Il giornalista John Waters.

IL SENSO RELIGIOSO «Trovata la strada, le cose accadono»

In un dialogo pubblico a Dublino John Waters racconta del suo "incontro" con il libro di don Giussani, il «più rivoluzionario» che abbia mai letto. Perché gli ha permesso di «tornare a vedere». Un aiuto al lavoro di Scuola di comunità appena iniziato

Margaret Biondi: John, leggendo Lapsed Agnostic mi ha colpito il fatto che il Senso religioso non fosse un testo di riferimento che tu citavi di continuo nel tuo volume, ma che in un certo senso impregnasse l’intero libro. Non so se sei d’accordo…
Guardando alla tua esperienza personale, l’esperienza e la storia della società irlandese degli ultimi tempi, hai attinto molto a ciò che hai trovato in quel libro. Sei arrivato a dire nel tuo libro che se il cristianesimo ha un futuro in Irlanda e nel mondo, è legato a questo libro, Il senso religioso, e all’esperienza che vi sta dietro.
È un’affermazione impegnativa; posso chiederti come ti sei imbattuto in quel libro e cosa è accaduto nella tua esperienza per consentirti di fare una affermazione di tale portata?

John Waters: Sono incappato, o meglio mi sono imbattuto in quel libro in un bel modo. Credo che una volta trovata la strada giusta per noi le cose accadano velocemente, cominciano ad accadere - il che è piuttosto legato all’intero contenuto del libro, come spesso accade. Quanto a me, quando mi sono imbattuto in questo libro stavo percorrendo da un po’ di tempo un certo cammino, che in un certo senso tornava indietro nella direzione da cui venivo. Quando ero bambino ero profondamente religioso. Poi mi ero allontanato, trascinato via da quello che io consideravo il mondo moderno, la natura della logica del mondo moderno. Quando arrivai attorno ai vent’anni mi sembrava una cosa inevitabile che il cristianesimo in cui ero stato totalmente immerso da piccolo non potesse, non fosse in grado di resistere davanti a una cultura come quella in cui mi ero imbarcato, che mi attraeva tanto con la sua peculiare immagine della libertà, a prima vista così elettrizzante ed esaltante.
Davvero non c’era competizione, perché quando cominciai a conoscerla meglio non mi apparve in grado di sopportare quegli elementi di moralismo, di sentimentalismo nel rapporto con Cristo che quella versione del cristianesimo mi aveva dato. Anche se da piccolo per me era stato molto reale -un senso reale di presenza e di un rapporto - sembrava semplicemente venire meno di fronte a tutto ciò che pensavo di conoscere a quel tempo. Stavo imparando e assorbendo.

Così ho fatto un’esperienza particolare nella mia vita, essendo costretto ad affrontare il mio modo di essere, improvvisamente e inesorabilmente, per i miei problemi con l’alcol, per dirla chiaramente. Questo mi ha insegnato a guardare a me stesso, e mi ha mostrato che alcune delle convinzioni che avevo su di me e sulla realtà erano false. Io non ero una sorta di macchina dentro la realtà, che era stata caricata e ora doveva farsi strada nella vita verso qualche meta che potevo scegliere a mio piacimento.
Avendo scoperto queste cose su di me, ero più aperto ad altre scoperte. Tra queste il fatto che tutto quanto mi avevano insegnato da bambino, le cose che da piccolo davo per scontate, si dimostravano ora molto utili per me in questo cammino. Ed è circa a questo punto che ho incontrato Giussani e Il senso religioso.
Stranamente, ciò che prima di tutto mi ha attratto in quel libro, nel titolo, non è stata la parola “religioso” ma la parola “senso”, che mi ha davvero incuriosito: cosa poteva significare “senso religioso”? Era come un sesto senso?
Cioè, noi vediamo, sentiamo, parliamo. Ma cos’è questo altro senso “religioso”? Sarà forse qualcosa di nuovo?
Così ho preso in mano il libro con quell’idea in testa e ho cominciato a leggerlo dall’inizio. In fin dei conti, probabilmente, non un’idea rivoluzionaria.
Giussani, in un certo senso, prepara il terreno per condurci a un certo punto dentro noi stessi. Ci porta alla cultura, ci guida attraverso di essa, con un senso della cultura davvero innamorato della propria immoralità, che ero io. Anche ammettendo che il cammino che io stavo facendo mi stesse portando a una conoscenza più grande e che così mi stessi lasciando sempre più alle spalle il cristianesimo e tutta quella roba. Allora l’idea che uno potesse esaltare sempre più la sua ragione accostandosi a Cristo mi sembrava una contraddizione. La nostra cultura ci diceva l’esatto contrario: che la conoscenza era definita dal rifiuto di Cristo.
Solo dopo aver letto le prime 99 pagine, arrivato a pagina 100 delle 145 del libro, ho avuto un’illuminazione: quello era probabilmente il libro più rivoluzionario che avessi mai letto. Interpellava qualcosa in me che mi trascinava indietro nella mia vita fino al mio punto di origine e mi invitava a riguardare tutta la mia vita in un modo diverso, come se la mia vita fosse stata rianimata da un tipo diverso di conoscenza, di autocoscienza.
Questo è il paragrafo che mi ha fatto partire in quel cammino. In un certo senso dovrebbe essere l’inizio del libro, anche se capisco perché non lo sia. Ma è davvero il punto di partenza sostanziale del libro. In realtà il libro parte dai concetti di ragione, razionalità, moralismo e da tutti questi ostacoli che la nostra cultura (inclusa la nostra cultura religiosa) ha frapposto tra noi e la nostra autocoscienza. Poi Giussani arriva finalmente all’autocoscienza. Questo è il paragrafo che mi ha davvero parlato chiaramente spiegandomi tutto di me:

