Foto di gruppo a Cuiabá Valley.

Il segreto della vita, tra l'alluvione e il carnevale

Un gruppo di settanta giovani di Cl si riunisce a Petrópolis in occasione del carnevale, per lavorare a Cuiabá Valley, una delle regioni più colpite dalle piogge estive, a Rio de Janeiro
Carolina Oliveira

Era la notte del 12 gennaio, quando una forte pioggia ha colpito la regione montuosa di Rio de Janeiro, in Brasile. Il bilancio: oltre 900 morti e 340 dispersi. Intere famiglie hanno dovuto soccombere alla forza dell’acqua e centinaia di case sono state sepolte o danneggiate, tale era l’intensità della pioggia.
L’evento ha commosso l’intera nazione. Giornali e riviste hanno descritto i fatti con un’impressionante dovizia di dettagli. Ma oggi, a due mesi dalla tragedia, nessuno ricorda più quello che è successo e il paese sta già festeggiando il carnevale. Proprio in questo momento un gruppo di settanta giovani di Comunione e Liberazione si è recato a Cuiabá Valley, a Petrópolis, per dedicare le proprie vacanze al lavoro volontario nelle zone colpite.
In un primo momento i giovani avevano intenzione di aiutare le persone che hanno perso tutto, ma poi, il sabato, Padre Julián de la Morena li ha sorpresi dicendo: «In questi giorni si impara a dare la propria vita come Cristo ci ha dato la sua. È un insegnamento per ciascuno di noi: imparare che la legge della vita è donarsi a un altro». E la sorpresa più grande di tutte è stata scoprire che non erano lì per aiutare a ricostruire le case, ma piuttosto per contribuire a ripulire e restaurare le chiese della regione. Secondo il parroco don Rogério Dias, la chiesa è stata il luogo in cui la comunità ha trovato rifugio dopo la tragedia. «È stata il punto di raccolta che le persone stavano cercando, in cui hanno tenuto alta la loro fede e la loro speranza». Dopo queste parole, i volontari si sono recati nel posto di lavoro dove hanno operato durante tutti questi giorni: ridipintura, pulizia, distribuzione di cibi e acqua, oltre al recupero di mobili e stoviglie.
Il primo giorno, il desiderio di fare il lavoro nel miglior modo possibile era stato frustrato. «Uno dei responsabili ha detto che dovevamo pulire meglio, togliere anche tutto il fango. Non lo si poteva fare altro che per Cristo, e anche per me, per la mia conversione. Per questo motivo è stato bello lavorare. Vedere la soddisfazione di quelli che lavoravano dando il massimo, è stata la cosa più preziosa», dice Natasha Gaparelli di Rio de Janeiro.
Anche Roberta Moss, di Sorocaba, è rimasta impressionata dalla cura dei particolari. «Le cose che sono successe qui non succedono da nessun’altra parte. Non ho mai lavorato con tanta gioia e letizia. La gente è felice, canta, ed è un lavoro a cui non siamo abituati. Mi rendo conto che abbiamo con le piccole cose lo stesso rapporto che abbiamo con l’Infinito».
L’organizzazione nei locali del seminario, dove si erano sistemati, rifletteva la serietà con cui i giovani stavano affrontando quei giorni di lavoro. C’erano sempre più volontari del necessario, si svegliavano presto per preparare il caffè, e si dedicavano anche a rimettere in ordine la cucina dopo cena.
Alla fine del secondo giorno, monsignor Filippo Santoro, vescovo di Petropolis, ha incontrato i volontari e ha raccontato la sua esperienza personale, a partire dal momento in cui ha conosciuto il movimento in Italia, e ha concluso dicendo come sta vivendo adesso: «Il periodo trascorso dalle piogge di gennaio a oggi è una storia ricca di incontri, che ha mostrato lo spettacolo della presenza della Chiesa tra la gente. Una storia che testimonia la vittoria di Cristo su qualsiasi tragedia». Alcune delle persone colpite dalle piogge hanno reso la loro testimonianza, raccontando che cosa è successo e come sono riuscite a salvarsi tra fango e macerie; storie che senza dubbio potevano essere solo miracoli.
Il carioca Carlos Miranda ha raccontato che queste testimonianze hanno cambiato il suo modo di guardare. «Queste persone hanno capito la vita molto più di me. Hanno una fede che a me manca, che è troppo grande; può arrivare una tempesta e distruggere tutto, uccidere tutta la famiglia e loro rimangono in piedi. Io voglio avere questa fede, voglio vivere così».
Il terzo giorno Julián ha chiesto a tutti di considerare i giorni di carnevale non come un punto di arrivo, ma di partenza. «Dobbiamo riconoscere l’apertura del nostro cuore nel lavoro, perché se è positiva, nessuno può avere paura di perderla. Quello che è successo qui è stato un dono di Dio per imparare alcune cose di cui avevamo bisogno. La vita ha un segreto, è una legge, e chi la conosce è felice. Chi non conosce la legge (donare la propria vita, ossia la carità) non conosce la felicità. Quindi, amici, chiediamo di poter rispondere a Cristo nel nostro tempo libero».
L’ultimo giorno è stato intenso almeno quanto gli altri. Nel tardo pomeriggio sono state organizzate donazioni nella chiesa del Divino Espírito. Bottiglie d’acqua impilate ordinatamente e sedie ben pulite nella chiesa di São Francisco. Tutti hanno aiutato a pulire la sagrestia e la sala parrocchiale, che era già stata ridipinta, con il pavimento e la facciata ben puliti. Un’organizzazione impensabile, vista dall’esterno.
Al termine del lavoro è stata evidente l’importanza di questa esperienza nella vita di ciascuno. Emily Dillinger, di Belo Horizonte, ha detto di sentirsi una privilegiata. «Prima di tutto per essere qui, poi per aver lavorato nella chiesa che serve come rifugio e, in terzo luogo, perché si può essere veramente loro amici. Sono rimasta impressionata dalla libertà nei rapporti, fin dal primo giorno; c’era tutto, gioia e dolore. Avevano davanti agli occhi la loro realtà e dicevano: Dio è buono; non è sentimentalismo. Ora che dobbiamo andarcene, sappiamo bene che cos’è una vera amicizia. Non è il desiderio di tornare indietro e fare di più, ma il desiderio di mantenere con loro un rapporto. Qui si è visto il frutto di una vera amicizia ed è stato molto bello».
Nel saluto finale, Julián ha concluso lanciando a tutti i presenti una provocazione: «Qui è successo qualcosa di grande. Tornerò a casa amando molto di più il Movimento. Nel lavoro, eravamo una sola forza, si vedeva che la nostra comunità era reale. Avevamo due possibilità: appartenere o partecipare. Chi in questi giorni ha scelto di appartenere, ha certamente sperimentato un’inimmaginabile pienezza di vita. Chi ha fatto un passo indietro, ha perso tutto. Amici, siamo liberi, Dio ama più la nostra libertà che la nostra salvezza. Chi ha pensato di aver trovato qui un posto per sé, qui ha una famiglia».