Una Scuola di comunità in Brasile.

A scuola di fede

Sessant'anni fa, l'intuizione di don Giussani al liceo Berchet di Milano. Oggi la Scuola di comunità è diventata una proposta accolta dal Brasile a Taiwan. Per educare cuore e ragione (da "Avvenire")
Giorgio Paolucci

«Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato». Così Benedetto XVI fotografa l’epoca che viviamo nel Motu proprio con cui pochi giorni fa ha indetto l’Anno della fede che comincerà l’11 ottobre 2012.
Don Luigi Giussani nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso si era imbattuto in una situazione analoga, che aveva già in sé gli elementi evocati dal Papa: il liceo classico Berchet in cui, giovanissimo, insegnava religione, era lo specchio di un’Italia formalmente cristiana ma nella quale si assisteva a una sostanziale separazione tra una fede sempre più formale e ritualista e una vita quotidiana sempre più determinata dalla secolarizzazione. Era necessario tornare all’abc del cristianesimo, riproporlo come avvenimento incontrabile nella contemporaneità, qualcosa di cui poter fare esperienza quotidiana. Non solo nel mondo giovanile, dove le domande sul senso della vita sono più brucianti e dirette, ma in tutta la società, sempre più dimentica di Cristo.
Le lezioni di religione del sacerdote lombardo non sono la mera riproposizione di formule religiose, ma vibrano di una proposta che mette in gioco il dinamismo della ragione, investe l’esistenza intera e rende viva e affascinante le nozioni un po’ polverose che molti avevano conosciuto «andando a dottrina», e che altri non avevano neppure mai incontrato. Vengono raccolte in alcuni libretti che negli anni diventano la bussola educativa per i primi gruppi di Gioventù Studentesca e poi di Comunione e Liberazione, fonte di un paragone continuo tra quelle parole e la vita nei suoi aspetti più elementari: il lavoro, l’amicizia, l’amore, la malattia, l’impegno pubblico. Un paragone che implica anzitutto un lavoro personale e che si sviluppa in momenti comunitari. Sono i primordi di quella che oggi si chiama «Scuola di comunità»: un lavoro di catechesi che si dipana in incontri periodici e in centinaia di gruppi guidati da un sacerdote - don Carrón, presidente della Fraternità di Cl, e molti altri preti - o (più spesso) da un laico. Non servono tessere, gli incontri sono aperti a tutti, in quello che oggi è probabilmente il fenomeno di educazione popolare alla fede più diffuso in Italia, a cui ogni settimana partecipano più di 50mila persone e che si svolge in università, scuole, luoghi di lavoro, quartieri, parrocchie, ospedali, carceri. «Scuola» perché è necessario rieducarsi continuamente a ciò che fonda l’esperienza cristiana, «di comunità» perché si svolge dentro un’amicizia che accompagna ed aiuta questo lavoro, fino alla condivisione delle necessità quotidiane.
I testi di riferimento sono testi del Magistero della Chiesa e di don Giussani. Quest’anno il lavoro ha come libro di riferimento Il senso religioso, opera fondamentale del padre di Cl, tradotta in diciotto lingue tra cui arabo, russo, giapponese e cinese, e divenuta anche uno strumento di ecumenismo e di evangelizzazione a diverse latitudini: nelle metropoli e nelle cittadine più sperdute degli Stati Uniti, nell’università e nelle favelas di San Paolo del Brasile, nei villaggi dell’Uganda, del Kenya e della Nigeria, in Grecia e in Albania, in Russia e Kazakhstan, al Cairo e a Gerusalemme, a Cambridge e Taiwan.
Oggi l’intuizione di quel giovane insegnante di religione maturata sessant’anni fa nell’incontro con gli studenti del liceo Berchet è diventata una scuola di educazione permanente alla fede che coinvolge uomini di ogni età e condizione sociale: il cristianesimo non è una grande idea o una decisione etica ma anzitutto - come scrive Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est - «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».


IN BRASILE
Duemila a lezione

Il colpo d’occhio è impressionante: duemila giovani radunati in un magazzino di un quartiere periferico di San Paolo, a discutere e confrontarsi su ciò che anima la loro vita, a partire dalle pagine del Senso religioso di Giussani. È così ogni sabato e domenica, moltiplicato per cinque incontri fanno diecimila persone. Sono gli studenti universitari che animano la Scuola di comunità più numerosa tra quelle che si tengono nel mondo su iniziativa di Comunione e Liberazione. Molti di loro provengono dagli strati più bassi della società brasiliana, hanno conosciuto il carisma di Giussani incontrando il movimento dei Lavoratori senza terra guidato da Cleuza e Marcos Zerbini, che tra le sue attività annovera l’aiuto per rendere accessibili gli studi universitari - attraverso la concessione di borse di studio - a chi è penalizzato dalla sua appartenenza sociale. Alexandre Ferraro, un medico che insieme ai coniugi Zerbini guida queste oceaniche scuole di comunità a cui dal 2005 hanno partecipato oltre 50mila persone, racconta di «un fenomeno popolare che stupisce e commuove noi stessi, e che si spiega col fatto che questi giovani trovano qui una strada convincente per rispondere agli interrogativi sulla vita, e le trovano dentro un’amicizia che li fa sentire parte di una storia più grande».

