno con me, accanto a me. Avevo una casa, sapevo con chi piangere e dove piangere, dove andavano a finire le mie lacrime. Non avevo niente, ho avuto tutto: libertà, affetto, grandezza, dignità, onorabilità, rapporti, amici».
«Io, gli operatori, chi ha lavorato con noi... Cosa abbiamo portato a casa in questi vent’anni?», si è chiesto Cattarina rivolto alla platea di amici e a quelli che lui stesso ha definito i due «angeli custodi» di questa opera: Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e Gianfranco Sabbadini, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro. «Un grande abbraccio di misericordia», ha spiegato Silvio. «Tutti questi ragazzi che ci sono stati donati. Che merito possiamo mai vantare per aver ricevuto un dono così immenso e speciale? E come un dono li abbiamo guardati. Un ragazzo ha detto: “A noi dite le stesse cose, e nello stesso modo, che dite ai vostri figli”. Non siamo soli, non siamo sfortunati, non siamo abbandonati. Non siamo nati male o sbagliati. Perché Dio è grande, ed è prezioso l’uomo e tutto quanto vive nel suo cuore».