Primavera alla prova

TUNISIA
Luca Fiore

Si va verso la “modernizzazione dell’islam” o l’“islamizzazione della rivoluzione”? In una Tunisi reduce da un’onda di proteste salafite, è stato l’interrogativo della due giorni di Oasis. Dalle parole ancora attuali di Del Noce a quelle sorprendenti del presidente Marzouki. Un focus sul Paese-laboratorio, che aiuta a leggere il resto del mondo arabo

Nel centro di Tunisi, alla fine di avenue Bourguiba, c’è un cantiere circondato da una recinzione. Durante la rivoluzione erano comparse alcune scritte con gli slogan dei giovani manifestanti: «Vive la liberté», «Thank you Facebook», «Laïcité». Quelle parole, a un anno e mezzo di distanza, sono state coperte. Eppure la loro presenza si può ancora intuire sotto la mano di vernice bianca. Sullo stesso lato della strada, più avanti, verso la piazza che oggi si chiama “14 gennaio”, il giorno della cacciata del dittatore, c’è la sede del ministero dell’Interno. È circondata dal filo spinato e presidiata dall’esercito. Tra il cantiere e il palazzo governativo c’è l’Hotel Africa, un vecchio grattacielo a vetri che svetta su una città fatta di edifici bassi. È qui, dal 18 al 20 giugno, che si è svolto l’annuale comitato scientifico della Fondazione Oasis. Nel cuore della città, nei luoghi simbolo della Rivoluzione dei gelsomini. Alla vigilia dell’incontro, dedicato al tema “La religione in una società in transizione. Come la Tunisia interpella l’Occidente”, il Paese è stato attraversato da una fiammata di proteste dei salafiti che ha costretto il Governo, guidato dal partito di ispirazione islamica Ennahda, a proclamare tre giorni di coprifuoco notturno.

Partita doppia. Molti hanno cantato il requiem per la rivoluzione tunisina. Per il professor Yadh Ben Achour, presidente dell’Alta istanza per la Realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, il Paese è ancora nell’occhio del ciclone ed è presto per fare previsioni, tuttavia: «Se la Tunisia non affronta la sfida della modernità, c’è il rischio che la rivoluzione fallisca». Eppure quello tunisino è un laboratorio da guardare con attenzione, perché qui si gioca - al netto dell’ingombrante ruolo dell’esercito - la stessa partita che si sta giocando in Egitto: un partito islamico stretto tra una società tendenzialmente secolarizzata e un’avanguardia fondamentalista decisa a prendere il potere. Si va verso la “modernizzazione dell’islam” o l’“islamizzazione della rivoluzione”? Che poi è come chiedersi: l’islam è compatibile con una società pluralista e un regime democratico? Il dibattito organizzato da Oasis è articolato. E i pareri talvolta discordanti. In particolare su un punto. Il politologo Olivier Roy lo riassume così: «Da una parte c’è chi è convinto che la secolarizzazione sia la condizione per la realizzazione di una società pluralista, dall’altra si pensa che sia una riforma interna all’islam a poter aprire le porte a una società moderna».

Montale e l’Occidente. Per Abdelmajid Charfi, professore di Civilizzazione e pensiero islamico all’Università di Tunisi, tutto il mondo arabo è attraversato da una secolarizzazione galoppante e questo non è in contraddizione con la salita al potere dei partiti islamici. «Dopo le proteste del maggio del 1968, alle elezioni francesi vinsero i conservatori. Ma la rivoluzione aveva già iniziato a cambiare irreversibilmente la società. Qualcosa di simile sta accadendo con la Primavera araba». Per padre Samir Khalil Samir, invece, nelle società arabe il termine “laico” è inteso nel senso di “ateo” e laici erano i regimi autoritari abbattuti dalle rivoluzioni dell’anno scorso. Dunque, nel deserto partitico del dopo-proteste, a molti l’islam è parso come «la soluzione a tutti i problemi», come recita il motto dei Fratelli Musulmani.
Eppure il dibattito sul ruolo della religione nello spazio pubblico non è un’esclusiva del mondo arabo in fermento. Lo aveva fatto presente, nel suo intervento, lo stesso cardinale Angelo Scola, promotore di Oasis, che ha ricordato come in Occidente il secolarismo - che ha relegato la fede al privato - non ha mantenuto le promesse di alternativa alla religione. Per spiegare lo smarrimento occidentale l’arcivescovo di Milano prende a prestito le parole di Montale: «Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». L’islam, invece, è ancora una forte componente nell’identità dei popoli arabi. Tuttavia le rivolte in questi Paesi hanno lanciato con forza la questione della libertà: se c’è una cosa chiara è che nessuno, né a Tunisi né al Cairo, vuole il ritorno della “cultura dell’autoritarismo”. Scola suggerisce un approccio originale e cita la proposta politica che il filosofo Augusto Del Noce offriva alla Democrazia cristiana italiana del Dopoguerra. Riferimento non casuale, visto che gli stessi esponenti di Ennahda, il partito al potere, indicano proprio la Dc per spiegare come concepiscono il rapporto tra islam e politica. La religione, dice in sostanza Del Noce, non può essere più il fondamento dello Stato civile, perché non è più condivisa. Lo Stato, però, può garantire la convivenza riconoscendo ai cittadini la libertà di affermare quella che secondo ciascuno è la verità. Ma come le diverse “verità” posso convivere senza conflitti? La libertà, dice Del Noce, deve coincidere con il rispetto della dignità della persona. Su questo punto Scola fa un affondo: «La libertà religiosa è il fondamento di tutte le altre perché tocca al più alto grado possibile il nesso libertà-verità. Difendere la libertà religiosa significa riconoscere che la persona umana ha una dignità insopprimibile». È la dignità tante volte invocata durante la rivoluzione tunisina.
Il convegno si è concluso con l’inaspettata visita del presidente tunisino, Moncef Marzouki, ex dissidente e militante per i diritti dell’uomo. «Se è necessario difendere la libertà di coscienza è perché questa è il fondamento di un tipo di appartenenza moderna che è la cittadinanza. Oggi la religione fonda l’appartenenza a una comunità di fede e non l’appartenenza alla comunità nazionale», ha detto accogliendo la provocazione di Scola: «Si può essere un cittadino tunisino, pur essendo musulmano, cristiano, ebreo o ateo». Per molti partecipanti al convegno, provenienti dai Paesi arabi, si è trattato di una prima assoluta: mai un Presidente arabo aveva parlato così apertamente della libertà di coscienza. È successo a Tunisi. Tra filo spinato, salafiti e scritte cancellate.