La presentazione del Meeting all'Onu.

Ciò che ha smosso il Palazzo di Vetro

A New York, la presentazione della kermesse riminese. Dove un giurista ebreo, un docente egiziano e una prof romagnola hanno raccontato cosa li ha fatti diventare amici. E qual è la strada del dialogo vero
Pietro Alfieri

Ieri il Meeting di Rimini è arrivato all’Onu, nella conference room n. 6 delle Nazioni Unite. Tre persone, talmente diverse tra loro da suscitare curiosità ai presenti, anche in un luogo in cui popoli e culture si incontrano di continuo: un giurista ebreo, Joseph Weiler, un professore egiziano di tradizione musulmana, Wael Farouq, e un’insegnante di lettere, Emilia Guarnieri, hanno raccontato la loro amicizia di fronte a un centinaio di persone tra delegati, osservatori e funzionari dell’Onu e personalità del mondo americano. Un’amicizia non basata su una teoria del dialogo o sul compromesso della propria identità. Ma sulla stessa esperienza.
Sul Sussidiario.net Roberto Fontolan si chiedeva: «Chi ha la forza per smuovere il corpaccione inerte del Palazzo di Vetro?». Risposta: dei fatti. «È la storia dei cantieri di Danzica, di piazza Tahrir al Cairo. E del Meeting di Rimini che si presenta al Palazzo dell’Onu. Un piccolo fatto a fronte dell’immenso edificio e delle sue magagne - lo sappiamo, non ci manca il senso delle proporzioni. Chissà». Ed “esperienza” è la parola che è risuonata di più durante l’incontro. A partire dal video dei volontari che raccontavano la loro contentezza nel costruire il Meeting, o degli ospiti che testimoniavano che lì «si vive questa amicizia». Il Meeting è qualcosa di vero, qualcosa che può interessare anche all’Onu, come ha detto Weiler, con spilla sulla kippah di colore verde-bianco-rosso in onore dell’evento italiano: «Il Meeting è un fenomeno che esce dall’esperienza solita delle Nazioni Unite o di politica internazionale. Non è un’organizzazione politica, non è un’organizzazione per attività di lobbying. È un’esperienza umana, è la realizzazione a livello privato dei più profondi ideali delle Nazioni Unite: è l’Onu della cultura».
Si è aperta una finestra sull’Egitto con Wael Farouq, vicepresidente del Meeting Cairo, esperienza che a mesi di distanza continua a fare parlare di sé. È lui che racconta la strada del dialogo vero: «Il gruppo del Meeting Cairo si è impegnato nella realtà egiziana: dopo gli attacchi alla chiesa di Alessandria, abbiamo preso in mano le armi della bellezza e dell’arte di fronte alla violenza. Quando la rivoluzione è iniziata, il gruppo del Meeting Cairo è stato in prima linea e ha partecipato a tutte le manifestazioni. E forse poi la più grande iniziativa è stata la conferenza che il 7 maggio ha coinvolto 5mila partecipanti nel costruire un fronte liberale per assicurare la civiltà dell’Egitto e un coordinamento fra i partiti liberali e i poteri politici per le imminenti elezioni presidenziali».
Qualcosa che nasce dallo spirito del Meeting: «Ciò che questo gruppo ha fatto e la sua esistenza stessa non è altro che il risultato dell’esperienza che abbiamo vissuto a Rimini», ha continuato Farouq. «Un’esperienza di liberazione da stereotipi e pregiudizi. Abbiamo riscoperto e recuperato la fede nella nostra capacità di fare e cambiare. Il vero dialogo è solo un’esperienza comune che non può essere vissuta senza gli altri. È una costante per la costruzione di sé e del mondo... La differenza è la base della conoscenza e il dialogo è uno degli strumenti per conseguirla, perché l’eliminazione della differenza per dialogare con l’altro non è meno aberrante dell’eliminazione dell’altro a causa della differenza». Chiudendo il suo intervento, Farouq ha guardato gli amici del Meeting commosso e ha detto: «Bless you, peacemaker».
E allora ha ragione Weiler: all’Onu non c’è stata un’organizzazione, una ong, ma uomini che si sono detti che si può avere fiducia negli uomini. «Spesso per definire il Meeting diciamo che abbiamo investito sul cuore dell’uomo», ha raccontato Emilia Guarnieri: «“Non dobbiamo avere paura dell’uomo”, ha detto Giovanni Paolo II all’Onu nel ’95. E poco prima, in quel discorso, aveva invitato ad “uno sforzo comune per costruire la civiltà dell’amore”, sottolineando che “l’anima della civiltà dell’amore è la cultura della libertà”. Ed era stato proprio Giovanni Paolo II al Meeting nel 1982 ad usare le stesse parole: “Costruite la civiltà della verità e dell’amore”. Non credo che queste consonanze, questi rimandi siano casuali». Il Meeting è indubbiamente una piccola realtà, ma come ha spiegato Emilia Guarnieri: «Ci sentiamo anche noi descritti da questo compito di costruzione della civiltà dell’amore, proprio in quanto ci sentiamo definiti da quella fiducia nell’uomo, che non si identifica con l’irragionevole ottimismo di chi non si accorge della violenza, delle guerre, del male che c’è attorno a noi e dentro di noi. Ma nella vita quotidiana e anche in questi trent’anni di Meeting abbiamo visto tanti esempi di bellezza, di solidarietà, di grandezza, di speranza, di costruzione, di lavoro».
Generati da uomini. Il Meeting è nato così e continua così. Anche all’Onu, scommettendo sull’uomo, il suo cuore e la sua esperienza della vita. A Rimini c’è un luogo di libertà, in cui è possibile confrontarsi, guardare con serietà al prossimo imparando di più su noi stessi e sugli altri.