Il Patriarca maronita Béchara Rai con il Segretario <br>generale dell’Onu, Ban Ki-moon.

Cristiani, una presenza decisiva

La guerra in Libia, le elezioni in Tunisia, la questione libanese e l'incontro del Patriarca maronita Béchara Rai con l'Onu. Padre Samir Khalil Samir, islamologo, spiega come sta evolvendo la "Primavera araba" (dal Giornale del Popolo, 28 ottobre 2011)
Luca Fiore

Il Patriarca maronita Béchara Rai ne ha discusso a tu per tu con il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e ha redatto un documento ufficiale per chiedere apertamente alle Nazioni Unite che venga dichiarata «la neutralità del Libano» per preservare l’ultima isola del mondo arabo in cui il ruolo dei cristiani per il futuro della regione è garantito per quello che è: fondamentale. Per andare a fondo del significato delle parole di mons. Rai abbiamo chiesto un aiuto all’islamologo egiziano padre Samir Khalil Samir.

Padre Samir, come giudica l’appello all’Onu del patriarca Rai?
Quello che il patriarca Rai ha detto a Ban Ki-moon è importantissimo. Innanzi tutto perché ha ribadito che i cristiani stanno pagando, più di altri, il prezzo di tutti i problemi del Medio Oriente. Ne pagano il prezzo con l’esilio oppure, talvolta, con le aggressioni da parte dei musulmani o di altri. Mons. Rai vuole sottolineare che i cristiani, invece, sono quelli che più si oppongono alla violenza e all'ingiustizia. Difendono i valori difesi dall'Onu: i diritti umani e la democrazia. In tutti i movimenti in atto nel mondo arabo, i cristiani non sono i promotori della violenza ma, disarmati, chiedono giustizia. Inoltre il Patriarca dice: «Noi siamo per le riforme politiche per il popolo, siamo per la democrazia nel mondo arabo e condanniamo il ricorso a tutte le forme di violenza, sia che provengano dal popolo che reclama diritti sia dai governi che si oppongono». Cioè: noi condanniamo la violenza da qualsiasi parte essa provenga. Ed è questa seconda affermazione che gli ha attirato molte critiche.

Quali critiche?
È stato accusato, da parte cristiana, di aver preso le parti del regime siriano. In Libano tutti gli occhi sono puntati sulla Siria. Dicono: «Noi cristiani dobbiamo difendere i diritti umani in tutti i Paesi». E non c’è dubbio che i diritti umani siano calpestati da tutti i governi del mondo arabo, a parte forse in Libano. Rai dice: è giusto che il popolo reclami diritti, ma non dovrebbe farlo con la violenza perché essa è controproducente, visto che i governi sono comunque più forti. Pensiamo alla Libia: se non fosse stato per l'intervento della Nato, è probabile che il regime oggi sarebbe ancora in piedi. Io capisco questa prudenza: la violenza suscita violenza.

Ma in questo modo si dà l'impressione di schierarsi con i dittatori…
Mons. Rai cerca di essere neutrale per limitare i disastri, perché è chiaro che i governi hanno l'esercito dalla loro e non sono senza pietà. D'altra parte la transizione da un regime all'altro è un momento molto difficile: se togliamo un dittatore non siamo certi che la situazione migliorerà. Ed è questo il dubbio che hanno oggi tutti i vescovi del Medio Oriente: sanno che i regimi attuali, ovunque siano, sono regimi totalitari, egoisti, che cercano di arricchirsi. Ma non si tratta di scegliere tra un bene e un male, ma di scegliere tra un male che conosciamo e una situazione che potrebbe essere migliore o peggiore, ma che ha delle probabilità di essere peggiore.

Il patriarca chiede all’Onu che si riconosca il contributo dei cristiani alla rinascita araba e allo sviluppo culturale, sociale, economico ed industriale della regione.
Quando si parla di "rinascita" (in arabo si dice "ennhahda") si intende il movimento iniziato nell'ultimo terzo del 1800 fino al 1930. Questo è il Rinascimento del mondo arabo, e che tutti riconoscono come tale. E tutti sanno che il contributo maggiore è venuto dai cristiani di Siria e Libano. Contributo che continua tuttora. E per questo il Patriarca dice che attaccare i cristiani è un suicidio degli arabi. I cristiani non possono essere considerati solo una minoranza numerica, che corrisponde a meno del 10% dell'insieme della popolazione del Medio Oriente. Ma questa minoranza numerica ha un peso specifico molto alto, perché sono loro i protagonisti della modernità e dei valori umanistici. Hanno contribuito più di chiunque altro al Rinascimento arabo.

Mons. Rai aggiunge: «Se veramente si vogliono veicolare pace, democrazia e diritti dell’uomo, che sono ciò che cerca l’Onu e ciò che desiderano i giovani della primavera araba, allora l’Onu troverà nei cristiani i suoi migliori collaboratori».
Non è una teoria, ma è un giudizio basato sui fatti degli ultimi due secoli. E il Libano è l'esempio più lampante di questo fatto. In Libano i cristiani prima erano il 50%, ora sono un 35/38% ed è per questo che è una democrazia, per questa presenza decisiva. Il discorso di Mons. Rai a Ban Ki-moon è fondamentale.

