Possiamo aver fame da soli?

PRIMO PIANO - ALL'ORIGINE DELLA CRISI
a cura di Paola Bergamini e Fabrizio Rossi

Risposte che ci «appagano», ma non ci compiono:?così, a furia di accontentarci, «non sentiamo più la mancanza». Eppure ci sono fatti che dicono il contrario. Dieci personalità si confrontano con l’attuale «calo del desiderio».?E con la sfida del volantino di Cl


SIAMO SMAGNETIZZATI
O’lga Sedakova, poetessa russa

Oggi viviamo un «calo del desiderio». Non tanto nella potenza, quanto nella qualità. Siamo come smagnetizzati. Prendiamo per esempio l’arte contemporanea: l’unico desiderio che esprime starebbe nell’annientare, deturpare la realtà e il suo significato. Questo è ciò che accomuna le performance di arte: cosa nasconde? Forse una paura? Un rancore verso il mondo? Un senso di verità? È come se fossimo giunti al capolinea, e nulla avesse più senso: non possiamo illuderci che qualcosa resista.
Che tutto ciò sia dovuto al benessere diffuso? Non direi: ci sono innumerevoli esempi di persone che hanno abbandonato il benessere, per rischiare e mettere in piedi opere grandi. Piuttosto dipende dalla perdita di significato. Oggi la cultura di massa ci propone desideri che umiliano la nostra dignità, dal successo al comfort. Così manca il desiderio dell’impossibile. Ma senza quello, il possibile diventa vuoto.
Oggi sentiamo la perdita di un compito comune, la fine di una grande epoca. Come nel tramonto dell’Impero romano, vediamo il profondo vuoto della nostra civiltà e l’avvento dei nuovi barbari.
Eppure m’è capitato di incontrare giovani che non si abbandonano all’assenza di desideri, per esempio gli studenti credenti che incrocio in università. Davvero «Cristo è in grado di ridestare la persona»: la vocazione cristiana muove la persona, le dona unità. Perché, se dormiamo, non possiamo svegliarci da soli, per volontà nostra: ci vuole qualcun altro che ci svegli e ci doni vita.

LE STELLE SON LONTANE
Marina Terragni, giornalista

Il desiderio struttura l’umano, è nell’etimologia stessa della parola: de-sidere, la percezione della propria lontananza dalle stelle e il sentimento di struggimento perpetuo che ne deriva. Non siamo appagati dal “qui e ora”. Mai. Ecco, il probelma dei giovani è questo: sembrano mancanti di questa mancanza. È un dato inequivocabile da attribuirsi, secondo me, al venir meno della figura del padre, che ha determinato un cambiamento profondo della struttura psicologica dell’individuo. L’eclissi della figura paterna significa, come principio, la ricerca di un appagamento immediato; si sostituisce il desiderio con il godimento che blocca al “qui e ora”. Non si guarda più alle stelle. Da un punto di vista sociale questo si riflette nel consumismo più feroce, nel senso che negli oggetti pensiamo di trovare il godimento immediato, ma tutte le volte ne constatiamo il fallimento. Più ci riempiamo di cose, più il vuoto ci riempie. La risposta a questa mancanza non può, però, venire da un terzo astratto - lo Stato, l’ideologia -, ma dalla testimonianza individuale, dal “fare” di ciascuno. Questo può essere un esempio per i giovani. Perché sono gli esempi che funzionano non le prediche. Un’ultima puntualizzazione. L’analisi del Censis, che per la prima volta - fatto abbastanza nuovo - usa termini psico-analitici, non fa una distinzione importante, che è quella tra i sessi. Sto generalizzando, chiaro. Ma molto spesso abbiamo ragazze portatrici di un fortissimo desiderio e ragazzi annichiliti: è la crisi del patriarcato. E anche questo certamente si riaggancia alla perdita della figura del padre.