«Innanzitutto, per farmi capire, provoco un’immaginazione. Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all’età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo, l’assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale? Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una “presenza”. Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente della parola “cosa”. Le cose! Che “cosa”! Il che è una versione concreta e, se volete, banale, della parola “essere”. L’essere: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone. […] Chi non crede in Dio è inescusabile, diceva san Paolo nella Lettera ai Romani, (cfr. Rm 1,19-21), perché deve rinnegare questo fenomeno originale, questa originale esperienza dell’“altro”. Il bambino la vive senza accorgersi, perché ancora non del tutto cosciente: ma l’adulto che non la vive o non la percepisce da uomo cosciente è meno che un bambino, è come atrofizzato».

Ma anche quel paragrafo si potrebbe fraintendere e partire nella direzione sbagliata, cadere in una sorta di moralismo che ancora una volta vi spinge a fare la “cosa giusta”, a essere un buon “cristiano”, a vedere la verità, la luce. Ma non è questo che sta dicendo. Lui vuole condurti fino al punto di origine dentro di te, invitarti a ritornare a quel punto di origine, perché tu possa realmente vedere ancora, riattivare lo stupore che è la posizione corretta nei confronti della realtà, lo stupore di vedere il mondo come è veramente. Non come si immagina, come un fenomeno soprannaturale o una realtà futura. No. Perché tu possa vedere la meraviglia di ciò che accade ora e il tuo posto dentro di esso; possa essere risvegliato alla tua esistenza in questa realtà e cominciare a comprenderne le implicazioni e la evidenza, in relazione con ciò che potrebbe e dovrebbe essere vero; e possa, quando cerchi di trovare un senso al tuo desiderio, diventare consapevole del tuo desiderio e di cosa esso è. Perche ciò con cui ho combattuto per tutta la vita, e poi i problemi con l’alcol di cui ho parlato, era in gran parte un problema di desiderio. Il problema era che nulla era in grado di soddisfarmi. Nemmeno l’alcol, per quanto ne bevessi, era in grado di soddisfarmi, così come ogni altra cosa che incontravo in questa realtà. Era qualcosa che avevo intuito lungo il cammino, che questo desiderio era qualcosa di enorme, che poteva essere anche infinito.
E Giussani ci dice: sì, è così, è infinito, e questo desiderio può essere soddisfatto solo dall’Infinito.
Così di punto in bianco ho come acquistato una nuova coscienza di me stesso, leggendo quel paragrafo. Ho capito che se fossi tornato alla mia origine e avessi cominciato a recuperare questa consapevolezza che tutto è stupefacente, io sono stupefacente, le mie mani qui davanti a me sono stupefacenti, non le ho create io…
E allora cominci a guardarti attorno, a girarti attorno e guardare la cultura. Come ha potuto questa cultura persuadermi che questo era banale? Che le mie mani erano banali, che potevo darle per scontate? Come ha fatto questa cultura a convincermi che non era possibile niente di più? Come ha fatto a convincermi ad avanzare verso un abisso?
Come ha fatto la cultura a instillarmi la mancanza di speranza, la disperazione, lo scetticismo? Non è possibile. Se ora posso muovermi da solo, e guardare fuori per la prima volta dal ventre di mia madre, e guardare tutto ciò che ho davanti, qualunque cosa sia, come se non l’avessi mai vista prima.
E da quando l’ho fatto, mi sono messo a parlare con altre persone, con gruppi di persone in giro per il Paese, invitandoli a fare la stessa cosa; e vado a trovarli, grazie a questa intuizione di Giussani. Invito anche loro a risalire, non al giorno dopo la loro nascita, ma a nove mesi prima.
Io sono stato concepito il giorno che mio padre compiva cinquant’anni. L’ho scoperto perché quando è nata mia figlia ho cominciato a chiedermi quanti anni avesse mio padre quando sono nato io. E allora, arrivato a cinquant’anni, ero consapevole che anche lui aveva circa cinquant’anni quando sono nato io, e mi domandavo come sarebbe stato quando avrei attraversato quella soglia, quando sarei stato più vecchio di quanto fosse mio padre quando io sono venuto al mondo.
