V. Van Gogh, Il seminatore. L'immagine <br>dell'invito all'assemblea CdO.

«Amicizia operativa, radice dell'agire»

Milano, domenica 20 novembre, l'assemblea generale della Compagnia delle Opere. Ecco l'intervento del presidente, Bernhard Scholz, e il video dell'evento con testimonianze di imprese e opere (da "ilsussidiario.net")

Il momento storico che siamo chiamati a vivere ci pone importanti interrogativi che riguardano, non solo la politica e l’economia dei nostri Paesi, ma sono, primariamente, interrogativi di natura culturale. La CdO fin dall’inizio della crisi economica ha sempre espresso un giudizio chiaro e deciso sulle cause culturali e sulle conseguenze politico-economiche delle difficoltà che stiamo attraversando. Cerco di riassumere dal punto di vista economico sinteticamente in 4 punti:
1. Le nuove economie:
All’inizio del nuovo millennio si pensava che la crescita economica dei Paesi emergenti che entravano nei mercati internazionali e si ponevano come nuovi concorrenti fosse la causa dei tanti problemi racchiusi sotto il concetto di globalizzazione. Oscillando fra linee più difensive e linee più aperte, i vecchi Paesi industrializzati hanno cominciato lentamente a fare i conti con i nuovi competitor o partner a secondo delle valutazioni. Oggi sappiamo che solo una collaborazione, con regole certe, può essere il modo giusto per coinvolgere questi Paesi in un mercato internazionale che sia opportunità di sviluppo per tutti.
2. L’impostazione liberista:
Al problema della globalizzazione si aggiunse poi dal 2007 l’esplodere delle contraddizioni del mercato finanziario . Questa crisi non è congiunturale o ciclica, ma conseguenza di una impostazione liberista che ha costruito una serie di strumenti finanziari per ottenere il massimo del profitto nel minor tempo, utilizzando e spesso strumentalizzando l’economia reale. In questo modo l’economia non è più stata concepita come uno scambio di beni e di servizi che utilizza il denaro e il profitto come strumento, ma il profitto diventa lo scopo esclusivo. Il valore per l’azionista come unico criterio ha ridotto e spesso sostituito il valore sociale delle imprese.
3. Il debito pubblico
Negli ultimi decenni del secolo scorso il debito pubblico di tanti Stati – e in parte anche il debito privato – è cresciuto a livelli insopportabili. Questo indebitamento si è generato per ottenere facili consensi nel breve periodo. L’interlocutore della politica non era più un popolo in grado di affrontare sacrifici, anche grandi, ma una massa di individui, spesso raggruppati in corporazioni lobbistiche, che dovevano essere accontentati per ottenere voti; così non si sono e affrontati i cambiamenti necessari. Interi Stati hanno buttato sulle spalle delle future generazioni un peso abnorme, senza curarsi delle conseguenze. Ma di fatto si sono esposti al di là di ogni ragionevolezza all’andamento dei mercati finanziari.
4. Una questione antropologica
Alla base sta quindi un problema antropologico: volere tutto subito, senza nessuna relazione con il bene degli altri, promovendo un individualismo istituzionalizzato, sempre più sfrenato, che nega contro ogni ragione qualsiasi interdipendenza fra gli uomini, ed è irresponsabile verso le future generazioni. E questo non è in prima istanza un problema morale, ma un problema della ragione: è contro l’evidenza negare la relazionalità come elemento essenziale per la vita umana ed è contro la ragione non ammettere che la ricerca del profitto e del potere a tutti i costi affligge il desidero di verità e di giustizia che ognuno porta dentro di sé.

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