Palazzo Montecitorio, la Camera dei Deputati.

Un «cuore docile» che parla alla politica

«Come il discorso del Papa al Bundestag giudica il vostro impegno?». Ecco le riflessioni di alcuni parlamentari italiani che hanno accettato di confrontarsi con le parole del Pontefice
Ubaldo Casotto

Benedetto XVI parla al Parlamento tedesco, la prima volta di un Pontefice al Reichstag, e non snocciola un elenco di diritti inviolabili, svolge piuttosto una profonda lezione sui fondamenti dello Stato liberale di diritto, facendola ruotare intorno al perno di un criterio insolito per le assise politiche, due parole con le quali apre e chiude il suo discorso: un «cuore docile», quello che chiese Salomone a Dio per «rendere giustizia al popolo», quello che il Papa oggi chiede per i legislatori in modo che abbiano «la capacità di distinguere il bene dal male e di stabilire così un vero diritto. Di servire la giustizia e la pace».
Abbiamo chiesto ad alcuni parlamentari italiani di lasciarsi provocare da questo importante discorso, ecco le loro risposte.

Eugenio Mazzarella (Pd)
Mi sembra una grandiosa variazione su un tema classico della riflessione giuridica: «Ubi homo, ibi societas. Ubi societas ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius». Se si vuole l'uomo - questo credo che il Papa voglia dirci - bisogna volere il diritto, ma non solo come tecnologia sociale formalizzata nella convenzione giuridica, bensì come giustizia che genera pace: se oltre alla forma del diritto si vuole la sua sostanza di giustizia, se in altri termini si vuole con l’uomo la dignità dell’uomo, bisogna volere la dignità del diritto.
Questa dignità del diritto sta nel «cuore docile» di chi ascoltando la sua ragione e la natura nella sua ragione e tramite la sua ragione, sa ascoltare la sua appartenenza alla vastità del mondo, ad un “progetto” più grande di sé.
Il diritto naturale - oggi il suo nome sono i diritti umani - non è un cane morto del diritto moderno, affidato anch’esso alla positività di una pura convenzione sempre revocabile dalla forza, ma vive nel cuore e nelle opere degli uomini che lo affermano nella sua lotta per essere diritto. I diritti umani non possono essere ridotti a una convenzione giuridica positiva, che pure sono e devono essere per emergere all’effettività del diritto, alla sua efficacia nelle relazioni tra gli uomini, ma in radice vanno riconosciuti come un’emergenza (in cordibus, nell’autoavvertimento del cuore) della natura razionale dell’uomo; un’emergenza storico-naturale dell’homo sapiens sapiens da sempre accertabile - nella socialità umana come “cultura” - come “bisogno di giustizia” che storicamente cerca i suoi istituti giuridici, oggi “i diritti umani” appunto.
Più in generale il discorso del Papa mi appare un appello a un’ecologia dell'uomo come ecologia dello spirito: come capacità della ragione di perfezionare, alla luce della grazia, la natura nella cui carne vive.

Gaetano Quagliariello (Pdl)
È un discorso che conferma quanto già sapevamo: Joseph Ratzinger è il più grande intellettuale vivente. Temi che nelle nostre analisi sono stantii, in lui acquistano nuova linfa, nuova vitalità e ulteriore profondità.
Va innanzitutto detto che questo Papa ha una concezione non laica, laicissima della politica. Dice senza mezzi termini che la politica è conquista del potere. Ma per che cosa? O la politica è legata a una concezione del bene o diventa sopruso e giustifica qualsiasi azione. Una concezione relativistica della politica porta alla relativizzazione dello Stato di diritto e alla sua distruzione, e riduce lo scontro politico a una lotta senza più remore né limitazioni. In questo senso il Papa rivisita le recente storia tedesca.
Come si evita questo scadimento? Con un visione culturale complessiva che dà una nuova profondità alla legge naturale, che la lega al logos greco e allo ius romano rivisitati dal cristianesimo. Quella del Papa è una visione inclusiva della cultura, contro un razionalismo positivista esclusivo; Benedetto XVI sa comprendere il mondo pre-cristiano e l’illuminismo, sa valorizzare il movimento ecologista allargandone l’orizzonte sino all’ecologia umana, sa riconoscere il valore delle minoranze.
Fa tutto questo con un richiamo metodologico al «cuore docile» dell’uomo politico, Salomone e noi oggi. Non ci chiede l’adeguamento a un “diritto naturale” fissato una volta per tutte, ma di usare coscienza e ragione nelle situazioni storiche sempre nuove che ci troviamo a vivere. Mi sento di dire che questo è il cuore della politica. L’allontanamento, cui assistiamo, dallo Stato di diritto è una perdita secca per la nostra società; possiamo anche vincere oggi, o far perdere il nostro avversario, usando ogni mezzo, ma presto la storia ci presenterà il conto.