Così ho scoperto che sono stato concepito il giorno del cinquantesimo compleanno di mio padre, il 4 settembre 1954. L’ho scoperto da uno di quei cartoncini ricordo contenenti tutti i dettagli degli eventi, che ti dicono tutto ciò che è accaduto quel giorno - qual era il disco numero uno nelle hit parade e così via - e poi diceva che io ero stato concepito il 4 settembre.
Allora ho pensato, chissà se potessi tornare al 3 settembre 1954, mi fermassi in quell’istante e mettessi alla prova ciò che mi viene presentato come “ragione”, come ragionamento scientifico empirico, che è offerto come spiegazione per ogni cosa e come spiegazione per la mia stessa persona. Allora, torno indietro al 3 settembre 1954 e vedo come mi si presenta e mi chiedo, in quel momento, di quella che potremmo descrivere come realtà - nulla, abisso, vuoto, che dir si voglia - mi chiedo: cosa è possibile? Cosa è possibile ora? Cosa posso vedere? Cosa posso sapere? Cosa posso immaginare? Cosa posso aspettarmi?
Qualunque cosa potessi immaginare, se pure l’avessi fatto, sarebbe stata sbagliata, perché noi siamo tutti qui. Eppure questa cultura insiste che, alla fine di tutto ciò, nulla è possibile, nulla tranne una notte lunga e tenebrosa. Ci dice questo - ed è ancora un’intuizione di Giussani: fin dall’inizio del libro ci porta verso la cultura, ci mostra come questo incubo dell’irragionevolezza sia stato creato nella nostra cultura, come ci sia stata presentata un’immagine di noi stessi, della nostra realtà e del nostro futuro che è semplicemente insensata, irragionevole. E ci mostra come siamo stati condizionati tanto da darlo per scontato, da considerarlo ovvio. E poi ci conduce attraverso l’intera storia del cristianesimo. Ci introduce tenendoci per mano; con Giovanni e Andrea arriviamo a incontrare Cristo lungo la strada. E poi ci mostra come l’unica cosa che questo mondo abbia mai visto, sognato o immaginato come corrispondenza, una corrispondenza a questo desiderio infinito, è nel cuore di questa storia, nascita, morte e resurrezione di Cristo. Questo è l’unico fatto che risponde alla nostra intuizione, al nostro desiderio, alla nostra certezza di bambini, che stiamo lì in attesa, dipendenti, consapevoli, più saggi di quanto potremo mai essere nel nostro stupore e timore, più saggi verso la realtà. Questo ha detto Giussani.
È un libro straordinario. Non parla affatto di religione: questa è la cosa più sorprendente. Parla della realtà. È un libro che mostra come non esista separazione tra la realtà e la religione: sono la stessa cosa. E mostra quanto sia pazzesco pensare che la religione possa essere confinata solo alla domenica, solo a un certo tipo di stampa o in particolari fasce dei palinsesti televisivi o radiofonici.
No, “questo” è religione (dicendo “questo” picchia due volte sul tavolo). Questa è religione. Noi siamo religiosi. Come ci definiamo, come ci descriviamo, non conta. Oggi io posso definirmi ateo. Non importa. Io sono religioso. E se domani dicessi che ho deciso di essere ateo, tu potrai dirmi: “Hai torto, l’hai detto tu stesso, tu sei religioso”. E lo sono. Non posso cambiare questa realtà. Io sono creato, sono dipendente, sono mortale.
E solo riscoprendo me stesso in questo contesto posso trovare la pace in questo mondo. Il futuro non conta. L’eternità è già iniziata. Questo viaggio che è iniziato, in un certo momento, e che finirà, in un certo momento. Ecco tutto.
Perciò Giussani non si limita a presentare il cristianesimo. Fa questo. Non che lo cambi: non cambia nulla; semplicemente, ce lo pone davanti in una forma spogliata di ogni orpello, e nello stesso tempo ci offre una lettura del contesto culturale in cui viviamo, che ci bombarda con questa immagine di noi stessi, che ci dice che lo scetticismo è risposta ragionevole, che il pessimismo è risposta ragionevole, che la disperazione è una posizione intelligente. Giussani ci indica come risvegliare la nostra ragione, istante per istante. Non è qualcosa che ci accade ora e resta in noi per sempre; è qualcosa che riaccade ogni momento, e ogni momento è minacciata dall’invasione della cultura. Ogni momento dobbiamo essere risvegliati, ricondotti a vedere, a dire con Giussani (picchia sul tavolo): apri i miei occhi: apri i miei occhi.
Giussani ci ha dato gli strumenti per ripartire quando ci sentiamo perduti. Ci ha dato la mappa per ritrovarci, e per ritrovarci ogni volta che ci perdiamo. Ecco perché dico che Il senso religioso è il libro più basilare che abbia mai letto.
Grazie.

Don Carrón: Meraviglioso. Ora possiamo andarcene soddisfatti!!