Massimo Franco.

«Chiesa e Costituzione, salvagenti dell’Italia»

Dopo il plauso al cardinale Bagnasco sul "Corriere della Sera", l'editorialista Massimo Franco spiega perché il «cattolicesimo tricolore» può contribuire a salvare il Paese
Angelo Picariello

Massimo Franco, in un editoriale sul Corriere della Sera di martedì a commento della prolusione del cardinale Bagnasco, aveva rimarcato il «cattolicesimo tricolore» evocato dal presidente della Cei come possibile, ed auspicabile, fattore unitivo in un Paese lacerato dalle risse politico-territoriali. Bagnasco, aveva scritto, «sembra assegnarsi un ruolo di difesa dell’unità nazionale, che seppure su un piano diverso si affianca a quello naturale del capo dello Stato». Per Franco, «l’invito ai cattolici a “scendere nell’agone” si rivolge ad una realtà politica desertificata. Ma almeno Bagnasco chiede un’assunzione di responsabilità che toglie alibi a molti». Dopo l’esito del voto di fiducia al Governo che è parso segnare una tregua, però, dalle parole dell’editorialista del Corriere traspare pessimismo, sebbene sullo sfondo resti una tenue speranza.

Dal dibattito in Parlamento, che il Paese peraltro ha potuto seguire in diretta tv, è scaturito quell’auspicato scatto in avanti?
C’è stato, ma temo sia stato tardivo. E la Lega già fa sapere di preferire le elezioni, confermando quanto si era saputo, e cioè che aveva premuto nei giorni precedenti in quella direzione. Il tentativo unitario arriva alla fine di tensioni bruttissime, e con poche possibilità di riuscita. E il Carroccio, ormai azionista di riferimento della maggioranza, si mostra deciso a far pesare il suo ruolo.

Da Bagnasco è venuto anche un nuovo pressante invito ai cattolici a rendersi protagonisti sul fronte del bene comune. Avrebbero potuto fare di più per arginare questo scontro belluino, possono ancora fare di più?
Purtroppo, in questa fase vedo i cattolici quasi irrilevanti. Non li percepisco come una presenza incisiva. E temo che riflettano la crisi non “del” Vaticano ma di “un” Vaticano: nel senso che ho l’impressione si sia chiusa un’epoca, e se ne debba aprire un’altra. Gli scandali sulla pedofilia, le tensioni al vertice, quelle che all’esterno appaiono gaffe, ed un profilo internazionale meno incisivo sono sintomi del tramonto di una fase nella quale il Vaticano era l’Occidente, pur travalicandolo con la sua proiezione mondiale. Si tratta di un passaggio confermato dalla decisione di Benedetto XVI di creare un “ministero” per rilanciare il cattolicesimo in Occidente. È la crisi di “un” Vaticano plasmato dalla Guerra Fredda, non del Vaticano. Ma, restando all’Italia, Cei e Vaticano, in un momento di diffusa miopia, tentano di indicare la strada per tenere unito il Paese. Mi pare, ed è quello che sottolineavo nel mio fondo sul Corriere, che la Cei con Giorgio Napolitano siano oggi due punti di riferimento paralleli e sicuri all’opera per salvaguardare una visione e un progetto nazionale.

Realtà come il Meeting di Rimini, o le Settimane sociali, o la carità diffusa che opera nel volontariato sono dei fatti, concorderà, incidenti e rilevanti. L’irrilevanza cui lei allude, se capisco bene, è invece riferita al travaso in politica di queste istanze. Ma allora: che cosa si può fare per sanare questo difetto di comunicazione e di rappresentanza?
Come si possa fare non lo so. Certo, sono vistosi lo scarto fra il radicamento e l’influenza della “società cattolica”, e l’assenza di una classe politica in grado di rappresentarli. È in parte una conseguenza della fine della Guerra Fredda, di un sistema elettorale maggioritario estraneo alla cultura della Chiesa, e di una difficoltà ad adattarsi alla nuova situazione.

Riforme per il bene comune, chiedono ancora i Vescovi. Berlusconi ha rilanciato il quoziente familiare, la componente di Fini ha ribadito, con nettezza, la sua disponibilità. Quella dell’Udc è nota, il Pd persino potrebbe starci. Perché non partire, allora, da una riforma condivisa che distribuisca in modo più equo le (poche) risorse a vantaggio delle famiglie con figli, che sono sull’orlo della povertà?
Fin qui hanno prevalso logiche conflittuali e centrifughe, rispetto alla volontà di costruire. E nonostante la disponibilità dichiarata di tutti, temo che anche su punti condivisi come questo ci si prepari solo a rinfacciarsi, in campagna elettorale, le responsabilità di non aver realizzato i buoni propositi. Inutile aggiungere che spero di sbagliarmi.