Un momento nel laboratorio del carcere.

Il gusto del made in Italy dietro le sbarre

Si è tenuta nel carcere Due Palazzi la conferenza stampa di presentazione di "Taste", rinomata rassegna enogastronomica. Scelta voluta da Pitti immagine, ispirandosi alla qualità dei prodotti artigianali dei 120 detenuti lavoratori del Consorzio Rebus
Eugenio Andreatta

Da una parte del tavolo, l’ambasciatore della moda e dello stile italiano nel mondo. Dall’altra, al microfono, un detenuto italiano, arrestato a 17 anni e ora trentaduenne, senza famiglia e senza casa. Difficile immaginare due storie personali, due curricula, due profili più diversi. Eppure Gaetano Marzotto, presidente di Pitti immagine è colpito dalla vicenda di Francesco, così come dei suoi due colleghi di detenzione Davor e Thomas.
Siamo nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova, in apertura della conferenza stampa di presentazione di Taste, la rassegna enogastronomica coordinata da Davide Paolini, nume tutelare del gusto e della cucina italiana. Da anni Paolini collabora con il Consorzio Rebus, che in carcere gestisce varie attività lavorative coinvolgendo 120 detenuti. Al Meeting 2008 proposero insieme la campagna per il panettone a Ferragosto, regalando testimonianze di umanità dalle carceri di tutto il mondo e un infinito numero di fette di panettone. L’anno scorso il consorzio fu presente a Taste, nella Stazione Leopolda di Firenze. E anche quest’anno sarà presente (su invito, naturalmente, a Taste non si partecipa per autocandidatura) alla settima edizione programmata dal 10 al 12 marzo. Ma la collaborazione è proseguita a tal punto che Pitti Immagine ha voluto proporre la conferenza stampa inaugurale dentro il carcere, proprio prendendo spunto da quelle lavorazioni artigianali, panettoni in prima fila, che lo colpirono anni fa per la loro qualità, prima ancora di sapere che si trattava di prodotti realizzati in una casa di reclusione.
Un lungo filo che da Firenze porta a Padova, che dal tempio della moda e del gusto porta nella pancia del carcere. Ma oggi è come se la bellezza e il gusto di Pitti Immagine acquisissero una dimensione in più, perché la bellezza a volte serve anche per rinascere. «Sono molto colpito dalle vostre testimonianze e dal vostro lavoro, voglio ringraziare tutti: il direttore del carcere Salvatore Pirruccio, i suoi collaboratori, Nicola Boscoletto e il team del Consorzio Rebus», esordisce Marzotto. Non è il discorso promozionale di una manifestazione, ma la reazione di fronte a un’umanità in gioco. «Vogliamo partecipare anche noi alla possibilità di dare speranza a questi ragazzi. Vogliamo ascoltare la loro voglia di riscatto. Noi ci occupiamo di bellezza e moda. Sono centinaia di migliaia le persone che ogni anno visitano le nostre fiere. E dopo aver visto come lavorate, sono ancora più determinato a promuovere la vostra presenza a Taste, all’interno delle eccellenze del gusto del nostro paese. Trovo emozionante sapere che tra i 250 migliori produttori d’Italia ci siete anche voi. È un esempio da esportare in tutto il Paese».

