IRAQ «Hanno ucciso la gente faccia a faccia»
Intervista a don Robert Jarjis, amico dei preti assassinati a Baghdad. Mentre, a una settimana dall'attacco di Al Qaeda, vengono uccisi altri due fedeli. «È un olocausto che nessuno vuole guardare»Don Thaer era il suo compagno di banco in seminario, il suo amico. Poco più di una settimana fa è stato ucciso mentre diceva la messa. Aveva trentadue anni. «Stava celebrando l’Eucaristia. Il suo sangue si è mischiato con quello di Cristo sull’altare», dice don Robert Jarjis. Dopo l’ordinazione sacerdotale, lui ha proseguito gli studi a Roma, mentre Thear è rimasto a Baghdad. Ha saputo della sua morte al telefono, prima che le agenzie di stampa rimbalzassero al mondo la strage di Al Qaeda nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Soccorso. Poi la notizia è arrivata. Se ne è parlato per qualche giorno, sulle prime pagine dei giornali. «Ma già ora è calato il silenzio. Quello è un olocausto che nessuno vuole guardare».
Don Thaer aveva paura di vivere e servire la Chiesa a Baghdad?
Negli ultimi mesi sembrava tutto tranquillo. Anzi, da là mi dicevano: «Finalmente, Robert, qui si respira. Forse qualcosa sta cambiando». Poi, all’improvviso, accade questo. Un attacco crudele, sembra una nuova fase della persecuzione.
Perché?
È il primo caso di questo genere, non ha precedenti. Le chiese sono sempre state attaccate, ma da fuori. Questi uomini invece sono entrati, durante la messa. Hanno ucciso la gente faccia a faccia. Anche le donne e i bambini (nove bambini, tra i quali uno di tre anni e due di pochi mesi; ndr). Per un uomo islamico è un disonore inconcepibile. Invece loro non hanno fatto distinzioni. Come per una volontà di sterminio. Anche chi è rimasto ferito, in questi giorni, sta morendo.
I due sacerdoti, don Thaer e don Wasim, sono stati i primi a essere uccisi.
I terroristi hanno chiuso le porte. Thaer ha fatto salire la gente sull’altare per farla rifugiare in sacrestia, l’ha chiusa lì dentro. Ha pregato quegli uomini di lasciare in pace i fedeli e di prendere lui. Loro lo hanno riempito di pallottole. Padre Wasim era nel confessionale, è corso fuori e li ha supplicati di pregare insieme, per la pace in Iraq, ognuno a suo modo e ognuno al suo Dio, lasciando stare gli innocenti. Loro lo hanno portato sull’altare e lo hanno ucciso. Aveva ventisei anni. In chiesa c’era anche il fratello di Thaer, è morto anche lui. E c’era sua madre, che ha visto e vissuto tutto.
Le persone in sacrestia?
Qualcuno si è salvato, altri sono stati raggiunti dai colpi di mitra sparati contro la porta. Una madre ha salvato suo figlio di cinque mesi chiudendolo in un cassetto. Un’altra donna incinta è stata presa da un terrorista, che si è fatto esplodere insieme a lei. Senza pietà, non solo per i vivi, ma anche per chi doveva ancora nascere.
E l’intervento della polizia?
Sembra che non ci sia stata alcuna trattativa con il commando di estremisti. E i militari non sono intervenuti per fermare tutto, se non quando tanti erano già stati uccisi. Il governo, ora, cerca solo di salvare se stesso.
Lei tra poco tornerà in Iraq?
Molto probabilmente sì. Vado dove mi vuole la Chiesa. Per me non conta la mia vita, la mia vita è la Chiesa e io voglio fare tutto il possibile per il mio popolo.
Non ha paura?
Sono un essere umano. Forse sarò ucciso anch’io e di questo ho paura. Ma Cristo sarà sempre al mio fianco. E se morirò, altri uomini continueranno il mio compito. Ora c’è solo il dolore per le persone che sono morte. Quella domenica, il sangue di Cristo è diventato il loro. E questo non lo dice nessuno. Quel giorno deve essere ricordato per sempre. In tutte le chiese dell’Iraq, domenica scorsa si è celebrata una messa per le vittime, e la gente ci è andata. Grazie a Dio non è successo nulla. Ma il silenzio del mondo è già contro di noi: ci sembra di essere abbandonati al nostro destino. Perché non se ne parla più, e si aspetterà la prossima strage. Che il Signore abbia pietà di tutti noi.