Tra le cause della crisi, il debito eccessivo.

Un po’ di debito è una virtù (ma troppo è un incubo)

Tempesta finanziaria: tutta colpa della speculazione? Non proprio. Dall'indebitamento all'incapacità di fare riforme efficaci, ecco le colpe di tanti Paesi, Italia compresa. E chi pagherà il conto...
Gianfranco Fabi

«Gli speculatori fanno affari d’oro e a pagare il conto alla fine saranno i pensionati». In apparenza è un’analisi che non fa una piega. È vero, infatti, che nella tempesta finanziaria che a ondate successive sta coinvolgendo il sistema dei Paesi industrializzati ci sono persone più o meno esperte che hanno saputo cogliere il momento giusto per operare con il massimo profitto sui mercati internazionale. Ed è altrettanto vero che il cammino di risanamento che hanno intrapreso i Paesi più indebitati comprende un taglio più o meno grande alla spesa pubblica e quindi anche, come in Italia, alle rendite dei pensionati.
Ma è un’analisi che ha un piccolo, ma importante, tallone d’Achille: scambia la causa con l’effetto. La tempesta finanziaria, infatti, non è stata causata dalla speculazione, che comunque ne ha largamente approfittato, ma è stata provocata dall’eccesso di indebitamento di alcuni Paesi (in primo luogo la Grecia, ma di fatto anche l’Italia) che ha fatto temere una possibile insolvenza e quindi il mancato rimborso dei titoli emessi dai singoli Stati. Il problema di fondo che è stato alla base della crisi americana del 2009 e che è alla base dell’attuale crisi europea è, infatti, solo e unicamente il debito eccessivo. Negli Stati Uniti il debito privato che si è aggiunto a quello pubblico, in Europa il debito degli Stati che è cresciuto in maniera molto forte negli ultimi due anni nel tentativo di limitare gli effetti sociali della crisi.
Il debito in sé (e in modica quantità) non solo non è negativo, ma può costituire anche uno stimolo positivo al benessere delle persone e alla crescita del sistema economico. È del tutto virtuosa una famiglia che contrae un mutuo per acquistare un appartamento e che riesce a pagare gli interessi e la graduale restituzione del capitale impegnando non più di un quarto del proprio reddito. Il debito è perfettamente sostenibile ed è tale da permettere alla famiglia di godere di un bene (la casa appunto) molto prima di quanto avrebbe potuto fare se avesse dovuto prima risparmiare e poi procedere all’acquisto. Lo stesso vale per le imprese. Un’azienda si può indebitare per acquistare dei macchinari, per ampliare uno stabilimento, per acquisire altre imprese, aumentando così non solo il proprio patrimonio, ma anche la propria possibilità di azione, il proprio giro d’affari e quindi i propri guadagni.
A un certo punto tuttavia il debito cessa di essere una virtù. I parametri di giudizio sono essenzialmente due: 1) il debito deve essere sostenibile, e quindi i guadagni della famiglia o dell’impresa devono essere tali da permettere di pagare agevolmente gli interessi e la restituzione del capitale; 2) all’aumento del debito deve corrispondere un aumento del patrimonio: è il caso della famiglia che acquista una casa e di un’impresa che compra un nuovo capannone.
I segnali d’allarme suonano quando il debito finanzia la spesa corrente e non gli investimenti e quando si contraggono debiti per pagare gli interessi dei debiti precedenti. Molta parte del debito pubblico rientra, purtroppo, in queste categorie. Negli anni 80 e 90 l’Italia ha usato la leva del debito per finanziare una generosa strategia sociale (ricordate i baby pensionati…) e per sostenere i crescenti costi della politica.
Alla fine degli anni 90, con la volontà di entrare nella moneta unica, si è ritrovata la strada del rigore e la riduzione del deficit è diventato un obbligo per ogni governo. Ma il debito pubblico accumulato in precedenza ha continuato a pesare anche se con la drastica riduzione dei tassi d’interesse realizzata con l’euro si è anche ridotto l’impegno per il dovuto pagamento degli interessi. E, peraltro, la bassa quota di indebitamente privato e l’alto livello di risparmio delle famiglie hanno finora sempre e comunque garantito la sostenibilità degli impegni finanziari. Resta il fatto che l’Europa ha sapientemente collocato a quota 60% del prodotto interno lordo il livello equilibrato di debito dei singoli Paesi che hanno adottato l’euro. Ebbene l’Italia è a un livello doppio ed ha ottenuto l’adesione alla moneta unica garantendo un rientro progressivo: ma da dieci anni a questa parte la promessa non è stata mantenuta anche perché l’Italia continua a soffrire di una bassa crescita economica, di scarsi aumenti di produttività, di limitata competitività delle industrie. In fondo continua a soffrire dell’incapacità della politica di attuare le riforme necessarie al Paese. Ecco perché anche l’Italia ha contributo per la sua parte alla tempesta finanziaria. Ecco perché a guadagnare possono essere gli speculatori e a pagarne le conseguenze saranno (anche) i pensionati.