Il grembo di ogni io

LA FAMIGLIA
Davide Perillo

L’appuntamento è per il 30 maggio, quando a Milano si aprirà il VII Incontro mondiale delle famiglie. Cinque giorni di raduni, catechesi e testimonianze che fanno perno sul tema del «lavoro e la festa», attireranno - secondo le stime - almeno un milione di persone e avranno come culmine la presenza di Benedetto XVI.
Un’occasione unica per «ri-scoprire più profondamente la bellezza, la bontà e la verità della famiglia», come ha scritto il cardinale Angelo Scola, arcivescovo ambrosiano e “padrone di casa”. Ma anche una chance per scandagliare fino in fondo l’origine di questa bellezza, per prendere sul serio la vera sfida lanciata all’uomo e alla donna dentro e oltre i problemi che affiorano nella vita familiare. Non sono soltanto i valori da tutelare, le leggi da fare, le tante - e giuste - battaglie da combattere per difendere l’idea stessa e il valore della famiglia. È qualcosa di più radicale. È l’io.
«Gli sposi sono due soggetti umani, un io e un tu, che decidono di camminare insieme verso il destino: come impostano il loro rapporto, come lo concepiscono, dipende dall’immagine che ciascuno si fa della propria vita, della realizzazione di sé», ricordava in un Incontro analogo, a Valencia nel 2006, don Julián Carrón, presidente della fraternità di Cl. E lo faceva citando uno dei primissimi interventi di Benedetto XVI: «La questione del giusto rapporto tra uomo e donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano, e non può essere separata dalla domanda dell’uomo su se stesso: chi sono io? Che cosa è l’uomo?».
Ecco, in fondo questa è la domanda al cuore di queste pagine. Dall’intervista allo stesso cardinale Scola, che al tema dedica da sempre un’attenzione particolare, alle storie che raccontiamo. Storie di famiglie, e proprio per questo di luoghi in cui uomini e donne vanno al cuore della loro vocazione. E del rapporto con il Destino.


È la prima «scuola di comunione». E un soggetto economico essenziale. Nell’attesa di accogliere il Papa nella “sua” Milano, il cardinale ANGELO SCOLA ci introduce al tema della famiglia. Proponendo il punto sorgivo del vivere insieme: «Un amore effettivo»...

Un «fattore di progresso», indiscutibile. E «qualcosa di solido» di cui «una società che si va facendo liquida ha bisogno». Ma anche una sfida, perché «non c’è amore senza promessa, non c’è promessa senza “per sempre” e non c’è “per sempre” se non fino alla fine, sino e oltre la morte», come risponde ad Aldo Cazzullo che lo intervista ne La vita buona (Mondadori). È questo - e tanto altro - la famiglia per il cardinale Angelo Scola, 70 anni, dal giugno 2011 arcivescovo di Milano dopo nove anni passati da Patriarca di Venezia, pastore di grande esperienza, teologo finissimo e scrittore prolifico (a La vita buona sta già per affiancarsi sugli scaffali Famiglia, risorsa decisiva, edizioni Messaggero). È “a casa sua” che si svolgerà l’Incontro mondiale della famiglie. Sarà lui, l’1 giugno, ad accogliere Benedetto XVI, amico da una vita, la cui visita a Milano è «presenza straordinaria perché espressione privilegiata della sua presenza ordinaria» (la Chiesa locale «non esisterebbe senza riferimento diretto alla figura di Pietro», ha ricordato l’Arcivescovo nella sua Lettera pastorale alla Diocesi). E sarà sempre lui ad aprire già con il Pontificale di Pentecoste, il 27 maggio, un evento che per forza di cose va controcorrente, in un momento storico in cui molti danno la famiglia per “superata”, quasi per morta: storicamente più fragile, aiutata pochissimo nella sua vita ordinaria (almeno da queste parti), addirittura messa in discussione nella sua natura originaria.

