Un momento dell'incontro.

«Così Giussani ci è diventato amico»

A Milano un membro dei Fratelli Musulmani, un imam sciita e un professore cattolico hanno presentato la traduzione araba de “Il rischio educativo”. Gettando un ponte «verso chi sta dall’altra parte del fiume»...
Pietro Bongiolatti

Per la presentazione de Il rischio educativo ieri s’è riempita tutta la sala dell’Auditorium di Milano. E dal genio educativo di don Luigi Giussani è fiorito un dialogo ecumenico. Una serata da subito densa, visti i tre ospiti sul palco: un membro dei Fratelli Musulmani, un imam sciita e un professore cattolico: Abdel Fattah Hassan, traduttore del libro, professore di Letteratura italiana all’Università del Cairo ed ex deputato al Parlamento egiziano, l’imam Ibrahim Shamseddine, già ministro del Libano ora impegnato nel dialogo tra le diverse anime della terra dei cedri, e Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale a Perugia.
Ha introdotto don Ambrogio Pisoni, responsabile di Comunione e Liberazione per il Medio Oriente. La traduzione araba de Il rischio educativo nasce da un incontro casuale proprio tra lui e Fattah. A cena sulla terrazza di un hotel, al Meeting del Cairo dello scorso ottobre, il professore egiziano scopre l’ipotesi educativa di don Giussani e decide di farla conoscere anche nel suo Paese. Così in pochi mesi il libro è pronto. Nel frattempo l’Egitto è passato attraverso la Primavera araba, ma per Abdel Fattah non è cambiato il «compito dei dotti, degli educatori e degli uomini di religione: formare l’uomo, il cittadino buono, giusto e tollerante, qualunque sia la sua religione».
Questo è stato il nodo della serata: come formare uomini veri, disposti alla convivenza e al dialogo. E la traduzione di quest’opera è un passo importante: «Per la possibilità di rompere la teoria del rivale, cioè di chi sta dall’altra parte del fiume. Abbiamo gettato un ponte», continua Fattah. Da qui la sua sintonia con don Giussani: «Definisce la crisi come il momento del discernimento tra ciò che è buono e ciò che non lo è, del “rovistare dentro il sacco della tradizione”. Anche nella lingua araba dal sostantivo che indica la crisi deriva il verbo che significa separare ciò che è vero da ciò che è falso. Questa è la tensione che accomuna tutte le religioni: la ricerca del vero, alla base di ogni rapporto educativo». Perché, nota Fattah, è diffusa in tutto il mondo «una tradizione tribale: si sostiene chi ha una posizione comune alla propria anche quando è nel torto». Invece è necessario rompere questa abitudine: «E questo è possibile attraverso un incontro, che è una cosa magica. Da lì nasce un rapporto nel quale vagliare la tradizione».
Anche Ibrahim Shamseddine ha sottolineato la necessità di questo lavoro, soprattutto attraverso l’uso della ragione: «La propria tradizione va giudicata e criticata: così inizia un dialogo vero». Qui il contributo di Giussani: «Dice che il credente non teme nulla perché ha Dio nel cuore. Ecco: dialogo significa accettare l’altro per quello che è, perché non è una fotocopia di me stesso. Un dialogo di vita, dato che dobbiamo affrontare le stesse sfide: la famiglia, lo sviluppo, la lotta alla povertà...». E la storia può insegnarci tanto: «Nei rapporti tra cristiani e musulmani c’è stato il dialogo della spada e quello della conversione, che non hanno mai cambiato nulla. Ora è necessario che i cristiani siano cristiani e i musulmani siano musulmani, per confrontarsi insieme sulla propria identità e far crescere i valori del rispetto e della moderazione». In questo senso, ha aggiunto Shamseddine: «Giussani è diventato un amico nella mia esperienza. Per la necessità di trapiantare la fede nel processo educativo».
Per Borghesi, si possono ritrovare tre fattori fondamentali: «La valorizzazione della tradizione, la ripresa della tradizione a partire da un vissuto presente e la riflessione critica, che indica un confronto con il moderno». Quei valori, dunque, sono tanto più necessari nell’attuale situazione, in cui «sono in atto delle forze che vogliono fermare il cambiamento iniziato con la Primavera araba». Come s’è visto con la strage di cristiani copti di domenica scorsa: «Si vuole rompere la collaborazione tra cristiani e musulmani vista a piazza Tahrir. La traduzione del Rischio educativo in arabo invece va nella direzione opposta, perché apre alla possibilità di un confronto reale a partire dalla certezza delle proprie posizioni». E la serata di ieri ne è stata la dimostrazione, come ha concluso don Ambrogio: «Da più parti ci hanno consigliato di essere un po’ cinici in occasioni come questa, di non aspettarci troppo da interlocutori così diversi dalla nostra tradizione. Ma per noi il dialogo nasce dalla gratitudine che fiorisce all’apice della ragione, come la fede in Cristo. Che non era cinico: era cattolico».