Che impressione ha avuto del risultato delle elezioni in Tunisia?
I gruppi che hanno fatto la rivoluzione in Tunisia non erano riconducibili a un partito, ma si trattava di individui che, a titolo personale, si sono trovati uniti nella protesta. Era prevedibile dunque che non avrebbero vinto un'elezione che si sarebbe svolta solo pochi mesi dopo. Per dar vita a un partito in grado di vincere un'elezione, infatti, occorrono diversi anni. Mentre Ennhadha, il partito islamico era organizzato da sempre. Il loro leader Ghannouchi, tornato dall'esilio londinese dopo la caduta di Ben Ali, è riuscito a riorganizzare il partito in poco tempo. È normale che avesse più chance di vincere. Seconda cosa: la laicità in Tunisia era stata imposta da Bourguiba e poi da Ben Ali. Siccome si protestava contro Ben Ali, che rappresentava lo stato laico, si può capire che ci sia stata una percezione negativa delle formazione laiche a vantaggio di quelle di ispirazione musulmana.

Che idea si è fatto del partito vincitore, Ennhadha, che si dice di ispirazione musulmana?
Dobbiamo distinguere tra musulmani e musulmani: il partito della Ennhadha è musulmano, tradizionale, ma non è fondamentalista e retrogrado. Questo movimento pretende di trovare un equilibrio tra uno Stato moderno e i valori islamici. Tuttavia la parola "laicità" in arabo è molto ambigua perché evoca il concetto francese di laicità, che è ostile alle religioni. E nessuno in Tunisia vuole un'esclusione della religione del dibattito pubblico. La maggioranza degli arabi in Tunisia, in Egitto, in Libia e altrove è per il riconoscimento della religione come fattore di identità di tutti quanti. In un Paese come la Tunisia, dove sono al 99,9% tutti musulmani (almeno ufficialmente), va da sé che di fronte a un partito che si dice musulmano moderato, che applica i principi dell’islam, molti si dicono «almeno sono valori sicuri». Sarà lo stesso in Egitto. L’importante sarà vedere fino a che punto arriverà questa linea islamica.

Ennhadha dice di ispirarsi al modello turco del partito di Erdogan.
Sì, il quale si presenta come esponente dell’islam moderato che tenta di promuovere i valori musulmani, come in Europa alcuni politici cristiani cercano di fare con il cristianesimo senza, per questo, promuovere un despotismo religioso. Sì, tuttavia questa operazione nell’islam è più difficile che nel cristianesimo. Questo perché quando si dice “sharia”, si hanno già definiti degli elementi che per certi aspetti sono più fanatici e discriminatori. Questo è il punto: noi cristiani giustamente temiamo la sharia islamica, perché ha in alcuni punti non rispetta, ad esempio, la libertà di coscienza e perché fa una discriminazione tra uomo e donna, tra credente e ateo, tra eterosessuale e omosessuale. L’ideale sarebbe, da parte di Ennhadha, di esplicitare in modo più preciso in che senso l’islam che professano può influenzare il sistema di leggi che propongono per il Paese.

In Libia invece si è da subito detto che la sharia sarà la fonte principale del diritto.
Sì, hanno detto che sarà alla base della nuova Costituzione. Il che è più impegnativo, anche se si tratterà di una versione della sharia più mite: non si lapidano le donne adultere, non si uccideranno gli omosessuali (come invece chiede la sharia). “Sharia”, infatti, è un termine abbastanza vago ed elastico, non è come il Corano. A seconda delle parole che scelgo, posso avere una o l’altra prescrizione. Rimane un sistema che risale al VII; VIII; IX secolo, mentre noi viviamo nel XXI.

Che tipo di islam è quello libico?
La nuova Libia sarà retta da musulmani che vengono dalle tribù, che sono un contesto sociale cui l’interpretazione della sharia rischia di essere molto tradizionale. Dunque si tratterebbe di un passo indietro. Penso soprattutto alle donne. Nella tradizione beduina o in tutte le tradizioni antiche, la donna viene protetta ma è considerata inferiore e deve obbedire. Questa situazione si può capire se questa concezione è condivisa in un ambiente primitivo, ma diventa difficile da accettare se uomo e donna vivono alla pari svolgendo, ad esempio, entrambi un lavoro. In questo caso, perché l’uomo deve decidere e la donna obbedire? Questo tipo di evoluzione della società anche islamica non è presa in considerazione dalla sharia.

Sul fronte siriano, invece, la situazione appare bloccata.
La situazione della Siria è la peggiore. Perché abbiamo un regime che, come in Libia, è arrivato al punto che non può più rinunciare al potere perché ha troppo ucciso, lottato per rimanere. O crolla, con tutte le conseguenze, o vince. Ormai è chiaro che Assad ha scelto l’opzione di andare fino in fondo. Ma di fronte alla forza del regime, la rivolta non può riuscire ad abbatterlo. Il governo spera che uccidendo, torturando la gente, mettendola in prigione, finirà per farli cedere. Ma loro non lo faranno. Loro continuano a scendere in piazza. È una situazione tragica, perché se il governo cede, rischia la pelle e rischiano la pelle tutta il clan Assad. Diventa la lotta per la vita o la morte, da ambedue le parti.

Davvero non ci sono vie d’uscita?
Facevo il paragone con la Libia, perché se in Libia non fosse intervenuta la Nato, saremmo ancora in guerra. E forse alla fine i ribelli avrebbero perso. In questi giorni in Siria la Lega Araba sta tentando una mediazione, ma probabilmente sarà un fiasco. Io spero che riusciranno a salvare qualcosa, a ottenere qualche addolcimento della situazione. L’unica possibilità sarebbe trovare un mediatore gradito sia al regime che al popolo. Ma è difficile trovare qualcuno di aperto, di franco, disposto a farlo.
(Dal Giornale del Popolo, 28 ottobre 2011)