Mauro Magatti.

Magatti: «La lettera di Carrón, una speranza concreta»

Il preside di Sociologia della Cattolica di Milano spiega perché le parole della guida di Cl sono «una boccata d'ossigeno in un dibattito svuotato di contenuto e ridotto a tifoseria»
Mauro Magatti

Pienamente immersi nella sfera mediatica, come cittadini delle società avanzate siamo esposti al bombardamento di notizie, dichiarazioni, immagini che ci rappresentano quanto accade attorno a noi. Caparbiamente convinti di essere capaci di pensare “ciascuno con la propria testa”, siamo in realtà balene spiaggiate, smarriti e impauriti. E, non avendo gli strumenti per poter valutare gli accadimenti, finiamo per schierarci “di qua o di là” secondo la logica semplificatrice delle tifoserie.
Il gioco, però, è perverso, perché così si consuma il tessuto morale e istituzionale delle democrazie avanzate, dove le parole sembrano non valere più nulla e dove tutto si brucia nei quotidiani roghi mediatici.

Per ironia della storia, proprio nei decenni in cui Jürgen Habermas spendeva tutta la sua intelligenza a scrivere pagine indimenticabili sull’etica della comunicazione, la parola pubblica rischia di diventare vuota, puro simulacro, mero strumento di una lotta di potere infinita, che alla fine non sa più neppure per che cosa sta lottando. In questo scenario, capita, talvolta, di imbattersi in qualcuno che, nel tono e nel contenuto, riesce a prender parola senza sottostare a questa logica perversa, accettando il rischio di mettere in gioco se stesso e ciò che ama. In nome e per conto di un bene più grande. Quando ciò accade, lo spirito democratico non può non che rimanerne incantato. Quasi riuscisse a vedere uno squarcio di azzurro, a ritrovare un po’ di ossigeno.

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