Imu o pubblica utilità?

L'imposta municipale unica, che ha sostituito la vecchia Ici, reintrodotta dal governo Monti, ha scatenato dissensi e consensi. Ma c'è ancora tanta confusione tra giornali e politici. Parla Monica Poletto, Presidente Cdo - Opere Sociali
Monica Poletto

Pare che l’Imu preveda quale presupposto per l’esenzione la totale assenza di attività commerciali.

Però gli enti senza scopo di lucro in molti casi svolgono attività commerciali. La nostra disciplina tributaria considera “attività commerciali” quelle attività che – seppur svolte in assenza di fini di lucro – si concretizzano in prestazioni di servizi “organizzati in forma di impresa” (cioè con persone e beni dedicati in via non occasionale) e sulle quali l’ente non commerciale paga le imposte.

È importante, però, che il termine “non commerciale” non sia confuso con il termine “non lucrativo”: la non lucratività, infatti, dice della natura dell’ente e della sua proiezione al bene comune.

Un semplice esempio, al solo scopo di rendere evidente quanto affermato: una associazione che svolge una attività di doposcuola, con entrate derivanti da una convenzione con il Comune, svolge – dal punto di vista tributario – attività commerciale. Ma le entrate commerciali servono per dare un servizio di pubblica utilità ai ragazzi che vi partecipano; gli eventuali avanzi di gestione non sono distribuiti tra i soci, ma reinvestiti nell’attività istituzionale. Questa associazione deve scontare l’Imu.

Mi sembra che il dibattito debba esplicitare la ragione dell’eventuale agevolazione. Se, come mi sembra di aver colto dalle dichiarazioni ascoltate in questi giorni, si vuole agevolare il non profit “vero”, cioè quello che non persegue lucro personale ma realizza servizi di pubblica utilità e reinveste gli utili, si tenga in considerazione che esso spesso svolge attività commerciale, e che tale attività – come nell’esempio sopra riportato – non è in contrasto né con la non lucratività, né con il bene comune.

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