Ne aveva già sentito parlare Marzotto di questo strano carcere in cui si assemblano biciclette, valigie, confezioni in cartone, penne usb, in cui i detenuti fanno funzionare call center, ma soprattutto cucina e pasticceria. Ma vedere le cose dal vivo è un’altra cosa. Capisci perché i detenuti, che alla collettività costano 250 euro al giorno, se coinvolti in attività lavorative non tornano più a delinquere. Sono loro a dirtelo. «Io non ho nessuno al mondo», apre il suo breve intervento Francesco. «Se fossi uscito dal carcere, non avrei saputo dove andare. Per me il lavoro con il Consorzio Rebus è stato la svolta. Il lavoro è l’unica fonte di sostentamento, e quello che mi permette di sostenere le spese di giustizia, di pagare le tasse. Quando esco in permesso e trovo con qualcuno che mi critica gli sventolo la mia busta paga in faccia. Sono un italiano, lavoro, pago le tasse. Questo mi fa sentire più degno di rispetto». Francesco racconta che fra qualche tempo sarà padrino di battesimo del figlio di una coppia di amici. È un legame ulteriore che si apre con il mondo esterno. «Non sono un parassita della società. Quando vedo i filmati del Consorzio Rebus dove si descrivono i riconoscimenti e i progressi della nostra azienda mi commuovo. È proprio importante che le aziende investono su realtà come la nostra».
Anche per Davor, croato, il lavoro è fondamentale: «Prima per me stare qui significava passare le giornate nell’ozio: non c’è niente di più distruttivo. Dovevo ricorrere alla mia famiglia anche per le necessità economiche fondamentali, e badate bene che qui la situazione è gravissima: manca tutto, bisogna acquistare anche la carta igienica e i sacchetti dell’immondizia. Oggi ho il mio stipendio, posso contribuire al mantenimento dei miei cari. Un lavoro vero significa dignità. Quando te le sudi con la tua fronte capisci il valore che hanno le cose».

«Quando entri in carcere è come se la tua vita si azzerasse, devi ripartire in tutto e per tutto». Thomas, 32enne, è in carcere dal 2004 e deve scontare ancora sei anni. «Anzitutto devi imparare a convivere con il dolore che hai causato ad altre persone e indirettamente anche ai tuoi. Devi riprendere fiducia in te stesso e negli altri, a partire dalla tua famiglia. E devi sperare che qualcuno investa su di te. Per questo vi dico: dateci fiducia. Dateci la possibilità di far entrare il lavoro in carcere, attraverso cooperative o aziende come il Consorzio Rebus. Questo darà un senso al sogno di noi detenuti». Appello rivolto ai presenti, ma pensato anzitutto per i parlamentari. Il 27 febbraio infatti va in discussione alla Camera il disegno di legge bipartisan sul lavoro in carcere. E’ un disegno che contiene delle concrete misure per favorire le imprese profit e non profit a portare opportunità lavorative in carcere. Se approvata, sarebbe il contributo più rilevante che il nostro Paese potrebbe dare alla dignità di tante persone, oltre che alla propria sicurezza.
Questo, suggerisce Nicola Boscoletto, forse potrà dare una speranza anche ai genitori e ai fratelli di Alessandro, il ventiduenne che qualche giorno prima si è tolto la vita a San Vittore, prima ancora di subire il processo. «Non dobbiamo dimenticarci di lui, anche in una giornata di festa come questa. Oggi vediamo che proprio dentro un carcere può nascere anche il bene, il buono, il gusto, la passione di fare bene il proprio lavoro, la voglia di ricominciare e di recuperare una dignità. E se questo è possibile, allora il problema non è innanzitutto il carcere, non sono i 67.634 detenuti, ma i 60 milioni di cittadini italiani, ovvero la questione riguarda quale dignità, quale idea di uomo e di società essi esprimono, perché il carcere è lo specchio della società dal punto di vista della povertà umana: non si elimina dalla propria vita relegandola in un angolo, in un contenitore. La qualità di un Paese si misura dallo stato delle carceri e da come funzionano si capisce il livello culturale e di educazione presenti nella nostra società intera».

La giornata termina con una gustosa anticipazione di Taste, con gli assi dell’enogastronomia italiana che si mescolano agli operatori e detenuti del consorzio. Si parte così con Giancarlo Perbellini, titolare dell’omonimo ristorante veronese con due stelle Michelin, che propone una vellutata di fagioli delicatissima e Lorenzo Chillon, chef del carcere (già al Pedrocchi di Padova) con finger food base di pesce abbinato provocatoriamente con il panettone. Piergiorgio Siviero, emergente di grande classe, reinterpreta la mozzarella in carrozza e le alici in beccafico facendo intuire nuove potenzialità della cucina tradizionale. Conclusione in gloria con i macarons di Biasetto, pasticciere campione del mondo e - anticipazione assoluta - il nuovissimo panettone de I Dolci di Giotto abbinato al moscato di Pantelleria Kabir di un produttore d’eccellenza siciliano come Donnafugata e con lo champagne italiano di Bisol.