Un gazebo per la campagna elettorale a Milano.

Voglio vivere (anche) in campagna

Incontri, discussioni, telefonate inaspettate. Che ad alcuni hanno aperto «un mondo sconosciuto». Alla vigilia del voto, le settimane elettorali di chi è sceso nei mercati, al lavoro o in università per verificare che «la fede c'entra con la politica»
Paolo Perego

«Raccontami dei fatti. Voglio capire. Non tanto “perché fare campagna elettorale”. Ma cosa hai scoperto, cosa ci hai guadagnato nel farla?». Carte in tavola. Per capire bene lo scopo per cui è valsa la pena dragare le ultime settimane di alcune persone per vederle all’opera nei mercati, nelle piazze o tra i compagni di lavoro o di corso in università, a distribuire il volantino di giudizio della Cdo sulle elezioni amministrative del prossimo weekend e i “santini” di alcuni amici da votare.
Davide, per esempio, impiegato in una azienda, racconta di nutrire da sempre una certa passione per la politica, di aver partecipato attivamente a tante campagne elettorali: «Ho sempre motivato il mio impegno sostenendo chi poteva dare spazio alla libertà di espressione di certe opere o persone. Ma stavolta lo squallido teatrino politico aveva piegato anche me...». E chi aveva voglia di sbattersi? Poi una provocazione, alla Scuola di comunità: “guardarsi in azione”. «Cosa c’entra quello che sta accadendo con me? E con la mia fede?», si chiede Davide. La provocazione non cade, e con altri amici ne nasce un lavoro, sul disagio, sul bene comune, fino ad arrivare ad allestire una piccola mostra in una piazza centrale di Milano. «Veniva fuori che la salvezza, per tutti, non può arrivare dalla politica, ma da Uno, Cristo, che si è fatto prossimo a ciascuno di noi». Prossimo a tutti, anche a quello che ti sta davanti mentre gli dai il volantino, come racconta Claudio, bancario: «Ti accorgi che l’altro ti interessa. Certo, sei lì a raccogliere voti. Ma lui ti interessa davvero. E allora non fai più propaganda a suon di programmi, ma gli racconti di opere che esistono grazie agli spazi lasciati da certa politica, e gli racconti di te. Di fatti appunto. E qualcuno ti risponde che gli hai aperto un mondo sconosciuto, che non immaginava nemmeno potesse esistere: “E quindi tu chi voteresti?”, ti chiede dopo». Come se colpito da tanta bellezza, chiedesse chi può permettere che nascano delle opere così: il centro di aiuto allo studio Portofranco, le Famiglie per l’accoglienza, o che un giovane neolaureato possa mettere su dal nulla una piccola impresa. «Fare quella mostra era come dire al mondo di chi sono io», dice Davide: «E affermare che non vado a votare, nemmeno con la clausola “il meno peggio turandosi il naso”, se non perché è una azione ragionevole, mosso da ciò che ho di più caro. Così accade anche che spiego la mostra a due ragazzi. Arrivati all’ultimo pannello leggo: “Solo Cristo risponde al cuore dell’uomo”. I loro occhi si spalancano: “Voglio incontrarlo anche io”, dice uno di loro».
La stessa dinamica, la stessa esperienza che hanno fatto tanti universitari “precettati” a far campagna nei mercati. «Fermarsi a parlare con la gente, chiedere di loro, della loro vita», racconta Caterina, della Statale: «È venuto fuori che hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, li prenda seriamente in considerazione rispetto ai singoli problemi di ogni giorno: il lavoro, la via davanti a casa dissestata, le case popolari in pessimo stato». Caterina allunga il volantino a un uomo. Due parole, si chiama Michele. Il figlio ha perso il lavoro e lui è disilluso dalla politica. «Mi lasci il suo contatto, che magari per suo figlio si può fare qualcosa», gli dice Caterina. Fanno i gentili per prender voti, avrà pensato lui. Ma il numero glielo lascia lo stesso: non si mai che... «Quando l’ho richiamato non poteva crederci. Quaranta minuti al telefono con lui commosso che raccontava dei suoi problemi, di suoi figlio: “Non ho mai incontrato gente come voi: mi avete ridato fiducia e penso che tornerò a votare, a vent’anni dall’ultima volta che l’ho fatto”, ha detto ringraziandomi». Non aveva fatto nulla di eclatante, Caterina, solo si era realmente interessata lui, lo aveva ascoltato e l’aveva fatto per sé, dirà poi.
Ma da dove nasce questa capacità, ammesso che lo sia? «Dal partire da ciò che abbiamo di più caro nella vita», diceva ancora Claudio. Lo si capisce bene in quello che è racconta Irene, studentessa di Medicina: «Un amico si è imbattuto al mercato in un militante radicale. Questo ha iniziato a discutere dandogli dell’illuso e dell’ingenuo. La discussione stava iniziando a prendere una piega ideologica, meramente dialettica. Ma poi il mio amico ha iniziato a chiedersi perché era lì, a discutere con quel tipo: “Cosa mi interessa di lui? Avere ragione rispetto a quello che dice?”. E ha pensato a quello che gli è successo nella vita, all’incontro con Cristo che lo ha preso. Ha smesso di controbattere e gli ha chiesto: “Ma tu sei felice?”. “No”, gli ha risposto il radicale. Allora lui gli ha raccontato di quell’incontro in università... E anche se il radicale ha continuato a insultarlo, per lui era cambiato tutto». «Anche gli incontri più comuni, di fronte ai più cinici, mi hanno costretto a chiedermi: “Perché io non sono così? Che cosa ho incontrato che non mi fa essere arrabbiato con la vita?”» dice Carlo, studente. «Sentire i soliti lamenti (“I politici sono tutti uguali, è tutto uno schifo”) mi ha costretto a dare ragione dell’esperienza che sto vivendo». Ma la fede non c’entra con la politica, dicono in tanti... «E invece sono grato all’incontro con il movimento proprio per la sfida che rilancia a questo livello: se la fede non serve a vivere tutto più intensamente, quindi anche la politica, non è ragionevole, non serve».