IN KAZAKHSTAN
Anche nel lager

In un Paese come il Kazakhstan grande quanto l’Europa occidentale dove, anche per effetto delle deportazioni di staliniana memoria, convivono 120 etnie e dove il cristianesimo è assolutamente minoritario (25% della popolazione), la Scuola di comunità è una proposta che non può dare nulla per scontato, e che si fonda anzitutto su un rapporto personale. Racconta don Edo Canetta, uno dei pionieri dell’avventura in terra kazaka: «Abbiamo cominciato nel 1995, eravamo tre sacerdoti fidei donum provenienti dalle diocesi di Milano, Bergamo e Cremona, i giovani che incontravamo erano quasi tutti studenti dell’Università di Karaganda dove insegnavo italiano e che frequentavano la nostra casa incuriositi dall’amicizia che c’era tra noi. Leggendo insieme i testi di Giussani hanno scoperto una corrispondenza sorprendente con le loro attese umane e a loro volta l’hanno proposto ad altri giovani. L’esperienza si è diffusa in altre città dove noi o i giovani ci siamo trasferiti per motivi di lavoro, come la capitale Astana o Almaty, ha coinvolto persone non credenti o di tradizione musulmana (l’islam è la religione seguita dal 70% dei kazaki) ed è entrata perfino nel lager femminile di Kocondieresdiksu, dove entravo periodicamente per visitare le detenute. Per alcune la lettura del Senso religioso è stata l’occasione di riscoprire la loro dignità di persone, più grande delle colpe che avevano commesso e che stavano scontando, ed è la strada che le ha condotte fino al battesimo».

A TAIWAN
Dal buddismo a Gesù

I cattolici sono una minoranza nelle quattro scuole di comunità nate in questi anni a Taiwan, dove il movimento di Cl è presente dal 1993 e dove attualmente vivono tre sacerdoti della Fraternità dei missionari di San Carlo, che insegnano al dipartimento di italiano della Fu Jen Catholic University e reggono due parrocchie nella capitale Taipei. Nel 2010 è stata pubblicata l’edizione del Senso religioso in cinese mandarino, presentata al Meeting di Rimini di quest’anno e che viene usata come testo di riferimento. La professoressa Wang Chen-Shin, convertita al cristianesimo a 40 anni dopo una sofferta esperienza nel buddismo, è stata colpita da alcune parole-chiave del pensiero di Giussani: «Quando ho cominciato a frequentarli, ascoltandoli parlare ho colto per la prima volta l’importanza di termini come libertà e segno. È rischioso puntare sulla libertà dell’altro e anche per chi come noi non è abituato, è difficile capire il rapporto che c’è tra libertà e fede. Lo stesso vale per la parola “segno”: ho imparato l’importanza dell’altro per arrivare a conoscere Dio. Per noi orientali il rapporto col divino è assolutamente personale e spirituale, invece per voi passa attraverso l’altro, attraverso la sua carne».

IN INGHILTERRA
Assieme agli anglicani

«Interessante questo testo, sarebbe bello trovarci a leggerlo e discuterne insieme». L’invito è arrivato da Andrew Davison, teologo anglicano, membro del movimento Radical Orthodoxy fondato da John Milbank e docente a Cambridge, dove l’italiana Alessandra Gerolin si era trasferita per un dottorato di ricerca e l’aveva incontrato a lezione. Il libro in questione è Il rischio educativo di Giussani, che il professor Davison aveva adottato come testo di riferimento per il suo corso di teologia. Ma quella che poteva rimanere una riflessione intellettuale è diventata un’avventura umana travolgente, che ha generato una Scuola di comunità alla quale partecipano cattolici e anglicani, e in cui i testi di Giussani e quelli di Eliot sono la provocazione da cui si parte per mettere a tema l’intera esistenza. «È impressionante il coinvolgimento personale che questa esperienza ha prodotto - racconta Alessandra Gerolin -. Davison e gli altri docenti che lui ha invitato fanno mille domande, si mettono in gioco, sono pronti a mettere in discussione le loro certezze in virtù di un’affezione nei nostri confronti. Non perché sappiamo qualcosa in più rispetto a loro (è piuttosto vero il contrario, lui conosce a memoria Agostino e Tommaso) ma perché riconoscono che nel rapporto con noi emerge qualcosa di infinitamente superiore a noi stessi. E anche la tradizionale riservatezza britannica viene contagiata: l’ultima volta Davison ci ha invitati a cena a casa sua, eravamo in venti».
(da Avvenire, 16 novembre 2011)