Alcuni dei volontari alla Colletta Alimentare.

«Tutto programmato perché accada l'imprevisto»

Il 26 novembre la Colletta Alimentare ripropone un gesto di carità che aiuta quasi un milione e mezzo di persone. «I poveri aumentano, non manca più solo il cibo...». Il direttore Marco Lucchini racconta quindici anni di cammino. E di vite cambiate
Paolo Perego

La quindicesima edizione. La prima fu nel 1997. Cinque milioni di persone coinvolte l’anno scorso, con 120mila volontari che hanno raccolto, inscatolato e immagazzinato 9.400 tonnellate di cibo. La Colletta Alimentare ripropone anche quest’anno l’occasione per un gesto di carità che solo durante il 2011 è riuscito ad aiutare oltre 1.400.000 poveri in Italia. Così sabato 26 novembre, in migliaia di supermercati italiani si potranno trovare ancora i volontari con le pettorine gialle cui consegnare parte della propria spesa. Nessuna discriminante, un invito aperto a tutti. «Il momento storico che stiamo vivendo è drammatico», dice Marco Lucchini, direttore del Banco Alimentare, la Fondazione non profit promotrice della raccolta, riprendendo le “dieci righe” di invito ad aderire al gesto. «I poveri aumentano e non manca più solo il cibo. Il lavoro, la casa. La speranza. E la gente è sempre più sola».

La Colletta ormai è il più grande gesto di carità del Paese. Anche il Papa l’ha richiamato al termine dell’Angelus, a pochi giorni dal suo incontro con i rappresentanti del volontariato cattolico.
È un segno grandissimo, e arrivato, appunto, dopo il suo discorso ai volontari. Un discorso che mi ha colpito, perché ha riletto l’esperienza di vent’anni di Banco e quindici di Colletta.

In che senso?
Guarda il Banco. Oggi è un punto di riferimento per tanti che operano in questo settore. Solo pochi anni fa non era così. Anzi ci dicevano che gesti così non portavano da nessuna parte. Che ci volevano “progetti”. Invece noi siamo rimasti fedeli all’intuizione dell’inizio: il gesto concreto, il dono. E siamo andati avanti così.

Perché il dono?
Il dono, sempre, evoca in modo misterioso che c’è qualcuno che dona. C’è un rapporto, ci sta dentro qualcosa di più di un aiuto. Siamo rimasti fedeli a questo, ma non come slogan. Ci abbiamo lavorato, abbiamo speso questo giudizio chiedendoci sempre cosa voleva dire, verificandolo sul campo. E questo lavoro emerge chiaro dalle “dieci righe” di quest’anno, divise in tre passaggi. Intanto, un giudizio su questo momento storico. Quindi, l’invito al gesto di carità. E poi l’ultimo punto, che nasce proprio dall’esperienza di anni di Colletta: Cristo è la risposta a tutto: «Cristo, presente ora, colma quella solitudine, risponde a tutte le esigenze del nostro cuore. Per questa esperienza, proponiamo a ognuno la Colletta Alimentare, perché facendo la spesa per chi è nel bisogno, si ridesti tutta la nostra persona, cominciando a vivere all’altezza dei desideri del nostro cuore». È così. Uno deve incominciare a domandarsi facendo la spesa «chi sta donando davvero a chi». Che uno inizi a vederlo davvero, Cristo. Che inizi a non essere più una parola appiccicata e balbettata.

Cosa vuol dire che Cristo non sia una parola balbettata? E che c’entra con chi fa la spesa per la Colletta?
È un'evidenza. Dopo quindici anni lo diciamo con la certezza che deriva da quello che abbiamo visto. È il cammino di cuore e di umanità che abbiamo fatto che ha fatto esplodere questa parola. Oggi chi propone la Colletta, parlo per chi guida per lo meno, ha questa coscienza: di fronte a tutti i nostri tentativi di Banco Alimentare la nostra domanda è aumentata e aumenta sempre di più. E non trova altra soluzione se non questo mistero chiamato Cristo. Perché tutte le altre risposte non tengono: la politica, la finanza, il volontariato. Ci siamo anche passati. Ma quella domanda rimaneva insoluta: chi mi dona questo desiderio di cambiamento, di far volontariato, di voler bene all’altro, di organizzare meglio le cose? Chi?

Cosa cambia nel fare, in fondo, lo stesso gesto degli anni scorsi?
Io quest’anno ho preparato la Colletta pensando a quello che ho visto al Meeting di Rimini. Là è come se tu invitassi la gente a casa tua. Qui andiamo in piazza e portiamo la nostra bancarella con quello che abbiamo di più caro. Una modalità diversa, ma il modo con cui affronti questa giornata e il Meeting è identico: testimoniare Lui, di fronte a una umanità che in questo momento non è quasi più in grado neppure di domandare. È come il povero che arriva a un punto in cui è talmente povero che non ha neanche più la forza di chiedere. E tu non gli risolvi il problema, ma lo abbracci. Ma è un Altro che lo abbraccia. Allora la Colletta è un esempio, è un istante nella vita. Non è una soluzione: è una provocazione, un segno.

Provocazione a cosa?
Al cambiamento. Tutti i fatti che abbiamo visto accadere intorno alla Colletta in questi anni raccontano di gente che ha avuto la vita cambiata. Ci sono degli episodi che lo dicono in maniera evidente. Un esempio che non dimentico è la vecchietta entrata nel supermercato, alla proposta della Colletta dice: «No, io di queste cose non ne voglio sapere». Poi, invece, all’uscita arriva piena di cibo per la raccolta. Allora le chiedono: «Scusi ma prima ci ha mandato a quel paese, ora perché dona del cibo?» E lei: «Una settimana fa qua mi hanno rubato il portafogli e questi giorni non ho quasi mangiato. Quando vi ho visti ho pensato “Sono tutte balle, perché poi la vita ti frega”. Poi sono entrata e ho visto il bambino che riempiva un pacchettino. Poi ne ho visti due, tre, quattro. Mi sono fermata: “Voglio che il mio cuore diventi duro come quello di chi mi ha rubato il portafogli?”». Tutto questo chissà in quanti altri è accaduto, e nessuno di noi l’ha programmato. Il mio lavoro è che tutto sia programmato perché accada l’imprevisto. Altro che progetti.