Volontari della Colletta Alimentare 2010.

LA COLLETTA I volontari? Uno spettacolo

Una carrellata di lettere e testimonianze da chi sabato 27 novembre era tra le fila dei 100mila volontari che hanno reso possibile la raccolta annuale del Banco Alimentare

Mi avevi detto di raccontarti le cose belle. Bene, la più bella di tutte è stata la telefonata con il gestore del supermercato, domenica mattina. Mi ha detto che quando si è reso conto che stavo andando via subito dopo l’apertura (dovevo andare a organizzare un altro punto di raccolta), e che quindi avrei lasciato lì dei ragazzini quasi tutti sotto i 20 anni, si è preoccupato. Anzi era anche arrabbiato con me, perché pensava che sarei rimasta tutto il giorno. Solo che al telefono poi mi ha detto che si è dovuto ricredere, che era stupito e commosso per l’attenzione e la serietà con cui i “ragazzini” avevano lavorato, stando attenti a non disturbare i clienti, a raccogliere i volantini e le buste che qualcuno gettava via, tenendo pulitissimo l'ingresso, al punto che la signora addetta alle pulizie è tornata indietro a dirgli: «In terra non c’è neanche uno spillo». Per farla breve, mi ha detto che la sera, a casa, guardando i suoi figli, ha deciso che l’anno prossimo chiederà loro di partecipare alla Giornata di Raccolta.
Ecco cosa ha scritto un volontario su un blog che ho aperto tre anni fa per i volontari della Colletta: «Quando siamo verso la fine della giornata, siamo stanchi, tanto stanchi. Ci fanno male i piedi (se siamo stati in piedi davanti al supermercato), oppure la schiena (se siamo stati a far pacchi), oppure sia i piedi che la schiena. Ma se ci pensate bene, la contentezza per quello che facciamo è direttamente proporzionale al mal di piedi e/o al mal di schiena. Perché se i piedi e/o la schiena non si lamentano, significa che non si è dato il massimo, e se non si è dato il massimo, non si può esser contenti!».
Rita, Roma

Come ogni anno la fatica di fare il gesto della Colletta Alimentare è grande. Quando si avvicina il giorno dico a me stessa: «Quest’anno non lo faccio». E provo ad accampare giustificazioni: «Non ho più l’età, fa freddo, ho tante cose da fare etc...»
Poi parla don Carrón, e ci ridice le motivazione. E io “ci ricasco”. Tre giorni prima telefono per dare la disponibilità nella speranza che non ci sia bisogno di me. Non è così. Mi dicono il supermercato (non era quello sotto casa per cui avevo dato la disponibilità) e sabato mattina puntuale alle 8.30 mi reco sul posto. Sto per entrare dalla porta scorrevole e vedo i volontari che ci sono dentro e con cui avrei condiviso tre ore della mia giornata. L’istinto è stato quello di tornare indietro e di inventarmi qualcosa per giustificare la defezione. Non solo non ero finita nel mercato che mi era più comodo, ma mi trovavo con delle persone che mai avrei scelto, con cui ci conosciamo da anni, ma non ci siamo mai detti più di un “ciao”. In quell’istante, in una frazione di secondo, è accaduto il miracolo: mi è affiorata alla mente la domanda che da anni ci facciamo e che tu la settimana prima ci avevi ricordato: «Per chi stavo facendo quel gesto? Perché il Signore mi stava chiedendo quel sacrificio (perche quello era stato per me in questi anni )?» Ho avuto una risposta chiara: «È per te, Ines, quello che stai andando a fare è per te». In quell’istante ho abbattuto la barriera che in quel momento erano le porte che si aprivano e si chiudevano. Non ho avuto più bisogno di auto-convincermi che dovevo farlo. Ma è cambiato lo sguardo alle persone che mi sono trovata davanti: le ho salutate come non avevo mai fatto, ho chiesto loro dei figli e li ho invitati a bere un caffè. Cosi ho incominciato a dare il sacchetto alle persone che entravano. Chiedendo: sa cosa è il banco alimentare? E dentro di me mi dicevo: io l'ho scoperto solo oggi! Non vedevo l'ora di raccontare quello che mi era successo.
Dopo la giornata della colletta ogni anno gli amici raccontano l'esperienze che hanno fatto e io mi chiedevo sempre: ma perché a me non succede mai niente? Tornavo a casa sempre scocciata o infreddolita dicendomi: l'anno prossimo non lo faccio più. Invece è accaduto anche a me! Ancora adesso quel momento mi riempie di gratitudine e di gioia.
Ines, Buccinasco

