«I suicidi? Non basta la crisi a spiegarli»

I dati non confermano l'ondata descritta dalla stampa. Secondo Stefano Gheno, professore di Psicologia del lavoro, non ha senso stabilire un nesso di causa-effetto. Il rischio è di considerarli gesti nobili. «Ma erano i pagani a pensarla così...»
Luca Fiore

Le chiamano le «vittime della crisi». Sono gli imprenditori falliti che decidono di farla finita. Giornali e tv hanno lanciato l’allarme. E l’impressione comune è che il fenomeno sia in forte crescita. Eppure i dati raccontano un’altra storia. In Italia, secondo l’Istat, nel 2010 i suicidi per “motivazioni economiche” sono stati 187, quasi uno ogni due giorni, mentre nei primi mesi del 2012 sono stati “solo” una quarantina. Non se ne stupisce Stefano Gheno, professore di Psicologia del lavoro all’Università Cattolica di Milano.

Professor Gheno, come giudica questi dati?
Io dico che non c’era bisogno della statistica per dire che non c’è correlazione tra la crisi e il numero dei suicidi. È una questione di pura logica, di evidente umanità. Il suicidio è il risultato di un’elaborazione personale che non può mai essere messa in rapporto di causa-effetto con un evento esterno, per quanto drammatico possa essere. Altrimenti si arriva a pensare che la gente si tolga la vita solo perché c’è la crisi. Ma questa è una sciocchezza.

La crisi quindi non c’entra?
È chiaro che in un momento in cui tutto l’ambiente in cui vivi ti dice che non c’è niente in cui sperare, un’opzione come quella del suicidio trova terreno fertile. È chiaro anche che in qualche modo l’annientamento di sé è un desiderio di scomparire, di togliersi di torno, che nasce in un humus fatto di disperazione. Quello che c’è di strano, e che secondo me è pazzesco, è che questi fatti vengano narrati secondo una logica di causa-effetto. Ma in questo modo si fa fuori la fetta più grande del fenomeno.

Quale?
Semplicemente che in questa crisi c’è molta gente che avrebbe motivi per essere disperata, ma che decide di andare avanti. E sono la maggior parte. Questo fatto mostra che il rapporto causa-effetto non sta in piedi.

I dati dicono che quella economica è la terza motivazione per i suicidi.
Nella dinamica dell’imprenditore i risvolti sono due. Il primo aspetto è l’insuccesso. Il suicidio sancisce la definitività dell’insuccesso. C’è l’idea che tu non sei più tu perché hai fallito il tuo progetto. E questo, per chi vive di impresa, è un dramma fortissimo. L’altra tematica è che tu non vuoi più essere “di peso”, non vuoi costringere magari i tuoi cari a farsi carico di un danno di cui tu ti assumi fino in fondo la responsabilità. Secondo me questi due aspetti sono entrambi presenti. Poi ognuno elabora in maniera del tutto originale quella che è la sua storia, e non si possono fare facili generalizzazioni.

Eppure giornali e tv negli ultimi mesi si sono riempiti di queste storie.
Sì, non è un mistero che i media amino queste storie in grado di colpire. Ma una delle cose su cui bisogna riflettere è perché sia necessario cercare di colpire soprattutto attraverso questo e non attraverso, mi passi il termine, le “storie di successo”. Le storie di chi mostra, cioè, che è ancora possibile sperare. Poi c’è da tener conto dell’effetto emulazione.

In che senso?

Noi sappiamo che, in generale, quando sui media a larga diffusione esce una notizia di un suicidio, entro poche ore possiamo aspettarci che una persona in situazione analoga faccia lo stesso gesto. È capitato con i suicidi nelle caserme e con i ragazzini che si toglievano la vita perché andavano male a scuola. C’è poi un altro tema.

Quale?
Premetto: è una cosa a cui penso da un po’ di tempo, ma non ha alcuna pretesa di scientificità. Secondo me, in un’epoca come la nostra, il suicidio è più di moda di una volta. Noi viviamo in un periodo neo-pagano. Una delle cifre tipiche del paganesimo era che quando la vita non valeva più di essere vissuta l’uomo nobile, colto, stoico si toglieva la vita. Io temo che in questa crisi specifica, come hanno detto persone ben più qualificate di me, ci troviamo di fronte a una crisi dell’umano, prima ancora di una crisi economica. E sembra che questo tratto tipico della cultura pagana stia riemergendo. Come dire: trovo la soluzione totale. È un concetto che va manipolato con le pinze perché siamo di fronte a gesti drammatici e qualsiasi speculazione risulta inadeguata. Però colpisce che sui media questi fatti siano descritti come qualcosa di nobile. Come se in fondo il suicidio fosse davvero un’opzione tra le tante. Per me è pazzesco.

Perché?
A me colpisce che raramente sui giornali è stato scritto che il suicidio è una cosa terribile e che non può essere una possibilità. Dicono che, date le circostanze, questi atti, in fondo, sono comprensibili. Ma l’autodistruzione può essere davvero una strada? Non c’è niente di costruttivo in un gesto come questo. Mentre è come se si cercasse di dire che c’è una dignità e una comprensibilità in tutto questo. Per me è folle.