Habukawa col ritratto di don Giussani (© Salvatori).

«Un legame che cresce e che sia per sempre»

Il secondo giorno del Meeting giapponese. Da Shodo Habukawa che racconta il suo incontro con don Giussani agli interventi di Esposito e Camisasca: «La storia di un seme che cresce e diventa albero»
Davide Perillo

Per la seconda giornata, cambia lo scenario. Dall'Ambasciata alla sede dell'Istituto italiano di cultura: dodici piani a facciata rossa, firmati da Gae Aulenti, a tre minuti dal santuario shintoista di Yusukune. È qui che il dialogo farà un altro passo. Che inizia con i saluti dell'Ambasciatore Petrone, tutt'altro che formali: «Vorremmo portare un granello in più a quel rapporto di amicizia tra cristianesimo e buddismo avviato da don Giussani. Legame di cui siamo fieri. Se riusciamo a dare un contributo per strutturarlo, abbiamo fatto bene al nostro Paese e al rapporto tra due mondi».
Subito dopo, Roberto Fontolan, responsabile del Centro Internazionale di Cl, legge il saluto di Julián Carrón, che in queste stesse ore è ad Assisi, invitato dal Papa.
C'è tutto l'affetto e lo stupore per un'amicizia in corso, c'è la densità della "sfida antropologica" a cui siamo davanti. E l'esigenza rilanciata da Benedetto XVI è decisiva anche qui: «Tornare a spalancare le finestre», riaprire la ragione. Emilia Guarnieri, nel suo saluto, parla proprio di «continuità con quello che sta accadendo lì, ad Assisi», e dell'eccezionalità «di un'amicizia che accade ora, sta accadendo ora».
Un filmato veloce (e ben fatto) dà un'idea di cosa sia il Meeting. Poi tocca a Shodo Habukawa raccontare cosa ha voluto dire per lui il rapporto con gli amici di Rimini e con don Ambrogio Pisoni, che va a trovarlo regolarmente in Giappone: «Ormai siamo fratelli. È un legame che sta crescendo anche adesso. E io desidero fortemente che continui per sempre».
Daijo Ota, abate del Tempio Zen Eiheiji, altra scuola buddista che si sta coinvolgendo in questo dialogo, parla della «necessità di scambi del genere, reali, cuore a cuore. È così che si possono creare cambiamenti importanti». Umberto Donati, direttore dell'Istituto, si chiede «cosa voglia dire convivere con l'Assoluto» e sottolinea due parole, «relazione» e «umiltà» citando san Francesco.
Poi tocca a don Massimo Camisasca. Avvia un percorso fitto, da rileggere e approfondire (leggi l'intervento), che parte dalle esigenze ed evidenze degli uomini, uguali ovunque. Dal cuore. E arriva alla «consapevolezza a cui ci invitava a partecipare don Giussani: che la realtà rimanda ad altro. È un invito. È segno». Anche Habukawa cita don Giussani: «Ventiquattro anni fa mi colpì il suo interesse per una statua che vide al monte Koya: una divinità con tante braccia, perché ogni mano serviva a salvare un uomo. Era rimasto impressionato da quel richiamo all'ideale del sacrificio di sé per la salvezza umana. Don Giussani ci ha sempre ricordato che gli uomini anelano all'infinito. Kobo Daishi, il capostipite della nostra scuola, diceva che osservando i fenomeni dell'universo si può afferrare il mistero. Bisogna aprire il cuore alle cose, osservare».
È anche per questo che Camisasca parla di «un aspetto profetico in quell'incontro di anni fa. Siamo di fronte a un seme che cresce e diventa albero. L'incontro tra oriente e occidente è essenziale per la salvezza dell'umanità». E indica due punti aperti dagli interventi, «due strade per approfondire il lavoro comune. La natura, che ci insegna l'infinito e a custodirne il rapporto. E la pietà. Che nasce dalla percezione di non essere soli. Non siamo polvere dell'universo».
Pranzo veloce, caffè in cima al palazzo, con vista su un pezzo dei Giardini imperiali, poi si torna giù. Musica e danze Gagaku, come ieri. Poi, seconda tavola rotonda. Ed è una scoperta continua. Giorgio Amitrano, dell'Università L'Orientale di Napoli, racconta di Miyazawa Kenji, letterato poliglotta e curiosissimo (buddista) che nelle sue opere fa trasparire di continuo riferimenti al cristianesimo: figure ricalcate su missionari, il tema del viaggio, accenni al Paradiso. «Aveva capito bene il potenziale drammatico della tradizione cristiana, e sapeva sfruttarlo. Ma vi ricorreva anche per introdurre una consolazione che nel buddismo, a cui pure è così devoto, non esiste».
Poi tocca a Costantino Esposito (leggi l'intervento). Si parla di realtà come presenza e di apertura della ragione. Si parte da Agostino e il cuore che può riposare solo in te. Del desiderio ridotto a illusione, ad «attesa senza compimento». Si fanno i conti con il nichilismo corrente. E si entra in una strada che, passando per la crisi della certezza, l'allargamento della ragione e il recupero dell'esperienza di una realtà «data», arriva a concludere che «nel tentativo comune ai cristiani e ai buddhisti di esprimere l’infinito, vi è forse una strada più ragionevole e più affascinante rispetto alla semplice negazione. Più che nell’assenza e nella ritrazione, forse possiamo trovarci insieme proprio di fronte alla presenza misteriosa delle cose».
Eisho Yagi, abate del tempio Myojoin, di scuola Shingon, racconta della dignità della vita partendo dalla sua visita in Africa, Kenya e Uganda, dopo gli incontri fatti al Meeting. Parla della povertà, dell'Aids, della guerriglia. Di bambini soldato. Di una durata media della vita «che lì è meno della metà che da noi». E si commuove accennando a Rose e al Meeting Point (leggi da Tracce 7/2011): «Mi sono reso conto che per delle persone che stanno per morire, avere qualcuno accanto che le accarezza, che trasmette il suo amore, è la cosa più importante. La cosa che restituisce dignità all'uomo».
Franco Marcoaldi, invece, racconta di Fosco Maraini, «uno che per me incarnava la vita», e non solo perché l'ha vissuta in tante dimensioni: letterato, studioso, viaggiatore, archeologo... Riprende la sua lettera a Dio («Illustre Signore, non stai giocando con l'uomo? Qual è la tua vera rivelazione?») e la sua idea di «rivelazione perenne, non in un punto della storia, ma attraverso la vita e il mondo stesso». Facile capire perché «sulla sua tomba ci sono sia Cristo che Buddha»...
Domande del pubblico. Affondi sulla «rivelazione puntuale con cui dobbiamo fare i conti, perché il problema oggi è proprio capire se certi valori nati nel mondo con l'avvenimento storico del cristianesimo, possano reggere e crescere anche staccati dalla loro origine» (Esposito). E conclusioni (provvisorie) affidate a don Ambrogio Pisoni: «Siamo in viaggio, e questa è solo la prima tappa. Ma se ci chiediamo cosa abbiamo visto oggi, possiamo già dire qualcosa. Abbiamo due amici che non tradiscono, come ci ricordava don Giussani: il cuore e la realtà. Il cuore è stato fatto per incontrare la realtà ed affidarsi ad essa. Perché la realtà è un segno, un invito. È affascinante». E conviene seguirlo.