Don Luigi Giussani e Alberto Methol Ferré.

«Preoccupato solo di annunciare Cristo»

Verso la beatificazione di Papa Wojtyla, un piccolo regalo: i primi anni di pontificato raccontati in uno storico dialogo tra don Giussani e l’uruguaiano Alberto Methol Ferré, direttore della rivista latinoamericana "Nexo" (da "30Giorni", ottobre 1983)
Alver Metalli

Osservando questo Papa c'è una prima cosa che impressiona, ed è il suo impatto sulla gente. In Europa questo impatto è stato molto forte agli inizi del pontificato. In altri continenti, per esempio in America latina, ma anche in Africa, continua ad esserlo anche oggi. Invece chi lo critica, chi lo attacca, nelle diverse parti del mondo, sono soprattutto gli intellettuali? Perché il popolo lo ama e gli intellettuali lo attaccano e che rapporto c'è, in America latina ed in Europa, tra popolo ed intellettuali?

Giussani: Mi pare che gli intellettuali lo attacchino perché usa un sistema di categorie che deduce immediatamente dalla coscienza dell'avvenimento cristiano come fatto, come evento nella storia; fatto ed evento che investe l'umano nelle sue esigenze elementari per produrvi un risveglio e una nostalgia, una affezione e quindi una adesione al suo destino. Destino che poi coincide con il contenuto dell'evento stesso, cioè Cristo. Mentre l'intellettuale, se non conosce il cristianesimo in questo modo - innanzitutto come evento e come fatto che sfonda tutta la gabbia delle categorie ideologiche - è limitato ed inevitabilmente sente il discorso del Papa come non culturalmente evoluto, perché il Papa non assume le categorie ideologiche della cultura dominante.

Methol Ferré: Voglio rispondere raccontando un aneddoto. Quando il Papa venne in Messico io assistevo alla Conferenza di Puebla come esperto. Al termine dei lavori della giornata, nella notte, ero solito ritornare in albergo in taxi. Durante il percorso mi capitava di parlare con il taxista. Era la prima volta che Giovanni Paolo II viaggiava per l'America latina e che un papa veniva in Messico. Il taxista era un indio un po' anziano, ed una notte mi disse: «Vede che, ogni giorno che passa, il Papa parla sempre meglio lo spagnolo?». Io non ho dato molto peso a questa sua esclamazione, a metà tra la domanda e l'affermazione e gli ho risposto più o meno: «Sarà così», come dire, «se lo dici tu può darsi sia vero». Lui, alzando la voce, mi disse: «Sì, è proprio così. E sa perché? Perché nos quiere, ci vuole». Come mai riferisco questo episodio? Per dire che gli intellettuali, anche a Puebla, erano concentrati ad analizzare quello che diceva il Papa, ed il contesto ed il modo in cui parlava lo giudicavano trascurabile. Il popolo invece, che capisce il concetto attraverso il gesto, era stato sensibile alla variazione della pronuncia, ne aveva percepito il miglioramento, cosa a cui nessun intellettuale aveva fatto caso. Il popolo è molto più sottile degli intellettuali, le milioni di madri che osservavano il Papa accarezzare un bambino sapevano con precisione se lo faceva con amore o distrattamente, percepivano senza errore la verità di una testimonianza.

Già da queste risposte si inquadra anche l'altra questione, che è poi l'altra faccia della medaglia: il rapporto degli intellettuali con il popolo. Qual è, secondo voi, questo rapporto oggi? In Europa, per esempio?

Giussani: Tra intellettuali e popolo non c'è quel rapporto amoroso di cui parlava il professor Methol Ferré a proposito del Papa. Essendo media - che sono gli strumenti degli intellettuali al potere - purtroppo il popolo è lentamente formato, nel senso letterale della parola, dagli schemi ideologici e pratici che gli intellettuali gli inoculano, quasi per pressione osmotica.

Methol Ferré: In America latina mi sembra di osservare un singolare fenomeno nell'area del potere. Un fenomeno che descriverei come una sorta di simbiosi tra il potere tradizionale ed un proletariato intellettuale di provenienza universitaria e di origine ideologica ultraizquierdista (di ultrasinistra). Il risultato, sul piano culturale, è la «vigenza» di schemi che si caratterizzano per la mancanza di comprensione dell'epoca, per una assoluta incapacità di dare intelligibilità storica agli avvenimenti. La prova che questi schemi sono fallimentari sta nel fatto che Giovanni Paolo II rompe le previsioni dell'intellighenzia che li produce. Quanti di questi intellettuali hanno pensato e ripetuto che la crisi della Chiesa cattolica post-conciliare dava luogo ad una sua progressiva decomposizione! Ed invece, con questo papa, sta succedendo qualcosa di ben diverso. E alcuni, pochi, i più onesti, riconoscono che Giovanni Paolo II è oggi l'unica figura propositiva a livello internazionale, innovatrice rispetto alla opacità dei due centri egemoni nel mondo, che non esercitano più alcuna attrazione e che pertanto devono ricorrere alla violenza per ottenere consenso. Ciò che per gli intellettuali è simbolo di «anacronicità» diventa, contro i loro stessi schemi, un fattore di «progresso». È un paradosso che si trovano davanti, e che li divide dal popolo semplice dell'America latina. (...)

