Ma non possiamo oscurare la ragione
Wikipedia torna online dopo il black-out. Tre giorni in cui una società come la nostra «s’è sentita orfana». Perché? Ne abbiamo parlato con il filosofo Silvano PetrosinoÈ durato solo tre giorni, ma ne hanno parlato tutti i mass media. E chissà quanti hanno tirato un respiro di sollievo quando, ieri mattina, la versione italiana di Wikipedia è tornata online. Dal 4 al 6 ottobre si era oscurata volontariamente, per protestare contro il ddl intercettazioni. Un black-out che ha significato molto per il lavoro di giornalisti, professori, studenti, politici... È inutile far finta di niente: per tre giorni una società come la nostra s’è sentita orfana. Come ributtata indietro di decenni. Perché questo? Ne abbiamo parlato con Silvano Petrosino, docente di Semiotica all’Università Cattolica di Milano.
Cosa mette a nudo questa reazione rispetto all’oscuramento di Wikipedia?
Un malessere. È un tratto distintivo della nostra cultura: il tutto e subito. I successi della tecnologia ci hanno portato a credere nel tutto e subito. La nostra concezione del tempo ormai è dell’istante: basta un clic su Google per ottenere ciò che cerco. Potremmo parlare di un aspetto di modificazione antropologica.
Che cosa intende?
L’uomo è cambiato rispetto a venti o trent’anni fa. Ci siamo abituati ad avere questo rapporto con ogni cosa. Pensi per esempio alla salute: se ci viene un raffreddore, sappiamo che basta una pastiglia per farlo passare. Ma la vita non è questo. E lo capiamo quando ci imbattiamo in cose serie: un amore, un dolore, un lutto... Il tempo dell’uomo non è l’istante ma la storia.
In che senso?
Io vedo come i miei studenti affrontano lo studio: quando arrivano, pensano che sia rispondere a dei quiz. Invece il sapere è altro: è capacità di leggere un romanzo, di riflettere... Di fare un percorso, insomma, che può richiedere di fare fatica, di rendersi conto di non capire, di dover tornare su una pagina... A lezione cerco di spiegarlo: l’intelligenza e la ragione sono distinte. La prima è soprattutto la capacità di problem solving, quindi va bene per trovare la soluzione a un test. La ragione, invece, è lo specifico dell’umano. Ed è tutt’altro: implica un allargamento, una considerazione di tanti fattori, un tempo che non è quello dell’istante.
Il comunicato di protesta di Wikipedia parlava della «rete come fonte e luogo di conoscenza». È così?
La conoscenza umana è fatta di un insieme di informazioni e nozioni. Pensi al lessico: ha più potere chi conosce più parole. Lo ripeteva sempre don Lorenzo Milani ai suoi giovani: se conoscete dieci parole in meno dei padroni, ne sarete dominati. Quindi più informazioni ci sono e meglio è.
Allora ha ragione Wikipedia?
No, perché non basta possedere un insieme di nozioni per conoscere: bisogna anche saperle legare tra loro. La conoscenza è questa correlazione: un testo nel senso profondo del termine, il logos, ciò che lega.
In questo senso, la rete dovrebbe esaltare la possibilità di creare collegamenti.
In realtà non è sufficiente. La ragione non è un collegamento qualunque, ma un collegamento che mira alla ricerca di senso, all’interpretazione del reale. Il punto è muoversi secondo una direzione, anche se poi può rivelarsi sbagliata. La rete facilita un collegamento tra le nozioni, ma neutro.
È il «sapere libero e neutrale» che Wikipedia intende offrire...
La «neutralità», però, è un concetto ambiguo. Troppo spesso lo facciamo coincidere con ciò che è naturale, oggettivo. Che qualcosa sia neutrale non significa che sia la verità assoluta. Il problema è che più uno strumento è potente, più tende a imporsi come non-strumento. Cioè come qualcosa che coincide con la realtà. Nella nostra epoca avviene questo, per esempio, con la medicina: ciò che dice un medico viene preso come verità assoluta, mentre ciò che dice un poeta o un mistico è percepito come un’interpretazione.
A cosa è dovuto, secondo lei?
Ad una difficoltà che deriva dal “tutto e subito”. Questa concezione ci piace perché sospende l’urgenza e la fatica della verifica, cioè dell’interpretazione. Invece non possiamo mai farne a meno. Bisogna dirlo ai ragazzi e a noi stessi.