Wakako (a destra) al Meeting di Rimini nel 2003.

«Io, davanti al terremoto, sostenuta da un'amicizia»

L'incontro da buddista con don Giussani venticinque anni fa. Poi il rapporto con il movimento, «essenziale» per stare di fronte al dramma del terremoto. Che sfida, perché chiede un cambiamento «di tutto l'umano»
Paolo Perego

«Quello che è accaduto in Giappone è innanzitutto un Mistero. E il mistero non è mai ultimamente un male per l’uomo». Wakako Saito insegna all’università di Nagoya, seicento chilometri a sud di Tokyo, lingua e letteratura italiana. L’11 marzo era in Italia, da amici. Rapporti nati venticinque anni fa, con l'invito a don Giussani ad andare in Giappone. Lei, buddista, sapeva poco di lui. Lavorava per il Centro internazionale di Nagoya. Fu allora che Giussani incontrò Shodo Habukawa e i monaci del Monte Koya. E cinque anni dopo iniziò le sue frequentazioni giapponesi anche don Francesco Ricci. Ora Wakako guarda le immagini del terremoto in tv: «Tutto questo dramma è per noi. Giapponesi, ma non solo. Ci chiede di cambiare».

In che senso cambiare?
È un momento di dolore. Ci sono molte difficoltà. La Seconda Guerra mondiale in Giappone aveva distrutto tutto. L’identità, la cultura. Aveva annichilito quello che Giussani chiama senso religioso. Così per decenni abbiamo lavorato per soldi, per ricostruire sì, ma in modo superficiale. Senza chiederci il perché delle cose. Perciò questo dolore ci è stato dato dal Mistero come insegnamento, per noi, per recuperare quello che abbiamo perso. Già col terremoto di Kobe ci si era resi conto che bisognava cambiare qualcosa, che la società aveva dei problemi. Ma poi non si è fatto nulla, ci è mancato il voler cambiare davvero. E ora la sfida si ripropone, e non solo per noi. Tutto il mondo è sfidato: la politica, i giovani che non trovano lavoro, la crisi educativa. E poi il problema della fede e della secolarizzazione. Non è così anche in Italia? Allora, cosa sostiene un popolo davanti a una tragedia così è un problema di tutti. Se non cambiamo, la società non può funzionare.

Ma in Giappone la società, anche nell’emergenza, sembra funzionare bene. Tutto organizzato, tutto ordinato. Non è così?
Perché noi come popolo, come cultura, non siamo abituati a esprimere i nostri sentimenti. Eppure siamo gente molto sensibile al dolore e alla morte. Forse in un italiano si nota di più. Noi, per educazione, cerchiamo di contenere le emozioni, di essere calmi, in pace. Ma al fondo il dolore è enorme. Lo conteniamo. E forse è ancora peggio. Perché che cosa può sostenerli? Parlo di una dimensione umana. Noi leggiamo i giornali e vediamo che tutti sottolineano come questioni prioritarie la solidarietà, l’economia, il rischio nucleare... E l’umanità? La questione centrale è l’umanità, l’essere uomini. Il problema è recuperare l’umanità. La fede, l’identità. Senza questo possiamo ricostruire tutto, ma poi siamo punto e capo, come prima. O cambia qualcosa o sarà dura.

Tornerai presto in Giappone?
Tra qualche giorno. Voglio vedere la realtà e capire se e come posso essere utile. Con i miei studenti magari potremmo andare a fare qualche caritativa. E poi voglio portare la preghiera di tanti amici italiani del movimento a quelli che stanno in Giappone. Quando ho saputo del terremoto ho pregato con in mente due cose: di poter essere strumento di Dio in questa circostanza e di poter essere utile anche dall’Italia; e poi ho pensato a cosa avrebbe fatto don Giussani davanti a questo fatto. Così in questi giorni ho incontrato tante persone a Bergamo, a Milano, a Varese, in Svizzera. Per pregare insieme. È un mistero, ma ci sarà una ragione per cui ero e sono qui in questo momento.

È questo il sostegno di cui parlavi? Quest’amicizia?
Io ho incontrato da buddista don Giussani. Venticinque anni di amicizia. Ne avevo bisogno. È il disegno di Dio, cominciato allora. E il Mistero mi ha usata e mi sta usando come strumento. Questa amicizia serve, perché da soli siamo fragili. E stiamo imparando molto da voi. La preghiera degli amici ci aiuta tantissimo. E poi il continuo pensiero a Giussani: che farebbe? Ora vedo tutto in tv, come al cinema. Quasi irreale. Voglio andare a vedere e so che sarà più duro. Per questo servono le preghiere. Anche a Milano, domenica 20, ci sarà una messa per il Giappone celebrata dall’arcivescovo Tettamanzi e animata dalla comunità nipponica. Non verrete in Giappone con me, ma la vostra presenza aiuterà tantissimo. Pregate per il mio popolo.