Si può parlare di un «dormir tranquilli›› anche per taluni settori cattolici in Europa?

Giussani: Non oserei dirlo. Parlerei piuttosto di smarrimento che cerca di mutuare vie sicure attingendole a categorie ritenute certe dalla cultura dominante. Tale smarrimento induce a non ricercare l'acqua pura, la freschezza nuova, nella sorgente unica che è quella del semplice fatto annunciato.

E perché c'è questa paura? È uno smarrimento, quello che lei descrive, che nasconde piuttosto una paura. Non a caso il Papa ripete spesso: «Non abbiate paura››...

Giussani: Io credo che il Papa lo ripeta a quelle due categorie di cui abbiamo parlato prima; vale a dire il popolo quando è popolo, ossia semplicemente proteso dalle sue esigenze naturali, e la categoria dei «veri colti», cioè coloro che veramente ricercano. Mentre la sicurezza che domina nelle classi che hanno il potere - di tutti i generi - è una sicurezza disperata, che cerca di appoggiarsi nei ritrovati della cosiddetta scienza.

Anche in questo caso è paura, paura che guardandosi al fondo si trovi solo disperazione...

Giussani: È più una obliterazione che una disperazione. Io credo che bisognerebbe domandarsi se il fatto cristiano non sia ricondotto troppo all'identificazione con la cosiddetta «parola», intendendo con ciò le parole che l'hanno espresso. Bisognerebbe domandarsi se non si sia dileguata l'imponenza del fatto cristiano come tale per ridurlo alle parole, magari alle parole del Vangelo. E una parola è suggerimento ad un'interpretazione, e l'interpretazione è sempre determinata, se non si e più che critici e vigilanti, dalle categorie della cultura dominante. A questo punto non sarebbe più la parola del Vangelo in quanto indice di ciò che è accaduto, ma la parola del Vangelo in quanto pretesto per svolgimenti supposti adeguati alle ritenute evidenze della cultura al potere.

Quindi a questo Papa non si perdona di mettere in crisi una situazione del genere?

Giussani: Sì. Lo si accusa di non allinearsi con questo atteggiamento, e quindi da una parte lo si rimprovera per lo sconcerto, per la crisi che getta in quell'apparato di certezze (la cui origine è puramente ideologica); dall'altra lo si giudica come se ignorasse l'evoluzione affermata da questi sistemi culturali. Mentre il suo itinerario e tutta la formazione del suo pensiero, è ben lungi da questa ignoranza.

Per questo non è un buon papa, non svolge bene il suo ruolo? Intendo dire secondo quello che per le categorie dominanti deve essere e fare un buon papa?

Giussani: Non è ritenuto un buon papa in quanto non si allinea ai sistemi di pensiero dominanti. Tanto è vero che la rivendicazione nei suoi confronti, a mio avviso, si incarna nell'affermazione di una certa autonomia del singolo vescovo o delle singole conferenze episcopali. La disapprovazione che tanti ambienti ecclesiastici operano nei confronti dell'atteggiamento del papa è mossa in nome dell'autosufficienza dell'episcopato di un singolo Paese o del singolo vescovo. Questa non approvazione del Papa è uno staccare le proprie responsabilità da lui; come dire: «Lui è il vescovo di Roma e parla così, ma noi abbiamo la nostra concezione delle cose che è più adeguata ai tempi che viviamo». In questo senso dicevo prima che lo si accusa anche di non conoscere gli apporti significativi, ritenuti evidenti, della cultura al potere. Perciò bisogna distinguere la cultura al potere da quella che veramente ricerca.

Methol Ferré: Allo stesso tempo è singolare il fatto che Giovanni Paolo II affermi intensamente - in linea con Paolo VI - la collegialità episcopale ma come co-partecipazione nella Chiesa universale. Tutta la sua testimonianza va sempre nel senso di consolidare l'unione del papato con tutto il collegio episcopale. Lo vedo come un tratto assai caratteristico della linea del Papa.

Giussani: Coloro che lo accusano, se fossero più totalmente consapevoli, dovrebbero criticarlo di proseguire la linea del Paolo VI del Credo o dei suoi discorsi sul diavolo o della Humanae Vitae, cioè il proseguimento autentico di Paolo VI negli ultimi otto-dieci anni. (...)