Purtroppo nel giorno di ieri non ci siamo incrociati, però vorrei raccontarti la mia colletta alimentare. Come sai ho fatto il camionista jolly. Non posso non dirti che alla fine della giornata (l'ultimo giro l'ho finito alle 23) ero veramente stanco! Proprio perché ero Jolly ho avuto la grande possibilità di lavorare un po’ da tutte le parti: dal magazzino, al punto vendita delle Piagge e, come ovvio, come trasportatore da vari supermercati. Fin dall'inizio della giornata mi sono accorto della bella gente che lavorava alla colletta alimentare (in questi giorni dalle televisioni alla politica al periodo che passa l'università non è assolutamente scontato trovare gente così!). Felice di lavorare insieme a loro, anche con vecchietti poco scattanti, ho iniziato con energia la giornata della colletta. Poi è venuta l'ora X per i camionisti Jolly (circa le 19): arriva la chiamata di Leonardo che mi chiedeva di fare gli ultimi giri dai punti di vendita più piccoli...ancora più stanco ma sempre più contento, parto col mio camioncino per andare a recuperare il carico della giornata di questi supermercati. Tutto di corsa perché i tempi erano stretti, ho fatto il giro. Torno a Calenzano, si scarica... e viene la fine! Torno a casa molto stanco, così stanco fisicamente che quasi mi si chiudono gli occhi. Porto il furgone alla Misericordia e arrivo a casa verso le 24.
Oggi, ripensandoci, è evidente l'unità che c'era con quella gente, anche con le persone più distanti dal mio temperamento, queste persone le sentivo amiche, perché lavoravamo insieme per la colletta. Per un'opera grande. Più grande di noi. Più grande anche del piccolo aiuto che avranno le famiglie italiane dalla colletta alimentare.
Marco

Ti scrivo di un fatto che mi è accaduto quest’anno durante la colletta alimentare. Come ogni anno infatti ho partecipato alla giornata nazionale della colletta alimentare come volontaria al supermercato. Per me è un gesto che ormai ogni anno si ripete quasi automaticamente, dandolo per scontato. Ma qualcosa è cambiato: approfittando di un momento di calma sono entrata al supermercato per fare la spesa anch’io. Mentre aspettavo il mio turno alla cassa per pagare vedo accanto a me un signore cui avevo chiesto di fare la colletta ma mi aveva liquidato dicendo che non gli interessava perché non credeva a queste cose. Lui mi guarda e mi dice: «Ma fai anche tu la spesa?». Ed io gli rispondo: «Certo non sto qui a chiedere la carità agli altri, ma a farla io». E lui, strappandomi un sacchetto dalle mani, mi dice: «Ma allora non posso non farla anch’io». Io non so spiegarmi come è possibile che una posizione come quella che lui aveva assunto entrando potesse essere smontata da quel fatto. Ma mi ha fatto rendere conto di quanto quel gesto per me scontato è in realtà una grande Grazia che viene donata a me prima di tutto, ma anche a chi (come quel signore) rimane affascinato da un gesto cosi apparentemente banale come quello della spesa.
Emanuela, Palermo

