La rivolta nella capitale libica.

LIBIA Il direttore della Caritas: «In prima linea e non ci muoviamo»

Alan Arcebuche, francescano originario delle Filippine, racconta in un'intervista ad "Avvenire" la situazione «tesa e confusa» di Tripoli, dove infuria la lotta tra miliziani e rivoltosi
Paolo Lambruschi

La voce arriva disturbata, ma conferma che la situazione è molto tesa e confusa e che le prossime 48 ore saranno quelle decisive. Gli stranieri rimasti per forza o per scelta stanno barricati in casa a Tripoli, città controllata dal rais, ed è molto rischioso uscire mentre l’aeroporto è stato letteralmente preso d’assalto da quelli che cercano di lasciare la Libia disperatamente. Testimone d’eccezione di quanto sta accadendo in queste ore è padre Alan Arcebuche, un francescano che viene dalle Filippine ed è il direttore di Caritas Libia. La quale segue sì i cattolici, in un paese dove il cristianesimo è la religione dei lavoratori stranieri, ma non si tira certo indietro - neppure in queste ore - quando si tratta di aiutare i migranti negli ospedali, nei centri di detenzione e quelli liberi, ma bloccati nel paese sconvolto. La nostra telefonata avviene con molte difficoltà a mezzogiorno e poi alle sette di sera.

Padre Alan, qual è la situazione nella capitale?
Confusa e di grande tensione soprattutto in centro. La zona dove viviamo noi è invece tranquilla. Sappiamo che è molto pericoloso girare ed è quasi impossibile uscire verso la periferia e anche raggiungere la capitale da fuori. Stanno cominciando i problemi di approvvigionamento di cibo e acqua. L’aeroporto internazionale è strapieno. Impossibile anche solo avvicinarsi all’ingresso. Tutti cercano di andarsene, ma è difficile procurarsi un biglietto. Le prossime 48 ore saranno decisive per capire la sorte di questo paese.

I morti sarebbero diecimila dall’inizio degli scontri e i feriti 50mila. Sono cifre che lei può confermare?
Sinceramente no. Le mie fonti sono gli infermieri e il personale sanitario filippino degli ospedali di Tripoli, i quali mi hanno detto di aver calcolato nelle ultime 48 ore circa 70 morti e 300 feriti. Però non ho il quadro completo della situazione perché non dispongo di notizie precise sulle altre zone del paese. Le comunicazioni sono molto difficili

Qual è la situazione dei cattolici?
Premetto che la Chiesa cattolica in Libia è una Chiesa di immigrati, lavoratori con contratto, irregolari e rifugiati. I lavoratori in regola sono soprattutto filippini, sparsi in fabbriche e ospedali in tutti il paese, ai quali l’ambasciata di Manila ha lanciato l’allerta "tre", che significa rimpatrio volontario e sta cercando di organizzare i rientri. Molti sono accampati nella stessa ambasciata. Tuttavia gli stranieri che non si trovano a Tripoli sono bloccati e hanno problemi a muoversi e a trovare cibo.

E i migranti irregolari?
Sono prevalentemente africani subsahariani bloccati in Libia nel tentativo di raggiungere l’Europa dopo la chiusura delle rotte mediterranee e sono decisamente inquieti. La loro situazione è molto difficile. Non riescono a mettersi in contatto con i loro governi che peraltro non stanno facendo nulla per aiutarli. Ieri diversi di loro si trovavano nella zona della cattedrale, che è chiusa, in cerca di aiuto, noi abbiamo distribuito viveri e detto loro di tornare a casa e non uscire per nessun motivo. Anche le suore francescane del centro Caritas fuori città hanno effettuato una distribuzione di cibo e medicine e hanno consigliato a tutti di non girare per le strade per non essere presi di mira dai ribelli e dai filo governativi. Ho visto per le strade gruppi di civili armati e le milizie mercenarie, è molto pericoloso per uno straniero incontrarli.

E sacerdoti e religiose come stanno?
Tre suore spagnole sono rientrate in patria ieri. Abbiamo invitato anche i volontari ad andare a casa, è troppo pericoloso restare. Le altre suore invece sono in convento e i sacerdoti stanno bene. Solo un mio confratello è uscito nel pomeriggio e non è ancora rientrato. Siccome non è possibile contattarlo siamo preoccupati. Ma aspettiamo a lanciare l’allarme

Se la situazione precipita, siete decisi a restare in Libia?
Vorremmo restare e per ora non ci muoviamo. Sia fatta la volontà di Dio. O, come dicono qui, Inshallah.

(da Avvenire, 24 febbraio 2011)