Possiamo dire che mentre il Papa riafferma la speranza della gente semplice, alla cultura indica una ricerca, una responsabilità, una libertà dagli schemi, quelli del marxismo come quelli del capitalismo?

Giussani: Dà anche agli uomini di cultura la speranza, lo stimolo a cercare un'altra via.

E cos'è la speranza, l'attesa?

Giussani: L'attesa è l'esigenza naturale del popolo nella sua naturalezza sorgiva, ma anche degli uomini veramente colti, per i quali la cultura è una ricerca sincera di quale sia il senso della vita e della storia.

Qual è quest'«altra via››?

Giussani: È la preconizzazione di una civiltà nuova in cui il popolo possa trovare una vera dimora anche alle sue aspirazioni naturali.

Che cosa significa l'idea del Papa di un' Europa più grande? Per il Papa anche Cirillo e Metodio sono patroni d'Europa. Segno che per lui, l’Europa non si ferma a Yalta...

Giussani: Certo. È l'indicazione, più volte esplicitata, che una cultura e una civiltà europea che dia riscossa a valori adeguati alle esigenze dell'uomo può trovare la sua sorgente soltanto nella tradizione storica di tutti i popoli europei, cioè quella cristiana.

È stato detto, dal professor Methol Ferré, che Giovanni Paolo II è il primo Papa interamente formato dal Concilio. Cosa vuol dire?

Methol Ferré: Mi sembra che una delle più grosse difficoltà in cui si dibattono gli intellettuali sia stata e continui ad essere l'interpretazione del Concilio. Dal Concilio estraggono frammenti ma sono incapaci di coglierlo come evento nella sua sintesi. A me sembra che l'essenza del Vaticano II non sia tanto la riaffermazione delle verità ecclesiali di fronte alla Riforma, perché questo fu fatto dal Concilio di Trento; né tanto meno una semplice riaffermazione di queste verità di fronte agli errori dell'illuminismo. Il Concilio è piuttosto lo sforzo di comprendere la verità contenuta nell'errore sia della Riforma che dell'illuminismo. Mi sembra che nel Concilio Vaticano II la Chiesa porti a termine creativamente, l'assimilazione, dal di dentro di se stessa, delle due sfide della storia moderna che restavano ancora pendenti e irrisolte nella loro completezza. Perciò io direi che il Concilio si sintetizza nelle due costituzioni che strutturano la sua totalità: la Lumen gentium e la Gaudium et spes. La Lumen gentium è appunto l'assunzione da parte della Chiesa della verità del protestantesimo. Preciso: non l'assunzione del protestantesimo, ma la riassunzione di molte verità basilari del protestantesimo, verità che la Chiesa reincontra questa volta a partire dalla propria interiorità ecclesiale. Mi riferisco soprattutto alla grande idea della Chiesa come popolo di Dio… (...)

Come può conciliare, questo Papa, la sua missione, l'annuncio, con il governo?

Giussani: A mio avviso si conciliano nel senso che il suo governo sta proprio nel favorire un'evoluzione del governo ecclesiastico fino alle sue strutture, secondo il contenuto dell'annuncio che lui ripete. L'impeto missionario del Papa non solo non esclude ma caratterizza una posizione di governo tanto chiaro nella direzione che assume, quanto paziente per far evolvere dall'interno la coscienza della ecclesiasticità di coloro che guidano o che esprimono la vita della Chiesa. Proprio il suo impeto apostolico, che superficialmente sembra ridurre la sua capacità di governo, realizza invece una forma di governo che non rompe, non forza, ma aspetta dalla coerenza - nella ripetizione del suo messaggio - la conversione delle coscienze della Chiesa, specialmente di coloro che la guidano o la esprimono.

Methol Ferré: Cioè è un governo che si attua più per convincimento ed esempio, che per amministrazione.

Giussani: Per questo uno degli strumenti di questa evoluzione che il Papa protegge sono i movimenti che costituiscono con il loro carisma una percezione rinnovata della vita della Chiesa, secondo l'intuizione fondamentale del Concilio.

Eppure proprio i movimenti ed il rapporto del Papa con alcuni di essi sono oggetto delle critiche più pesanti...

Giussani: I movimenti sono un capitolo d'accusa contro questo Papa in quanto costituiscono una sollecitazione autentica perché nasca proprio dalla coscienza del popolo di Dio il cambiamento della coscienza dei modi della Chiesa. (...)

Ma in che senso è «universale», come voi dite, questo pontificato?