Qual è la differenza radicale tra la famiglia e altre forme di rapporti che le si vorrebbero in qualche modo equiparare, ormai quasi con naturalezza?
A comprendere la natura di questa “differenza” ci aiuta un antropologo, Claude Lévy-Strauss, il quale afferma che «un’unione socialmente approvata tra un uomo e una donna e i loro figli è un fenomeno universale presente in ogni e qualunque tipo di società». Questo “universale”, descritto da uno studioso che non si può accusare di partigianeria cattolica, ha un nome ed è appunto quello di famiglia. Oggi esistono altre forme di convivenza, ma a queste si debbono dare altri nomi. Proprio perché siamo attori di società pluralistiche, è ancor più importante ritornare alle “cose come sono”, usare nomi precisi per definirle. Ciò rende più facile l’incontro e il confronto. Come cittadini siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo alla vita buona della società, ad avanzare ciascuno la propria proposta di bene comune sulle questioni fondamentali dell’esistenza, compreso il modo di vivere gli affetti e il bell’amore. Qui si innesta la proposta, sottolineo la parola “proposta”, che i cristiani fanno a tutti: il matrimonio, che permette un salto di qualità all’amore tra l’uomo e la donna e che si differenzia da altre forme di convivenza per alcuni caratteri essenziali: il fatto che è un legame tra un uomo e una donna, pubblico, stabile, fedele, aperto alla vita, custodito dall’indissolubilità.

C’è un fatto dato quasi per scontato, tanto è acquisito: è sulla famiglia che si regge il sistema economico italiano. Il nostro assetto imprenditoriale è fatto in gran parte di aziende familiari; lo stesso welfare, senza il “fattore famiglia”, probabilmente sarebbe stato travolto dalla crisi già da tempo. È una specie di tessuto connettivo che mostra una capacità di tenuta straordinaria. Ma da dove viene questa forza?
La famiglia è realmente un importante soggetto “economico”. Essa non è solo un “insieme di consumatori”, ma è anche il luogo della soddisfazione quotidiana dei bisogni elementari dei suoi membri. Questi possono contare su una ricca serie di beni “auto-prodotti”. Ognuno di noi ha esperienza di quanti servizi e veri e propri beni vengono prodotti dal lavoro dei componenti la famiglia per il ben-essere di tutti. Tali beni non sono setacciati dalle leggi del mercato, né finiscono nei calcoli dei redditi, eppure sono effettivi. Pensiamo, ad esempio, alle forme di assicurazione sociale garantite dalla famiglia. Ne fanno una vera “unità di produzione”: l’assistenza e la cura degli anziani, degli ammalati o dei disabili, il sostegno ai suoi membri disoccupati o in cerca di lavoro... Vorrei anche ricordare il ruolo educativo che essa svolge nei confronti dei figli, che rappresentano il vero patrimonio su cui un Paese può contare per crescere. Più si porta lo sguardo sulla famiglia, più si è costretti a mettere a fuoco quanto essa sia generatrice di “risorse umane”, non tanto perché in essa si riproduce la razza umana, ma perché può e sa favorire il fiorire dell’umano. È per questo, non per altro, che sono necessarie politiche familiari capaci di sostenere una risorsa così decisiva.

Ha colpito molti il fatto che Benedetto XVI, che su questo tema torna spesso e in qualche modo sta tracciando un vero “percorso di avvicinamento” all’Incontro di Milano, abbia dedicato alla famiglia anche le riflessioni dell’ultima Via Crucis. «Nelle afflizioni e nelle difficoltà non siamo soli; la famiglia non è sola: Gesù è presente con il suo amore, la sostiene con la sua grazia e le dona l’energia per andare avanti. Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci...». Ma perché tante volte l’energia per affrontare i problemi si cerca altrove, anche nelle famiglie cristiane? Perché ci si illude che il rapporto possa in qualche modo bastare a se stesso, salvo poi restare delusi o travolti dalle difficoltà?
Perché anziché guardare al punto sorgivo della loro vita insieme, al sacramento del matrimonio, molte coppie restano impigliate nelle maglie strette delle difficoltà contingenti, chinate su ciò che disorienta e infragilisce. Mentre occorre guardare all’origine, alla grazia concessa dal sacramento, al sì pronunciato il giorno del matrimonio. È decisivo lasciarsi accompagnare da sorelle e fratelli nella fede a riscoprire che il criterio con cui affrontare qualunque fatica in famiglia è l’amore oggettivo. La verità del matrimonio è data da un amore effettivo, non solo affettivo. E questo amore si può solo mendicare da Cristo Sposo della Chiesa Sposa, l’Unico che può veramente donare la capacità di amare per primi, di amare l’altro ogni giorno come fosse l’ultimo giorno, e di amare fino al perdono.

