La consegna della colletta all'Arcivescovo.

Un'amicizia da 100mila scellini

Appena oltre il confine, la carestia. Così in una scuola di Nairobi tre ragazzi decidono di fare una colletta. Scoprendo qualcosa che vale molto di più dei soldi raccolti, come ha visto il Cardinale...
Pietro Bongiolatti

Ignatius ha diciotto anni, vive a Nairobi, Kenya. Ogni giorno sente le notizie che arrivano da Dabaab, il campo profughi al confine tra Kenya e Somalia dove si riversano milioni di persone per sfuggire alla carestia del Corno d’Africa. È a poche centinaia di chilometri da casa sua, e quello che sente raccontare lo sconvolge. Non può non parlarne con Samuel e Vimal, due amici e compagni di scuola, con cui decide di organizzare una colletta per aiutare i profughi somali. In poco tempo, raccolgono circa 100mila scellini kenioti, più di quello che un operaio della loro città guadagna in un anno: al cambio sono meno di mille euro, ma valgono molto di più.
La colletta ha come punto di raccolta la Cardinal Otunga, la loro scuola: è nata quattro anni fa da alcuni amici che hanno voluto rischiare un’educazione secondaria diversa dalle boarding school diffuse in Kenya e dove i ragazzi vengono “scaricati” dalla famiglia per tutta la settimana. Joakim Koech, il preside, ha voluto una scuola dove tutti fossero coinvolti nel rapporto educativo: studenti, famiglie e professori, a partire dalla sfida del Rischio educativo di don Luigi Giussani (vedi Tracce, n.6/2010). Ed è stato lui a sostenere Ignatius, Samuel e Vimal, quando hanno deciso di diffondere un volantino, dal titolo: «Nessuno è così povero da non poter dare qualcosa».
I tre ragazzi non sono ricchi, e molti loro compagni vivono nelle baracche di Kibera, lo slum della capitale, ma hanno voluto dare a tutti la possibilità di condividere il dramma di chi cerca un’alternativa alla miseria del proprio Paese. Per un mese e mezzo, ciascuno ha donato quello che poteva: qualche spicciolo, un chilo di riso, farina o zucchero ed in breve l’iniziativa si è allargata anche alla scuola primaria Urafiki-Carovana, gestita dalla Fraternità San Carlo.
La maggior parte degli studenti delle due scuole è lì in forza dei progetti di adozione a distanza di Avsi: spesso vengono da famiglie in difficoltà, vivono in capanne di fango e legno senza acqua e servizi. Ma è proprio grazie a loro che Ignatius e i suoi amici hanno raccolto tutti quei soldi. Che sono solo la punta dell’iceberg di un capitale più grande: la vita nata attorno alla Cardinal Otunga, alla Urafiki, a Joakim, ai suoi amici e ai missionari della San Carlo, che nella vita delle loro scuole hanno coinvolto tutti, studenti e famiglie, in un rapporto educativo che vale più di 100mila scellini.
Il 28 settembre, davanti alla cattedrale di Nairobi, i tre amici, insieme ad alcuni studenti e insegnanti e ai presidi delle due scuole, hanno consegnato all’arcivescovo, il cardinale John Njue, i frutti della raccolta: gli scellini, ma soprattutto la loro esperienza. Ignatius ha raccontato come e perché è nata la raccolta, ma è stato il Cardinale a svelarne il nocciolo: «Non avete dato qualcosa perché avete, ma perché è nella nostra natura condividere il bisogno dell’altro».