Giussani: Innanzi tutto perché la sua unica preoccupazione è quella di annunciare e delucidare l'avvenimento di Cristo e del suo Corpo misterioso nel mondo che è la Chiesa. O popolo di Dio, che ha una sua consistenza autentica ed esauriente, tant'è vero che anche Paolo VI chiamava il popolo cristiano una realtà etnica sui generis. In secondo luogo, perché proprio come l'evento cristiano in quanto tale (cioè Gesù Cristo e la Sua Chiesa), l'annuncio si rivolge al cuore dell'uomo, che è uguale in tutti i tempi e in tutto il mondo, tant'è vero che la parola del Papa ottiene l'immediato consenso dei popoli di ogni latitudine. Dovunque è andato, il popolo gli ha risposto.

Qual è, secondo voi, il vero obbiettivo degli attacchi al Papa?

Methol Ferré: Nell'epoca anteriore a Pio XII, o prima ancora, sia provenienti dagli ambienti secolaristi di segno liberale che da quelli marxisti, gli attacchi erano rivolti per lo più alla Chiesa nel suo complesso. Mi sembra che oggi, invece, la situazione attuale di quest'ultima favorisca il fatto che gli attacchi si concentrino non sulla Chiesa in quanto tale, ma sul suo centro, su ciò che unifica il corpo cattolico nel suo insieme. Chi attacca il Papa sa o spera di poter contare sul silenzio o sulla confusione anche di taluni nella Chiesa.

Giussani: L'attacco al Papa c'è in quanto è l'attore, l'esponente della riscossa dell'identità della Chiesa contro le immagini stabilite alla luce delle correnti di pensiero dominante. (...)

Cos'è, per voi, la libertà religiosa?

Methol Ferré: È innanzitutto una libertà che è generatrice di libertà. La costituzione stessa dell'umanità è a partire dalla libertà. La libertà religiosa è riconoscere il fatto che l'uomo può incontrare Dio solo umanamente, perche è umano in quanto è libero.

Giussani: Anzi, nell'espressione «libertà religiosa» c'è una parola di troppo, perché la libertà è sempre religiosa. Essendo la capacità di rapporto che l'uomo ha col proprio destino, essa è religiosa oppure non è libertà.

Methol Ferré: È impossibile concepire una relazione d'amore che non sia libera. Il Concilio ha sviluppato e ribadito con vigore questo punto.

E che necessità c'era di affermare, nel Concilio, un concetto così fondamentale?

Methol Ferré: Occorreva che la Chiesa assumesse fino in fondo un elemento fondamentale dell'illuminismo e che l'illuminismo è incapace di fondare.

Giussani: Sempre l'illuminismo è stato incapace di rispettare il principio che affermava.

Methol Ferré: Sì. Però, per un momento, ha supposto di poterlo fondare. Invece oggi non ci crede più. I figli dell'illuminismo sono nichilisti, pragmatici.

Giussani: Io credo che la necessità di riaffermare la libertà religiosa nella Chiesa sia anche del tutto originale, poiché l'alternativa, per la vita dell'uomo in quanto socievole, è l'affermazione della responsabilità verso un trascendente, oppure è la responsabilità verso lo stato. Non ce n'è un'altra. E tutta la società moderna ha teorizzato lo stato come sorgente del senso dell'uomo, e quindi dei diritti dell'uomo. La libertà religiosa, nell'affermazione del Concilio, è perciò un annuncio originale, anche se prende spunto dal vocabolario dell'Illuminismo.

In America latina è impedita una libertà religiosa?

Methol Ferré: In molti paesi è gravemente limitata. A Cuba, per esempio. Ma è limitata anche nei regimi di Seguridad Nacional, che hanno perseguitato ecclesiastici solo per aver affermato i diritti elementari dell'uomo. Ma vorrei dire che la libertà religiosa, sotto mille forme, è minacciata continuamente.

Ed in Europa?

Giussani: Per la struttura stessa dello stato moderno, la libertà religiosa è tendenzialmente combattuta. Essa è permessa nella misura in cui rientra nelle categorie della cultura dominante. Laddove non vi rientra, non è permessa.

Don Giussani, non ci ha dato la sua definizione di libertà religiosa...

Giussani: La libertà religiosa è il diritto che la coscienza dell'uomo ha ad identificare e a creare la strada del proprio destino secondo una ricerca lealmente condotta alla luce delle esigenze originali del cuore dell'uomo. La coscienza dell'uomo è eminentemente interpretazione del segno della realtà. Perciò - a meno che Dio entri nella storia comunicando il suo volto e tracciando Lui la strada - volto, parola e strada del destino sono un'immagine creata dall’interpretazione della coscienza dell'uomo. E questo è il supremo diritto che la coscienza dell'uomo ha.

(da 30Giorni, ottobre 1983)