Ho incassato il mio primo “stipendio” dopo 18 mesi di disoccupazione. 110 euro in voucher per aver lavorato una settimana, 21 firme, anche la burocrazia sembra sottolineare il cambio di marcia, una firma ogni 5 euro di salario e mezz’ora di fila alla posta per incassarli. Probabilmente per il fisco italiano un disoccupato non può avere un conto corrente con un codice IBAN… Mentre contavo - comunque grato - la cifra incassata, mi è venuto in mente che era anche la giornata della Colletta Alimentare. E mi è ricomparsa davanti agli occhi, come in un flashback, la scena vissuta alcuni anni fa quando una volontaria porse il volantino e la busta ad una signora anziana che entrava al supermercato: «Ecco signora - le disse - oggi è la giornata della Colletta, se può lasciare qualche alimento all’uscita …» Ma la signora rispose: «Mi dispiace, ma ormai io sto dall’altra parte». La volontaria insisteva mentre io pensavo: «E lasciala perdere, poveretta…». Invece all’uscita la signora tornò al nostro banchetto per lasciare qualche scatola di legumi. Il volantino e l’insistenza - che io avevo frettolosamente giudicato indelicata - aveva messo in moto la dinamica per cui i bisogni messi a fattor comune comunicano di per sé anche il Senso della vita.
È stato perciò una conseguenza, per me, entrare a fare la mia colletta da lasciare ai volontari all’uscita, meravigliati perché quest’anno non ero “con loro”…
Se sapessero… lo sono più che mai.
Francesco