TESTIMONI “NEL” FARE
Massimo Carraro, presidente
del Gruppo Morellato


Mi sono ritrovato molto nelle parole del volantino. Sono sempre stato una persona che ha vissuto con desiderio e passione sia il lavoro, sia l’impegno con la vita. La fede per me deve diventare la testimonianza nel fare in ogni ambito. È necessaria una visione integrale della real-tà: non a caso come azienda affianchiamo il nostro lavoro a momenti di solidarietà, come l’opportunità di lavoro che offriamo, è un esempio, ai carcerati del Due Palazzi di Padova. Solo così si possono aiutare i giovani: dando esempi concreti. Siamo in una società dove i “vecchi” tendenzialmente si arrangiano, dove si gestisce l’esistente e, invece, per il nostro Paese c’è bisogno di stimolare il desiderio con nuove sfide, nuove scoperte, nuovi obiettivi. Nella vita personale e in quella comunitaria - penso al volontariato - ognuno deve portare i propri talenti. “Fare impresa” secondo una dimensione alta del termine significa che il profitto è uno strumento per il bene comune. Che poi è quello che dice il Papa nella Caritas in veritate.


SPAZIO AL RISCHIO
Enrico Letta, deputato Pd

Questo volantino coglie il problema essenziale: non abbiamo più fame. Non abbiamo fame di costruire, di correre, d’imparare, di metterci in relazione... Ecco il tema vero. Sì, il Censis parla di “desiderio”, ma preferisco il termine “fame”: rende bene la drammaticità del momento che attraversiamo. Perché non riusciamo più a spingerci verso nuove avventure: pochi, nel nostro Paese, oggi vorrebbero assumersi questi rischi. L’effetto è terribile.
Ci frena il benessere, il consumismo, certi modelli culturali in cui la cosa principale è raggiungere il successo senza fare alcuna fatica, come nel Grande Fratello. Ma senza fatica, senza rischio, non si ottiene nulla di forte, duraturo e importante nella vita.
Certo, «non basterà più una risposta ideologica... Saremo costretti a testimoniare un’esperienza»: questo passaggio è molto vero. Oggi è impossibile creare fantocci di ideologie: per costruire dobbiamo partire dall’esperienza, cioè da una relazione, da un incontro. Ce lo ha ricordato anche il presidente Giorgio Napolitano: tra le forze politiche servono dialogo e impegni con logica bipartisan. Come la legge sul rientro dei talenti presentata da me e Maurizio Lupi e appena approvata: un altro modo per dare spazio a chi ha questa fame e la gioca in ciò che fa.


LO SGUARDO CHE MUOVE
Geri Benoit, ambasciatore di Haiti in Italia

Da vari giorni sono presa da questa frase: «Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Significa che in ognuno di noi, in ogni punto del mondo, agisce la stessa forza: Dio. È Lui che muove e motiva ogni essere vivente. Può cambiare il nostro modo di guardare a Dio, ma ciò che non cambia è il Suo sguardo a noi: ci dona bellezza, forza, coraggio.
Per questo il popolo di Haiti non s’è mai arreso in secoli di schiavitù, povertà, disastri naturali... E ora, dopo il terremoto, in tutti vedo un desiderio ardente che ci spinge ad un progresso, a muoverci, ad andare avanti. Per ricostruire il Paese.
Per noi vivere significa non arrendersi mai. Lottare, cercare ciò che si desidera. Altro che «sazi e disperati». Ma anche chi è ricco e ha cibo, vestiti e salute, in fondo, ha qualcosa che lo spinge a cercare ancora di più: abbiamo sempre fame di qualcosa di diverso.
Quindi non penso che oggi la gente abbia smesso di cercare. Magari non lo fa nel modo giusto: abbiamo bisogno di imparare ad apprezzare la nostra vita. Non possiamo misurarci in base al successo, al lavoro o alla macchina che guidiamo: se la crisi ce li porta via? Ecco ciò che desidero, allora: che la vita sia unita, che non ci sia nessuna frattura in noi. Ma su questo abbiamo molto da lavorare.