Perché sembra diventato così difficile trasmettere la fede ai figli? Una volta era quasi naturale, accadeva «per osmosi»...
Più che sul facile o difficile, aggettivi che sembrerebbero richiamare un’idea della trasmissione della fede come una “tecnica”, vorrei porre l’accento su un altro punto. Non ci sono piani o strategie che reggano l’urto delle domande di senso che sbocciano nei giovani, nei figli, lanciati nella vita. L’unica strada ragionevole e percorribile è quella della testimonianza autentica. Ma attenzione: questa va intesa non solo come lo sforzo personale della coerenza, pur necessaria, tra ciò che dico e ciò che faccio, ma come metodo di conoscenza della realtà e di comunicazione della verità. I genitori sono osservati speciali: i figli, anche se a volte sembra il contrario, guardano ai genitori per capire a chi ultimamente essi appartengano, in cosa possano “consistere”, da chi siano as-sicurati. Il cuore della sfida educativa sta nella verità delle persone che in essa sono coinvolte. Perciò è molto importante che i figli possano vedere i loro genitori come parte di un popolo, la Chiesa, che cammina nella storia, retto, sorretto e, se è il caso, corretto dall’azione dello Spirito di Gesù Risorto.

Perché è stato scelto come tema «il lavoro e la festa»? Che legame c’è alla radice tra gli affetti familiari, il lavoro e il riposo?
Per questo straordinario incontro è stato scelto, secondo me, un tema particolarmente riuscito perché dice come gli aspetti “quotidiani” della nostra vita possono essere illuminati ed esaltati dal giudizio di fede. Il titolo mette infatti in rapporto le dimensioni fondamentali dell’esperienza umana. La famiglia, il grembo in cui l’io viene generato e cresciuto, è l’irrinunciabile “società primaria” che tiene insieme e permette lo sviluppo delle differenze costitutive dell’umano, quella sessuale tra l’uomo e la donna e quella tra le generazioni (figli, padri, nonni). È la prima, insostituibile, “scuola di comunione”: vi si impara l’amore come un “lavoro”, scevro da sentimentalismi. L’amore oggettivo ed effettivo di cui parlavamo prima. Il lavoro è l’ambito in cui ognuno racconta se stesso e “collabora”, con le proprie abilità e con la fatica, all’azione creatrice del Padre e a quella redentrice di Gesù. Attenzione però: se il lavoro è vissuto in maniera separata dagli affetti, non è più un motore di crescita e di compimento della persona, ma motivo di indebolimento dell’io perché può giungere a disintegrare le sue relazioni costitutive. Qui si apre lo spazio del riposo e della “festa”. È nel riposo che si recupera l’equilibrio tra gli affetti e il lavoro, perché permette una vera e propria rigenerazione di ogni componente della famiglia a beneficio delle sue relazioni, dentro e fuori le mura di casa. E il riposo per eccellenza è la festa: «Facciamo festa, - dice il padre misericordioso - perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,21-22). È il modello della vera festa, della possibilità della ripresa offerta ogni giorno da Cristo Risorto.
---------------------------------------
«Matrimonio e famiglia non sono una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. La questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici nell’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? Cos’è l’uomo? E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall’interrogativo su Dio: esiste Dio? E qual è il suo volto? La vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama»
Benedetto XVI
al Convegno su “Famiglia e comunità cristiana”, 6 giugno 2005
---------------------------------------
«Il “sì” personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo “sì” personale non può non essere un “sì” anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono
la responsabilità pubblica della fedeltà. Nessuno
di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica.
Il matrimonio come istituzione non è quindi un’indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale»
Benedetto XVI
al Convegno su “Famiglia e comunità cristiana”, 6 giugno 2005