Paola Binetti (Udc)
Il Papa ha voluto sottolineare il fondamentale rapporto tra politica e diritto, spiegando che il senso della politica è la ricerca della giustizia, includendo quindi nell’orizzonte politico non solo la promozione dei diritti ma anche l’osservanza dei doveri. Se la politica non ha questo respiro non è degna del suo nome. Il compito di noi politici non è solo di confrontarci con il volere della maggioranza, ma anche con una legge naturale oggettiva che va ricercata attraverso quella che il Papa ha chiamato la “docilità del cuore”: dobbiamo riappropriarci della voce della coscienza per ascoltare quella legge non scritta ma che è nel cuore di ogni uomo. Benedetto XVI, in fondo, ripropone un itinerario di formazione per ognuno di noi, la docilità non è solo verso la voce esterna del pastore, ma al nostro cuore, lì è iscritta la legge che va ascoltata attraverso la nostra ragione, ed è grazie a questo fondamento comune che possiamo capirci e quindi mediare sui problemi con più immaginazione.
Il richiamo alla docilità del cuore porta alla questione decisiva: la capacità di distinguere il bene dal male. Sapere che la categoria dell’utile non è l’unica regola aiuta i politici a resistere alle tentazioni, anche a quella dell’efficientismo.

Guglielmo Vaccaro (Pd)
Io il Papa non lo commento, lo ascolto. E la prima cosa che vorrei dire, dopo il discorso al Bundestag, è che vorrei invitarlo al Parlamento italiano, l’occasione potrebbe essere il decennale della visita di Giovanni Paolo II. Nel momento così grave che stiamo attraversando sarebbe molto utile poter passare una giornata con lui, potrebbe veramente aiutarci. Già lo ha fatto con l’invito ad avere un «cuore docile», perché è il cuore che può guidarci nei passaggi più difficili che dobbiamo affrontare. Il Papa ha dimostrato di saper cogliere la differenza tra una realtà guidata da diritto e una che invece ne è priva, e che ha come inevitabile sfondo la violenza invece della capacità di costruzione. Il suo mi è sembrato un grande appello positivo a costruire. Mi ha fatto venire in mente la frase di san Paolo: «Tutto è lecito, ma non tutto edifica», solo il cuore, il cuore docile, aiuta a costruire.
Benedetto XVI ha mostrato poi, con la valorizzazione del movimento ecologista, di saper leggere e interpretare i segni del tempo in cui viviamo, e nello stesso tempo ricordare che possono cambiare tutte le frontiere -, anche quelle della fisica, come dimostra l’esperimento del Cern sulle particelle più veloci della luce - possono cambiare tutti i riferimenti, ma quelli dell’uomo non cambiano, e vanno rispettati.
Mi dispiace per chi ha manifestato il suo dissenso con l’assenza dall’Aula del Reichstag, forse si è già pentito. Ma hanno una seconda chance: se inviteremo il Papa alla Camera, potranno sempre venire tra il pubblico.

Francesco Paolo Sisto (Pdl)
L’ho ascoltato col fiato sospeso e ho solo una parola: dominato, io sono dominato da questo discorso. Sono parole che riprendono la storia di ciascuno di noi e la rimettono davanti a se stessa, sembra di rileggersi. Con assoluta semplicità e logica stringente il Papa parte da un principio che potrebbe apparire semplicistico, la domanda di Salomone di un «cuore docile», e ritorna ad esso dopo un excursus che spiega le ragioni profonde di quella domanda attraverso la storia. Partendo dal “cuore docile”, Benedetto XVI affronta ciò che è diverso dalla docilità, si misura con il positivismo giuridico di Kelsen, e con la ricerca del successo che ogni politico persegue, introducendo il criterio della giustizia. C’è un rapporto tra l’uomo e la giustizia nel quale trova senso il compito del politico: impedire l’ingiustizia. Non si tratta della giustizia delle regole, ma della giustizia che è la vicinanza a Dio. Il Papa, così, riconsegna la nobiltà alla politica.
È questo discorso che dà il respiro che permette di leggere l’invito a una «rinascita etica» di cui il Pontefice parla nella lettera al presidente Napolitano.
Non leggo una cosa così netta e universale da tanto tempo. Colpito dall’insieme, non vedo l’ora di riprenderla e di lavorarci sopra cogliendo ogni singolo passaggio con i colleghi con i quali faccio la Scuola di comunità.