IL PRIMO LAVORO È MIO
Claudio Rimoldi, presidente
della Vito Rimoldi spa


Quello che noto è la mancanza di progetti per il futuro, la tendenza a vivere un po’ alla giornata. Questo, a mio avviso, deriva dal fatto che la gente si sente sola, fa fatica a guardare oltre il proprio naso, c’è un pessimismo che imbriglia tutto. È vero che il contesto generale è deprimente, ma è la condizione in cui viviamo. Ho pensato alla mia esperienza: io mi trovo addosso un ottimismo, una voglia di fare, un’energia che non deriva solo dalle mie capacità. La fortuna è stata di aver incontrato delle persone, un gruppo di amici che vivono un’esperienza cristiana forte. È cambiato il mio atteggiamento in ogni ambito della vita. Un esempio rende l’idea. Dovevo fare alcune assunzioni a un certo livello. Normalmente si fanno i colloqui e alla fine si sceglie la persona che sembra rispondere meglio alle esigenze aziendali. Inizia a lavorare e operativamente emergono delle differenze rispetto all’idea iniziale. Se parti dal presupposto che quella persona devi provare a lasciarla correre, se sei disponibile a metterti al suo fianco per capire le ragioni, questa diversità può diventare una risorsa, una ricchezza per l’azienda. Significa avere un atteggiamento positivo verso la sua umanità, il suo talento, il suo modo di essere. Questo ha centuplicato il numero di frecce nel mio arco. Prima non era così: tutto doveva combaciare con la mia idea. Io ero diventato il tappo dell’azienda. Il primo lavoro da fare è su di sé, sul proprio desiderio di felicità, di letizia. Ora posso dire che questa è la strada.


SE BARATTI L’ETERNO
Madre Maria Geltrude Arioli, priora
del monastero San Benedetto, Milano


«Desiderare la vita eterna con ardente concupiscenza dello spirito», san Benedetto ammette e anzi incoraggia la “concupiscenza”, se l’oggetto è la vita eterna e se la sorgente è lo Spirito Santo che opera dentro di noi. La “vita eterna” non è la vita futura, è la vita di adesso, la vita piena, vera, per cui l’uomo è fatto. La capacità di desiderare è il senso del quotidiano, la forza che dà la voglia di costruire, di saper vedere e risolvere i problemi propri e altrui, del singolo e della società. Siamo fatti non per valori limitati, per realtà solo materiali, ma per l’infinito e l’eterno, per Dio. Se barattiamo l’infinito con l’infinita serie delle cose finite, con la sazietà delle cose materiali, se rifiutiamo la sana fatica, la bellezza del sacrificio che ci consente di avere dentro di noi uno spazio libero e accogliente per ricevere e per protenderci nel desiderio dell’Assoluto, il risultato è la nausea, l’apatia, il non senso che suscita solo cinismo e disperazione, persino perversione della natura alla ricerca di nuove emozioni. Qui sta davvero la radice dei mali del nostro tempo e della mancanza di orientamento, di senso, di gusto della vita, di consapevolezza del valore e della dignità della persona. Vivere ai margini del mondo per libera scelta, per poter nutrire senza distrazione unicamente il desiderio della comunione con Cristo vuol dire cominciare già oggi a godere, pur nell’oscurità della fede, di quel Volto che vedremo svelato. Ci si mette ai margini del mondo solo per essere più liberamente nel cuore di Dio e nel cuore della Chiesa e quindi nel cuore del mondo.


OGNUNO È PRESCELTO
Pupi Avati, regista

Leggendo il volantino ho ripensato agli incontri che mi capita di tenere nelle scuole, nei cineforum: inevitabilmente tutte le volte trovo ragazzi demotivati. La cattiva novella che da tutte le parti li raggiunge è questa: non c’è speranza, le opportunità migliori sono riservate solo a chi prende scorciatoie. Rinunciano già prima di cominciare. E la società fornisce loro gli alibi di questa rinuncia. E invece partendo dalla mia vicenda umana, a 72 anni io ribadisco che non è così, che non si può cedere all’omologazione. Ogni essere umano è portatore di una sua identità. Siamo unici e irripetibili. Cristianamente dico che ognuno è “il prescelto”. Ed è possibile affermare questa nostra unicità attraverso i talenti che ci sono stati dati. Abbiamo il dovere di dire chi siamo attraverso quello che facciamo. Singolarmente. Non sarà mai la massa a rappresentare l’individuo. La grande menzogna che imbriglia i giovani è questa: le loro speranze, i loro desideri sono dettati dal mercato.
Così se ne stanno rintanati nelle loro cucce e appena mettono fuori il naso hanno la riprova che il mondo è in mano agli sciacalli, che non vale la pena darsi da fare, coltivare speranze e sogni. Noi li abbiamo educati così, è il relativismo di cui parla Benedetto XVI; il peccato più grave.


