Studenti delle superiori all'entrata di una scuola.

LE PAROLE DEL PAPA La sessuologa: «L'affettività? Occasione educativa»

Parlare di sessualità ai ragazzi è una sfida. Dalla provocazione di Benedetto XVI, l'esperienza di chi, da vent'anni, aiuta i giovani a capire che «la loro richiesta affettiva è importante»
Paola Bergamini

La ragione la si può allargare oppure ridurre a uno spioncino piccolo piccolo da cui voler conoscere la realtà. È quello che è successo con il discorso del Papa al corpo diplomatico del 10 gennaio. Sulla portata universale delle parole di Benedetto XVI per cui «il primo dei diritti è cercare liberamente Dio» perché «la dimensione religiosa è la misura della realizzazione del destino dell’uomo», ben pochi giornalisti si sono soffermati. Troppe implicazioni, verrebbe da dire. Più facile estrapolare quelle cinque righe sull’educazione sessuale. E anche qui: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire (in questo caso leggere). Il Papa ha detto che esiste «un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione». Non certo che di educazione sessuale non bisogna parlare! E di riduzione in riduzione si sono scritte valanghe di parole per sottolineare l’importanza dei corsi nelle scuole essenzialmente come prevenzione alle malattie sessualmente trasmesse o a possibili gravidanze indesiderate. Ma la sessualità è solo questo? Meglio: è questo che desiderano sentirsi dire i ragazzi?
«No», afferma Maria Boerci, ginecologa, terapeuta in sessuologia direttore del Consultorio nella fondazione Camen (Centro ambrosiano metodi naturali) e collaboratrice con il Consultorio della famiglia, che da oltre vent’anni con un’equipe medico-psicologica tiene corsi nelle scuole superiori. «L’esperienza accumulata in questi anni e la conoscenza del mondo adolescenziale ci ha convinti che l’educazione sessuale può essere un’importante occasione educativa. La sessualità costringe a tenere unito il biologico, lo psichico, il relazionale e il sociale. Non può essere se non tenendo uniti questi livelli. È l’unità della persona. La sessualità ci fa fare i conti con l’attrattiva, con l’aprirci ad “altro” da noi stessi, ad una relazione concreta e duratura con un altro essere umano, in una prospettiva di cambiamento continuo. Questa è una grossa sfida per tutti. E i ragazzi ne colgono la portata». Ma come sono questi adolescenti? «Pieni di domande, di “perché?” con un’esigenza di riflessione personale a partire dalla propria identità, dal “chi sono?”. Rivelano un’immagine ben diversa da quello degli adolescenti come persone superficiali e propense solo al divertimento, soprattutto in ambito affettivo. Anche nella richiesta della più banale informazione “tecnica” sulla contraccezione, se approfondita assieme, ci può essere l’occasione di una ricerca personale sul come vivere pienamente un grande desiderio. I ragazzi ci chiedono spesso cosa ne pensiamo noi di certe convinzioni che loro si stanno facendo nel campo della sessualità. Gli adolescenti, a volte con irruenza e in modo provocatorio, lanciano un appello chiaro: entrare in relazione con loro, avvertire che ciò che portano, la loro richiesta affettiva, è importante prima ancora di ogni pensiero giusto e preconfezionato».
Come impostate il vostro lavoro? «Non andiamo nelle scuole in nome di un sapere che ci qualifica come “esperti sessuali”, ma in forza del nostro interesse per l’umano. Per questo è importante un continuo confronto tra noi “esperti” per acquisire una competenza, che ha basi nell’osservazione della realtà adulta e giovanile incontrata». Quindi incontrate i ragazzi. «Prima di entrare in classe per noi è importante vedersi con genitori e insegnanti, per far capire che tipo di percorso svolgeremo insieme ai ragazzi. Stiamo parlando di educazione, appunto, non di una serie di informazioni asettiche. Poi in aula siamo sempre almeno in due: uno per l’area medica e uno per quella psicologica. Questo per far capire la complessità della persona: affettività e sessualità sono termini che vanno di pari passo. Il primo gradino è instaurare un rapporto con i ragazzi, cercare di capirsi. Gli adolescenti non diffidano del dialogo con l’adulto, mentre generalmente si ribellano a modelli imposti non inseriti in un rapporto che li riconosce soggetti degni di essere presi sul serio in quello che pensano, dicono e sentono». Per questo nel primo dei 3/5 incontri programmati viene chiesto ai ragazzi di scrivere su fogli, che rimangono anonimi, le loro domande. «Questo ci permette di partire dalle esigenze che i ragazzi hanno in quel momento in quel contesto, per costruire insieme un percorso di riflessione. Certo bisogna essere molto attenti. Il foglio lasciato in bianco, la battuta scurrile, la domanda che vuole imbarazzare, sono tutti segni rivelatori di qualcosa d’altro. Bisogna andarci fino in fondo senza scandalizzarsi di nulla». Anche questo fa parte della sfida.