Intiglietta: «Tradizione e cultura artigiana per superare la crisi»
Sabato 3 dicembre apre i battenti l'Artigiano in Fiera: 2.900 espositori da 110 Paesi del mondo. Il presidente della kermesse al "Corriere della Sera" racconta il fascino del lavoro manuale e afferma: «Serve un cambio di mentalità dei giovani»Fino all'11 dicembre, presso il polo fieristico di Rho (MI), la sedicesima edizione de "L'artigiano in Fiera". Dall'arredamento alla moda, dal design ai cantieri nautici. In 150mila metri quadrati di spazio espositivo.
Per informazioni: www.artigianoinfiera.it
Gli artigiani ci salveranno? «Di certo, possono rappresentare una risposta alla crisi e una prospettiva per i nostri giovani». Antonio Intiglietta, presidente di GeFi, sta per inaugurare la sedicesima edizione di Artigiano in Fiera. Nell'85 arrivarono 700 artigiani e 300 mila visitatori: oggi gli espositori saranno 2.900, provenienti da 110 Paesi del mondo e, sui 150mila metri quadrati degli spazi di Rho-Pero si attendono 3 milioni di visitatori.
Vuol dire che l'artigianato non sente la crisi?
«Vuol dire che la crisi rimette al centro la cultura che sta alla base del lavoro dell'artigiano: la parte della tradizione che valorizza arti e mestieri. Lo dicono molti filosofi e sociologi: la rifondazione dell'economia oggi può partire dalla cultura artigiana che mette al centro l'uomo, la sua manualità, l'idea che non è solo il profitto per il profitto a darti la linea, la capacità di unire esperienza, tradizione e innovazione».
Un'alternativa al mondo governato dalla finanza?
«Oggi la finanza è il pericoloso trionfo del mondo virtuale che ha messo sotto scacco l'economia reale».
La gente come risponde?
«Penso ai dati della nostra Fiera. Il 94 per cento di chi torna, non ha come obiettivo acquistare un prodotto, ma incontrare l'artigiano conosciuto l'anno prima. Si suscita un sentimento di stupore, di fronte alla bellezza del lavoro manuale, di stima e di grande rispetto per queste persone che si sono messe in gioco, che difendono la tradizione».
Intiglietta, ma si può proporre a un giovane di fare l'artigiano?
«Si deve provocare un cambio di mentalità. Si deve spiegare a un giovane che può realizzarsi anche se è laureato tornando alla manualità: anzi, il fatto di avere studiato e avere acquisito abilità consente ai ragazzi di unire tradizione e innovazione e di diventare competitivi. In fiera abbiamo uno spazio dedicato proprio a queste esperienze di giovani che si sono messi in gioco riscoprendo le arti e i mestieri. Come difenderemo il made in Italy se non avremo più sarti o falegnami o tessitori?».
Non è degradante chiedere a un laureato di fare l'artigiano?
«Al contrario. È degradante costringere un laureato ad accettare lavori che sviliscono la sua preparazione e la sua umanità. Noi proponiamo un'altra forma per consentire a chi è giovane di esprimere la propria originalità, il proprio sapere e la propria unicità».
Siete cresciuti nei numeri e nel consenso. Il prossimo obiettivo che vi siete dati?
«Vogliamo realizzare un villaggio globale della tradizione della cultura del mondo e siamo a più della metà dei Paesi. Chiuso qui, noi andiamo in India, in Vietnam, in Cambogia: andiamo a cercare storie ed esperienze che ci possono arricchire. E poi vogliamo valorizzare i comparti dove ci sono grandi maestri».
(Corriere della Sera, 1 dicembre 2011)