RAGIONE DA MAESTRI
Silvano Petrosino, professore di Semiotica all’Università Cattolica di Milano

Il punto fondamentale centrato in pieno dal volantino - e meno male che qualcuno lo dice - è che la questione è antropologica, riguarda la concezione della persona. L’uomo è ragione e desiderio, un binomio inscindibile. Ma come la ragione non si può ridurre a intelligenza nel senso di problem solving, allo stesso modo il desiderio non è solo bisogno o ricerca di godimento e di piacere. L’uomo cerca una compiutezza. Per questo nel volantino si parla di «uomini all’altezza dei propri desideri», che non significa uomini di successo. Penso che nella storia il vero attacco non sia mai stato a Dio, alla verità, alla giustizia, ma all’uomo. La grande menzogna è a livello dell’umano, cioè a livello dell’immagine che l’umano ha di sé. Lì è il vero cedimento. Noi purtroppo siamo in un’epoca di grande cedimento dell’umano. La visione pubblica che viene data dell’uomo nelle sue dimensioni essenziali - affetto, dolore, sessualità eccetera - è totalmente menzognera. C’è una caricatura dell’uomo. Benedetto XVI è uno dei pochi che difende la ragione in senso pieno. Penso al discorso di Ratisbona, purtroppo equivocato e quindi non compreso nella sua profondità.
Ma come uscire da questa condizione? Il passaggio dal godimento al desiderio, dalla razionalità alla ragione è possibile solo attraverso un incontro con persone che documentano un’umanità diversa in tutti i campi della vita sociale. Cioè persone che vivono all’altezza dei loro desideri. I maestri. La responsabilità dei politici, è quella di dare spazio ai maestri. La funzione del potere è sopportabile solo se è un servizio.
C’è un altro passaggio importante: considerare l’uomo secondo tutti si suoi fattori significa accettare anche quelle che io definisco le “schifezze”, i fantasmi. Il vero uomo è colui che non censura nulla e che non si vergogna di nulla, perché accetta il limite come appartenente alla propria vita. Chiamare le cose con il loro nome: la zizzania è zizzania.


L’OSSIGENO DELL’UMANO
Margaret Somerville, direttrice
del Centro di Medicina, Etica e Diritto
della McGill University di Montréal


Le domande che solleva questo volantino sono una sfida immensa, non ci sono risposte facili. Penso che il «calo del desiderio» equivalga ad una perdita di speranza, cioè della certezza che ciò che facciamo ora sarà importante anche nel futuro. La speranza è l’ossigeno dell’umano. Senza, siamo morti.
Don Giussani osserva che «nell’appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti». È così, lo vedo nei miei studenti: la maggior parte è relativista e individualista. Per loro il valore predominante è la libertà di scelta, una libertà assoluta e un forte rifiuto dell’autorità, della tradizione e della religione. Molti non hanno alcuna tolleranza per la sofferenza, la guardano come il male più grande. Di conseguenza, tutto ciò che può sembrare ai loro occhi un sollievo è ben accetto (soprattutto se risponde al loro primo comandamento, cioè il diritto di scelta come l’eutanasia, l’aborto e la riproduzione artificiale): la fine della sofferenza giustifica qualsiasi mezzo. Il punto è che, per chi ha rifiutato Dio, il dolore non ha alcun valore.
Davvero ogni nostra mossa nasce da un’esigenza di compimento. Il problema è che la gente crede di poter raggiungere la felicità direttamente: abbiamo venduto ai giovani l’idea che si possa acquistare la felicità (consumismo), ma non è così. Per fortuna, ne incontro tanti «che documentano un’umanità diversa in tutti i campi della vita sociale». E fanno cose sorprendenti: aiutano gli ultimi, i loro coetanei senza prospettive, i senzatetto... Forse dovevamo proprio arrivare fino a questa situazione di perdita del desiderio, del timore e del Mistero, prima che la generazione successiva potesse capire quanto fosse grave. E iniziare così a lavorare per ribaltarla.