Crisi e manovra. Ma che prezzo pagano le famiglie?
Tra manovre finanziarie e altalene della borsa, lo scenario economico che accompagna le vacanze è allarmante. Ecco cosa sta succedendo e come potrebbe pesare sulle tasche degli italianiLa tempesta di inizio estate che si è scatenata sui mercati finanziari e che ha colpito in modo particolare l’Italia costituisce, nella migliore delle ipotesi, un forte segnale d’allarme per la stabilità economica e per le prospettive dell’economia. Per delineare quali potranno essere le conseguenze per i cittadini, i consumatori, i risparmiatori e quindi per le famiglie, è necessario partire da due punti fondamentali.
Il primo è largamente positivo: la struttura economica italiana è sostanzialmente forte perché ha una solida base industriale basata sulle piccole e medie imprese con una significativa capacità di innovazione. A questo si aggiunge una tradizionale alta capacità di risparmio delle famiglie che rende sostenibile il pur elevato debito del settore pubblico.
Il secondo elemento è tuttavia negativo. È il fatto che l’economia italiana da almeno dieci anni è sostanzialmente stagnante. Gli ultimi dati sulla produzione industriale indicano una crescita molto vicina allo zero e, mentre Paesi come la Germania o la Francia hanno interamente recuperato le perdite della crisi del 2009, il livello della produzione italiana è ancora il 15% più basso dei mesi immediatamente precedenti la recessione.
L’Italia è come un atleta che avrebbe la forza e la capacità per arrivare ai primi posti, ma che è costretto a correre portando sulle spalle un carico molto pesante. E non c’è da stupirsi se invece che correre sta praticamente fermo. Questo “carico” è composto di tanti elementi: il più importante è una pressione fiscale particolarmente forte determinata dall’alto debito pubblico e dai costi crescenti dell’apparato statale. Ma poi si aggiungono l’alto costo dell’energia, gli oneri burocratici e amministrativi, i ritardi della giustizia, le conflittualità del mercato del lavoro. L’Italia è così in un circolo vizioso: alto debito pubblico, alte tasse, bassa crescita, quindi maggiore spesa pubblica e così via. E la manovra che è stata presentata nei giorni scorsi non sembra in grado di spezzare questa catena come dimostrano le turbolenze sui mercati.
Che cosa c’è da aspettarsi allora per il futuro? Le prospettive non sono certo rosee. Se, infatti, è indispensabile mettere sotto controllo, e se possibile diminuire, la spesa pubblica non si può che osservare la disarmante volontà di non intervenire sui veri costi della politica, sul taglio dei centri di spesa (per esempio con l’abolizione delle province), sulla coraggiosa semplificazione. E allora verrà sacrificata la spesa sociale: è già stato varato il blocco dell’indicizzazione delle pensioni medio-alte (in pratica una tassa occulta che fa diminuire il reddito reale), sono già stati programmati i ticket per gli esami al pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri, oltre all’annuncio ormai rituale di una stretta sulle pensioni di anzianità. Ma lo stesso presidente del Consiglio ha già annunciato “misure aggiuntive”: è facile scommettere che si tratterà di qualche nuova tassa, anche se magari si troverà una formula per chiamarla in qualche altro modo.
Per restare nel concreto su molte famiglie vi sarà poi l’aggravio per l’aumento delle rate sui mutui a tasso variabile, un aumento che sarà tuttavia probabilmente limitato perché gran parte dei mutui sono indicizzati ai tassi europei e non a quelli italiani che hanno avuto un vero e proprio balzo in avanti.
Non sono giustificate peraltro le preoccupazioni per quanti, e sono molti, hanno sottoscritto titoli di Stato. È vero che il rialzo dei tassi ha fatto sensibilmente diminuire il prezzo di mercato di Btp e Cct, ma è altrettanto vero che questi titoli vengono generalmente acquistati per essere mantenuti fino alla scadenza e il rimborso al 100% resta comunque garantito. Un costo aggiuntivo verrà comunque dall’aumento dell’imposta di bollo sui “dossier titoli” che i risparmiatori hanno presso le banche: a meno che il Parlamento non riveda una norma che rischia di avere più costi che benefici. Non bisogna poi dimenticare che il taglio lineare ai trasferimenti agli enti locali non potrà che comportare una diminuzione degli interventi sociali, come gli asili nido, i sostegni agli anziani, le iniziative di integrazione.
Nell’insieme quindi i costi sulle famiglie dell’attuale situazione politica ed economica rischiano di essere rilevanti. Anche perché sono anche particolarmente forti i costi indiretti che la mancata crescita comporta con in primo piano la sempre maggiore difficoltà per i giovani di trovare un posto di lavoro e l’allargarsi del drammatico divario tra Nord e Sud.