Il 27 alle 9 in punto ero al più grande supermercato di Firenze. Subito rimango colpito da 20 alpini che erano già in azione pronti ad accogliere i sacchetti lasciati dalla gente che usciva dal fare la spesa. Erano tutti anziani ultrasettantenni ma erano belli con i loro cappelli e la penna d’aquila lisciata per l’occasione. Quando poco dopo un gruppo di una quindicina di ragazzini della scuola calcio faceva la spola tra i loro carrelli e il punto di inscatolamento è stato bellissimo vedere il nuovo e il vecchio lavorare insieme con una gioia nel cuore e una speranza vera per tutti, altro che “rottamatori” come qualcuno proprio qui a Firenze sostiene in questo periodo di turbolenza politica.
Gabriele figlio di un nostro caro e grande amico scomparso 4 anni fa prematuramente, alle 9 era già in cima all’uscita della scala mobile e non passava nessuno che non li prendesse il volantino della colletta con i prodotti da donare. Lui l’ultimo sabato di novembre è sempre stato lì, fin da quando aveva 3-4 anni, e sempre in quel supermercato lì, col suo babbo. Quello del donarsi agli altri sarà sicuramente il lascito più bello che gli è stato fatto da suo padre.
Quanta gente, quanti amici e quanta roba... e quanti ragazzini a dividerla e a inscatolarla! Si perché di roba donata dalla gente ne stava arrivando a fiumi, interi carrelli pieni. Un signore, dopo aver lasciato 3 buste piene al banco, è andato via e poi è ritornato dicendo che aveva ancora 120 euro di spesa da fare per il Banco. Incredibile era già andato via, aveva già dato, capite? Eppure ha sentito il bisogno di tornare indietro, un po’ come il decimo lebbroso del Vangelo. E non per riconoscenza con i volontari, macché. Qui l’operato e il merito è tutto di un Altro.
Ho ripensato alle parole di don Mauro Inzoli che diceva citando un passo del Miguel Mañara, in cui Miguel dice: «Ma perché ci ho messo così tanto a capire di avere un cuore buono?». Questo è accaduto durante la colletta di sabato: non è per la pubblicità fatta, o per l’effetto mediatico, che la colletta è stata straordinaria quest’anno o per la partecipazione di volontari e donatori; ma è perché è la gente stessa che ha voglia di “essere buona”, di capire che ha un cuore buono al fondo. E ti chiede, vuole sapere e dona qualcosa di sé insieme con la spesa.
Come quel ragazzo senegalese che vendeva la sua roba davanti ad un supermercato a Donoratico così stupito dai volontari che stavano facendo la colletta che ha chiesto timidamente come poteva aiutare e quando una volontaria senza fare discorsi gli ha infilato la pettorina gialla del volontario, si è commosso fino alle lacrime, perché è come se gli fosse stato detto: «Guarda che sei anche tu dei nostri, anche tu sei come noi, bisogno di capire e bisognoso di sperimentare la carità su di te aiutando insieme a noi altri ancor più bisognosi di te e di me».
La sera a cena con 26 carcerati del carcere di Massa volevo esserci per ringraziarli ed ho portato con me mio figlio più grande ed un carissimo amico. È stato commovente: gente provata dalla dura vita del carcere, oltre che dalla fatica della giornata passata a fare la colletta (ed era il giorno del loro permesso premio mensile!). Mi sono trovato a cena accanto a tre ergastolani e facevano tenerezza, gente semplice, profondamente lacerata dal rimorso e dalla convivenza quotidiana per gli errori fatti nella loro vita, stanchi e allo stesso tempo lieti di essere lì, di aver fatto la colletta anche quest’anno, di esser stati utili ad altri. Si vedeva che erano anche amici veri tra loro, e in carcere non c’è scelta, o si è amici veri o non si è niente l’uno per l’altro. Un altro di loro, Abidi, franco-tunisino con 14 anni di pena scontata, giustamente diceva lui, ma altri 4 invece di pena ingiusta,lo avevano incastrato in questa seconda pena (e non la meritava questa), aveva fatto venire lì alla cena i due figli di un suo “collega” di carcere. Faceva tenerezza l’attenzione che aveva verso di loro perché fossero a loro agio perché fosse di loro gradimento quel che avevano ordinato da mangiare. Mi ha raccontato che era rimasto stupito da una signora che l’ha chiamato nel supermercato, e l’ha portato con sé a fare la spesa per il Banco Alimentare e non so quanti carrelli gli ha fatto riempire, dice: «Facevo la spola dai corridoi alle casse e alla fine questa signora ha speso 475 euro di spesa da regalare, incredibile».
Don Mauro mi aveva detto: «Abbracciami i carcerati, e dì che Gesù si è identificato con ognuno di loro, per cui la cena che fate con loro, la fate con Gesù. Deve proprio essere bello cenare con Lui e guardare come mangia, come beve, come parla e soprattutto come guarda». Io ci ho provato, desideravo provare questo, ma per me era difficile, ho una misera fede. Don Mauro mi impressiona in questa sua capacità di vedere così oltre, rispetto a me, rispetto a quello di cui io riesco ad accorgermi. Ma l’ho fatto, li ho ringraziati, abbracciati ed ero più felice! Gli abbiamo offerto la cena e non se l’aspettavano.
Ho finito la giornata di sabato con negli occhi lo sguardo di Marco, uno dei ragazzi della Casa Rossa di Carrara che siamo passati a ringraziare dopo la cena con i carcerati di Massa. Uno sguardo raggiante sorridente, difficile vedere un ragazzo così giovane i cui occhi parlano così da soli e che dicono che la vita è bella, che c’è speranza e voglia di donare sé e di crescere.
Poi alle 2 di notte i primi risultati inaspettati delle tonnellate raccolte in Toscana ed in Italia, oltre le previsioni, ma questo solo dopo, solo alla fine, questa è un altra storia.
Ora penseremo a distribuirli al meglio ai nostri fratelli poveri.
Leonardo Carrai, Firenze

