Raffaello Vignali.

Se va bene ai piccoli, va bene all'Italia

Ha ricevuto l'unanimità sia da Camera che da Senato. Così diventa legge lo Statuto delle Imprese, 21 articoli per facilitare la vita alle Pmi. L'onorevole Raffaello Vignali ci spiega perché oggi è fondamentale smettere di «trattare il gommista come l'Eni»
Paola Ronconi

Quello che va bene alla Fiat, va bene all’Italia, diceva l’avvocato Agnelli.
«No! Bisogna invertire la logica: è ciò che va bene ai “piccoli” che va bene all’Italia. Se faccio una norma, devo farla su misura per le piccole e medie imprese. È una questione di realismo, non di ideologia. L’Italia per il 99% è fatta di Pmi». A parlare così è l’onorevole Raffaello Vignali, estensore del neonato Statuto delle Imprese, che ha ricevuto il via libera definitivo del Parlamento per divenire legge. «Si tratta di diritti delle imprese verso l’Amministrazione. L’obiettivo di fondo è creare un contesto favorevole alle Pmi, ed è quello che l’Europa ci chiede come prima condizione per la crescita».
Semplificazione burocratica, facilitazione all’accesso agli appalti, creazione di un garante per le imprese e previsione di una legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, «che vuol dire che ogni anno il Parlamento dovrà dedicare una sessione anche alle Pmi». E ancora: una norma sui ritardi nei pagamenti: chi non rispetta i tempi, paga una penale dell’8%. Uno dei provvedimenti più importanti: qualunque ente dello Stato faccia una nuova norma, deve misurare gli oneri che questo comporta sulle imprese ed eliminarne altrettanti. «I problemi che ha un gommista, li ha l’Eni. Però l’Eni avrà più personale e ne risentirà di meno. Se un imprenditore deve assumere gente che fa burocrazia invece del lavoro per cui è nata l’azienda, ne va della produttività e della competitività». Ventuno articoli in tutto.
La novità è anche dal punto di vista culturale: «Se parto dal sospetto che gli imprenditori sono potenziali ladri, evasori, sfruttatori, inquinatori, carico le norme di obblighi che servono solo a imbrigliare quelli che vogliono far le cose come vanno fatte. Se uno vuol aprire un laboratorio per raffinare cocaina, di certo non chiede il permesso all’Asl. E il povero barbiere, paradossalmente, viene trattato come un ospedale perché le lamette sono un rifiuto sanitario». Inoltre, le norme diventano costi anche per lo Stato, perché ogni norma deve essere controllata. «Uno che fa impresa è uno che, per il fatto stesso che rischia in proprio, afferma che nella realtà c’è un significato positivo. Se c’è una categoria immune dal nichilismo sono gli imprenditori, non se lo possono permettere. Ma chi si impegna con la realtà per costruire, costruisce sì il bene suo e della sua famiglia, ma inevitabilmente lo fa per tutti».
Lo Statuto è stato approvato al Parlamento, senza nessun voto contrario o astenuto. Da Confindustria a Rete Imprese Italia lo hanno accolto entusiasticamente. Anche in una situazione politica come la nostra allora si può costruire. «Enrico Letta ha detto che a ben pensarci è stato un miracolo. Però è possibile se prima di guardare da che parte viene la proposta si pone l’attenzione a cosa si propone. Ed è possibile se c’è la disponibilità a confrontarsi, a spiegare, a cercare un punto che serva al bene di tutti».
Il prossimo passo? «Farlo applicare. Poi sostenere chi investe, soprattutto sul capitale umano, che è la vera sfida della crescita. La vecchia politica industriale che diceva quali sono i settori innovativi e che dava incentivi, è finita. Questo è il momento in cui sostenere chi innova, perché la competitività e la crescita si fa con l’innovazione, ma l’innovazione si fa col capitale umano. Questa è la strada».