Krzysztof Prokop nel 1983.

Da quel "sì" è nato un popolo

L'incontro con Annalia a Lublino, il lager e il pellegrinaggio di Czestochowa. Krzysztof Prokop è morto pochi giorni fa. Ecco le prime tappe di una storia che ha portato il movimento in Polonia
Annalia Guglielmi

Il 20 settembre scorso ci ha lasciato Krzysztof Prokop, una delle persone a cui si deve la presenza del movimento in Polonia.
Ci conoscemmo alla fine degli anni 70 a Lublino, all’Università Cattolica, dove io insegnavo italiano e lui studiava teologia. La sintonia fu immediata e profonda e diventammo ben presto amici. Dell’esperienza del movimento di cui gli parlavo lo affascinava soprattutto la radicalità del rapporto con Cristo che diventa capacità missionaria, presenza in ogni ambiente, capacità di giudizio e fonte di cultura. Durante i mesi di Solidarnosc si impegnò attivamente nell’organizzazione degli studenti nata dal sindacato e per questo, dopo l’introduzione dello stato di guerra il 13 dicembre 1983, fu rinchiuso per diversi mesi in un campo di internamento. Ricordando quei mesi ha sempre detto che per lui erano stati una sorta di esercizi spirituali, in cui aveva verificato come il rapporto con Cristo rende ogni situazione, anche la più contraddittoria, occasione di bene e di rapporto con gli altri.
Nel luglio del 1983 organizzammo un incontro sui monti Tatra per mettere insieme alcune persone che in diverse città polacche avevano dimostrato il desiderio di rendere più profondo e personale il rapporto con il movimento, che avevano conosciuto attraverso il lavoro di Cseo e la partecipazione di gruppi di studenti italiani al pellegrinaggio alla Vergine di Czestochowa. Krzysztof aderì subito a quell’invito. Eravamo una ventina tra italiani e polacchi. Piovve tutti i giorni, passammo le nostre giornate attorno ad un tavolo, dove, guidati da don Ricci, Dima, Claudio Bottini e Luciano Riboldi, andammo a fondo del nostro desiderio di conoscerci e di scoprire il carisma del movimento. Al termine di quella settimana nacque la prima “diaconia” del movimento in Polonia, cinque persone e Krzysztof era tra loro. In ottobre a Czestochowa ci fu il primo incontro nazionale del movimento con don Giussani.
Il sì di Krzysztof è stato fin da subito totale, attorno a lui nacquero le comunità di Varsavia, di Legionowo, di Radom.
Nel 1989, dopo la caduta del muro, accolse con entusiasmo l’invito di Antonio Intiglietta e della Cdo di dar vita ad una società di consulenza, Prosvi Polska, che attraverso gli investimenti italiani potesse contribuire alla ricostruzione economica del Paese, e mise generosamente a disposizione di quest’opera tutta la ricchissima rete di contatti che aveva costruito negli anni. Si sapeva muovere in ogni ambiente, politica, istituzioni culturali, mondo degli affari senza mai perdere di vista che la ragione di ogni cosa era rendere testimonianza a Colui che dà senso ad ogni cosa e così per lui ogni situazione era un’occasione di missione in un modo discreto e semplice, che suscitava stima e rispetto in chi lo incontrava. Così è nata la Cdo in Polonia di cui è stato presidente fino alla fine.
Nei momenti di difficoltà nei rapporti ha sempre cercato la riconciliazione, la ripresa, il perdono in un modo stupefacente. Alle mie obiezioni rispondeva che bisogna sempre dare a chiunque un’altra possibilità, e lo ha fatto anche durante gli ultimi giorni della malattia. E questo nasceva, sì, dalla sua natura, ma soprattutto dalla sua certezza del rapporto con Cristo che è venuto per la salvezza di ogni uomo.
Krzysztof è stato un uomo in cammino, nel vero senso della parola: amava in modo particolare il pellegrinaggio a Czestochowa. Vi ha partecipato quindici volte. L’anno scorso ha compiuto da solo il Cammino di Santiago e quest’anno aveva intenzione di percorrere la Via Francigena fino a Roma. Il cammino e l’offerta erano per lui il paradigma stesso della vita del cristiano. In pellegrinaggio portava con sé tutte le persone care: aveva un’agenda in cui ogni giorno annotava i nomi di coloro per i quali offriva il sacrificio e la fatica della giornata. E ha vissuto la malattia come un pellegrinaggio, continuando ad annotare, finché le forze lo hanno sorretto, giorno per giorno i nomi delle persone per le quali offriva il sacrificio della sofferenza e della sua vita, portandoci con sé nel suo ultimo pellegrinaggio.