La Colletta la faccio da 10 anni e fin dalla prima volta son sempre tornato a casa stanco, ma felice, con maggiore chiarezza sul fatto che la Carità mi compie molto più dell'individualismo solito. Ma non c'è solo questo ed ora ti spiego cosa ho scoperto. La Colletta di quest'anno è stata un susseguirsi di segni. Vedere quante persone si siano implicate facendo i volontari (tra l'altro nel mio supermercato anche una ragazzina musulmana col velo) e vedere quante persone abbiano offerto parte della spesa per chi ha più bisogno (sinceramente quelli che avevano più una parvenza da povero davano di più) mi ha fatto sorgere un interrogativo: «Ma perché? Perché esiste un gesto così, un gesto di Carità di un intero popolo? Un gesto di sacrificio (dare il tempo, dare il denaro) che coinvolge così tante persone?». La risposta è la stessa, il “perché ultimo” per cui ho aderito alla Colletta. Nella Storia la Carità si è introdotta stabilmente quando un uomo, che è Dio, ha dato la sua vita in croce per salvare esseri miseri (e anche un po' miserabili) come me, si è piegato su di me. La mia Carità non brilla di luce propria, ma è il riflesso dell'immensa Carità che ricevo tutti i giorni da Cristo, ad esempio nella confessione. Nel mio sacrificio partecipo, rispondo, per quel poco di cui sono capace, al Sacrificio di Cristo.
La Colletta cambia me, rendendomi più concreto Cristo; adesso Lo conosco un po' di più, perché ho rivisto i suoi “tratti inconfondibili” accadere nella mia gente e, incredibilmente, anche in me. E, guarda un po', ho capito anche di più la Scuola di comunità sul sacrificio: vedendo ciò che accade nel Reale, non divagando nei miei pensieri! Adesso desidero che questo nuovo sguardo investa anche il mio lavoro di ogni giorno.
Guido, Segrate

Da ormai sei anni noi, Seminaristi del Pontificio Collegio Urbano «De Propaganda Fide», insieme ad un nostro amico sacerdote, prestiamo il nostro semplice contributo per questo gesto piccolo ma grande nello stesso tempo. Eravamo a Fiumicino, abbiamo incontrato tantissima gente; e mentre proponevamo il gesto gratuito di carità, ci accorgevamo che diventava sempre più chiaro il motivo per cui stavamo lì. Nel dire il nostro si a don Remigio che come tutti gli altri anni ci aveva proposto di vivere questo momento diventava sempre più chiaro che in ultima analisi dicevamo il nostro si a Cristo. Tantissime persone ci hanno ringraziato e nello stesso tempo ci hanno incoraggiati. Abbiamo lavorato tantissimo per tutto il pomeriggio di sabato fino alle 22.30 e anche dopo per riordinare i pacchi. Ma nonostante il lavoro e la fatica abbiamo sperimentato una grande gioia e una letizia. Ritornati in collegio, durante la cena delle 23.30, ci siamo ridetti che avendo chiaro il motivo per cui eravamo andati, anche la stanchezza poteva trasformarsi in una gioia, nonostante il dolore ai muscoli di alcuni di noi per aver trasportato a mano i pacchi sui pulmini. Noi proveniamo da paesi che spesso sono in difficoltà, dall’India, dal Messico, dall’Ecuador, dal Camerun e da tanti altri paesi dell’Africa e dell’Asia ed è nata subito tra di noi una domanda. Abbiamo visto una cosa bella. Come questo può essere possibile anche nei nostri paesi? Capiamo che è molto difficile però pensiamo che non siamo soli.
Grazie di cuore.
I seminaristi del Pontificio Collegio Urbano De Propaganda Fide

Lo spettacolo al Banco è stato realmente un miracolo. All'Angelus, verso mezzanotte, prima di mangiare 110 pizze con i volontari che dopo una giornata al supermercati sono stati fino a notte fonda a scaricare i camion che arrivavano al magazzino, ci siamo detti: «I miracoli li abbiamo visti». Se adesso andiamo avanti come se niente fosse, come i 9 lebbrosi guariti, ci perdiamo il meglio! Vogliamo essere come il decimo lebbroso che, attraverso il miracolo, riconosce Gesù presente che opera. Questo permane e cambia la vita.
Massimo, Catania