Ilaria Schnyder, Alberto Piatti e Franco Frattini.

SVILUPPO Il fattore umano? È scientifico

Una tavola rotonda alla Farnesina: Franco Frattini, Giuseppe Folloni e Alberto Piatti. Dal Brasile due storie che raccontano l’incidenza reale della persona sulla crescita economica
Paola Ronconi

Sviluppo fa rima con persona. È quanto è emerso lunedì 6 dicembre nella sala Aldo Moro della Farnesina durante il dibattito sul volume Alla radice dello sviluppo: l’importanza del fattore umano. Oltre al ministro degli Esteri Franco Frattini, erano presenti gli autori Ilaria Schnyder, ricercatrice del Dipartimento Sviluppo e Cooperazione della Fondazione per la Sussidiarietà e Giuseppe Folloni, ordinario di Economia applicata all’Università di Trento. Ha introdotto Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi. Moderatore Roberto Fontolan responsabile del Centro internazionale di Cl di Roma. Il tomo di quasi 350 pagine è uno studio approfondito sulle attività e politiche di cooperazione internazionale che vuole rispondere alla domanda: come “accade” lo sviluppo? In particolare, gli autori hanno analizzato due esperienze (in termini tecnici, due case study): l’opera dell’associazione dei Trabalhadores Sem Terra di San Paolo di Cleuza e Marcos Zerbini e il recupero dell’area di Ribeira Azul nello Stato di Bahia, Brasile. Perché, si sono chiesti, le attività di aiuto dei Paesi ricchi verso quelli in via di sviluppo spesso non raggiungono i risultati attesi? Il problema è complesso e comprende moltissime variabili: economiche, sociali... Una certa letteratura dà “la colpa” a scarsità di investimenti, mal utilizzo dei fondi, poco controllo su chi ne beneficia, corruzione. Tutti elementi reali. Da questa ricerca e dai due casi analizzati, però, emerge altro: ciò che ha un’incidenza fondamentale sullo sviluppo economico è lo sviluppo della persona, un fattore considerato secondario soprattutto in situazioni di povertà. Come i soggetti coinvolti rispondono agli aiuti è decisiva. «Se chi riceve non si sente protagonista, come la logica del vecchio assistenzialismo ha fatto per anni, non è interessato a costruire qualcosa», ha detto il ministro Frattini, cogliendo in pieno la questione. Nelle politiche di riduzione della povertà «bisogna dare centralità al destinatario, che è l’individuo» al posto della «centralità delle procedure». L’economista e scienziato sociale Albert Hirschman già nel 1958 affermava che lo scopo dello sviluppo è mobilitare e valorizzare capacità nascoste, disperse o male impiegate già esistenti all’interno delle realtà di Paesi economicamente arretrati.
Ma cosa voglia dire “centralità della persona” lo spiega uno degli autori della ricerca, Giuseppe Folloni: «Vuol dire che nello sviluppo è necessario che si generi un soggetto che guarda la realtà in un modo adeguato: nella storia europea, ad esempio, la crescita è diventata stabile perché c’è stato uno sviluppo umano tale per cui la gente ha iniziato a costruire». E come nasce questo soggetto? «Perché la gente si costruisca una casa, lavori, rischi o decida di investire occorre che abbia dei rapporti che diano una certa speranza. Che portino la persona a essere certa che il tempo, la fatica, i sacrifici daranno il loro frutto. Se accade in una comunità, la gente risparmia, manda a scuola i figli, decide di cambiare lavoro, costruisce asili con una tenacia che prima non aveva». Appare evidente come l’origine di queste dinamiche non si possa tradurre in modelli. In questo studio c’è una analisi di tipo scientifico, empirico che arriva a conclusioni che vanno oltre la scienza e l’economia: «Documentiamo, attraverso le due esperienze brasiliane, che nel processo “visibile” è successo qualcosa d’altro: si sono accorti attraverso un incontro che “noi possiamo fare”».


G. Berloffa, G. Folloni, I. Schnyder
Alla radice dello sviluppo: l’importanza del fattore umano
Guerini e Associati

pp. 344 - € 15